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Piero Portaluppi (1888-1967) architetto, docente e poi preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, fumettista brillante e raffinato disegnatore, ha legato indissolubilmente la sua attività a Milano, dove ha costruito numerose e inconfondibili architetture che testimoniano un gusto personale e al contempo aperto a molteplici influenze. Attraversando le stagioni dell’architettura italiana ed europea dagli anni Venti sino agli anni Sessanta, gli edifici milanesi scelti per l’itinerario rappresentano un saggio delle qualità stilistiche e costruttive che Portaluppi, grazie ad un’aggiornata cultura figurativa e disciplinare aperta alle novità come legata alla tradizione, ha saputo intrecciare a personalissime calligrafie linguistiche, leggere e ironiche, sostenute da una curiosità vigile e tuttavia inscindibili da un senso pragmatico della professione.
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Tra gli anni Dieci e gli anni Sessanta del XX secolo Piero Portaluppi si dedicò a una intensa attività professionale, spesa perlopiù al servizio dell’alta borghesia industriale lombarda, e costruì una solida carriera accademica, culminata nella presidenza della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Tuttavia, dopo la seconda guerra mondiale e fino allo scadere del secolo, la sua opera non ha goduto di rilevante fortuna critica. In parte a causa degli incarichi assunti durante il Fascismo, ma nondimeno per l’ironico agnosticismo esercitato rispetto alle principali correnti del dibattito disciplinare italiano, dal secondo dopoguerra in poi un pregiudizio storiografico ha ostacolato l’analisi e lo studio disinibito dell’opera di Portaluppi, così come la valutazione della sua influenza nel contesto dell’architettura contemporanea italiana e nella formazione di numerose generazioni di laureati del Politecnico (1). Soltanto nel 2003 le ricerche promosse dall’omonima Fondazione hanno consentito di delineare con maggiore ampiezza e grazie a una pluralità di metodi di indagine la prolifica attività dell’architetto, illustrata al pubblico in un’ampia mostra (2).
Le medesime motivazioni che indussero parte della cultura architettonica post-bellica all’ostracismo verso l’opera di Portaluppi, la rendono oggi emblematica per comprendere le vicende dell’architettura italiana del ’900 superando le categorie critiche che, nei dibattiti come nella pubblicistica, divisero non senza semplificazioni gli architetti italiani fra aderenti alla modernità e tradizionalisti, fascisti e antifascisti, accademici e avanguardisti. Portaluppi fu spesso ascritto tout court nel novero degli architetti la cui formazione, improntata a un eclettismo stilistico di matrice ottocentesca, impedì di comprendere appieno gli aspetti più profondi dell’architettura moderna, mentre alla luce degli studi più recenti la sua architettura appare capace di generare un corto circuito fra tassonomie storiografiche, ponendone in dubbio i confini. Eclettica, liberty, barocchetta, déco, novecentista, modernista, razionalista, monumentale, sono aggettivi ricorrenti per descriverla e talvolta sono utilizzati contemporaneamente per definire aspetti di un singolo edificio di Portaluppi, le cui architetture appaiono al contempo eccentriche e rappresentative delle differenti stagioni che hanno attraversato, ricche di suggestioni, citazioni e stilemi di svariata provenienza, ma inconfondibilmente originali (3).
Se la sua architettura sfugge alle definizioni e assorbe in periodi e luoghi diversi suggestioni molteplici, tanto da aver suscitato una diffidenza critica che nell’accusa di formalismo espressa nel 1933 da Sigfried Giedion trova la voce più autorevole, quali sono le fasi in cui è grossomodo possibile suddividerla e quali invece i caratteri che la rendono singolare (4)?
Nel lustro 1930-1935 è stato individuato il crinale di una mutazione, che, abbandonando sia la congerie di etimi storicisti del periodo precedente, sia l’accento déco dei calligrafici ornamenti, conduce all’adozione sempre più evidente di una sintassi modernista, protratta oltre il 1945 non senza cali di qualità e capacità innovativa (5). Ma al di là delle mutazioni linguistiche, sin dai primi progetti l’atteggiamento antidogmatico che induce Portaluppi a evitare l’adesione a gruppi radicali e a smorzare le polemiche disciplinari più aspre, si esprime in una paradossale serie di coppie antinomiche, nella mescolanza e nel montaggio di elementi eterogenei mediante un procedimento sincretico. Sembra cioè possibile ascrivere al tentativo di praticare una equidistante e scanzonata medietas, indotta forse dalla sua formazione politecnica, equamente distribuita fra discipline scientifiche e artistiche, la compresenza nella stessa fabbrica di elementi tratti dalla tradizione e attributi di modernità; di convenzioni linguistiche e di singolari deroghe; di localismo e internazionalismo dei modelli (6).
Così, se il progetto per la Casa della seta da un lato reinterpreta la tradizione del palazzetto di città, riferendosi sia a modelli aulici che a esempi locali, dall’altro registra il gusto internazionale dei grafismi déco. Nella casa degli Atellani, elementi originali del quattrocento lombardo convivono, mimetizzandosi, con forme di invenzione, mentre partiti decorativi ispirati a modelli settecenteschi invadono il giardino e le facciate private della fabbrica. Durante gli anni Trenta, l’adesione ai modi della modernità non è priva di riferimenti alla tradizione classica e non impedisce a Portaluppi di criticare apertamente gli aspetti più radicali dell’architettura dei colleghi più giovani.
Tuttavia è possibile rintracciare caratteri peculiari della sua opera. Gran parte delle architetture costruite, ma ancor più le tavole di progetto, testimoniano il costante primato del disegno, la preminenza cioè di una composizione grafica dell’architettura, interpretata come insieme di schermi visivi bidimensionali da definire in ogni dettaglio sulla carta, piuttosto che attraverso l’articolazione di masse e volumi. Questa predilezione, definibile scenografica, è stata talora sottolineata per relegare Portaluppi al ruolo di semplice “disegnatore di facciate”, ed è del resto comprovata dalla non infrequente collaborazione con imprese di costruzione che, una volta stabilito un impianto strutturale e distributivo piuttosto convenzionale, si rivolgevano all’architetto per il disegno dei prospetti e degli androni degli edifici, confezionati a garanzia del decoro e dell’aggiornamento del gusto dei committenti. Tuttavia i documenti d’archivio e l’analisi di alcune opere attestano come il metodo di lavoro di Portaluppi non fosse tanto un sintomo della difficoltà di lettura e articolazione dei volumi nelle tre dimensioni dello spazio, quanto piuttosto la conseguenza della preminenza accordata alla “azione grafica” del progetto e agli aspetti visivi, disegnativi e prospettici dell’architettura (7).
Nello studio-abitazione di via Morozzo della Rocca e in palazzo Crespi, la scelta di un particolare dispositivo di facciata – il grande portale nel primo, la finestra nel timpano di coronamento e l’alto porticato nel secondo – giunge a influenzare l’articolazione degli spazi interni, mentre talvolta persino le strutture portanti sono modificate in funzione del disegno dei fronti. È il caso del poco noto impianto idrovoro di San Matteo, dove il grande timpano vetrato che corona l’edificio principale giunge a imporre sostanziali modifiche alle strutture e alle tecnologie costruttive, progettate dall’ingegnere Giulio Chiodarelli prima che Portaluppi fosse chiamato a confezionare la veste architettonica del complesso (8).
D’altro canto il carattere deliberatamente “epidermico” assunto da molti edifici di Portaluppi è leggibile come ricerca di adeguatezza, di convenienza, sia rispetto dell’ambiente urbano circostante, sia in funzione del rapporto che l’architetto stabilisce con una committenza borghese, intrinsecamente aperta all’innovazione, ma al contempo desiderosa di adeguarsi al decor cittadino senza stravolgere i legami con una tradizione e con un immaginario sociale tutto sommato ispirato alle convenzioni della nobiltà, i cui costumi domestici sembrano riproposti, garbatamente aggiornati, in villa Necchi-Campiglio. Che invece Portaluppi fosse perfettamente in grado di ordire inusitati e complessi dispositivi planimetrici lo dimostrano la casa Corbellini-Wassermann e il suo studio professionale al piano terra di via Morozzo della Rocca, mentre, ancor prima, i volumi sincopati delle centrali ossolane scardinano i cliché dell’architettura elettrica sino ad allora codificati (9).
In altri termini Portaluppi appare un abile cerimoniere, pronto a ordire spazi liturgici perfettamente aderenti alle necessità di una ritualità codificata – quella dell’abitazione borghese, della rappresentazione del capitale industriale e dell’innovazione tecnologica, del potere fascista o del capitale finanziario – nella quale tuttavia inserisce sottilmente elementi di novità e rottura. L’ambivalenza delle architetture di Portaluppi e i costanti accenti ironici che le percorrono come una corrente vitale appaiono infine un leit motiv personale e raffinato, mosso da un’intelligenza vigile e fondato su una indubbia capacità professionale, che dalla funambolica attività di vignettista pare aver assunto per analogia alcuni fondamentali principi: l’accostamento ossimorico, l’iperbole espressiva, l’esagerazione dei dettagli (10).
(1) Piero Portaluppi fu protagonista dei principali episodi di rinnovo urbano promossi a Milano dal governo fascista e dal grande capitale finanziario e dopo il 1945 fu uno dei pochi architetti sottoposti al processo di epurazione, che ne sancì la reintegrazione nei ranghi dell’accademia e della professione. Cfr.: P. Nicoloso, “Il contesto sociale, politico e universitario di Portaluppi”, in “Piero Portaluppi. Linea errante dell’architettura del Novecento”, a cura di Luca Molinari, catalogo della mostra (Milano, Triennale, settembre 2003-gennaio 2004), Milano, Skira 2003, pp. 241-249.
(2) Sulla fortuna critica e sulle motivazioni dell’ostracismo di cui Portaluppi fu oggetto nella cultura architettonica del dopoguerra si veda in particolare L. Molinari, “25 carriere salvo quella dell’architetto”. Presenza e assenza nel contesto milanese e italiano del secondo dopoguerra, in “Piero Portaluppi”, cit., pp. 295-310.
(3) Al punto di suggerire la definizione di “stile Portaluppi”: Guido Zucconi, “Stili e storia: il confronto con l’architettura del passato”, in “Piero Portaluppi”, cit. p. 281..
(4) Giedion, commentando la casa del sabato per gli sposi costruita per la V Triennale del 1933 con i giovani BBPR, definì le opere di Portaluppi “realizzazioni indefinite e talvolta anche fanciullesche [...] fotomontaggio architettonico [che] si scinde nei suoi elementi con deplorevole effetto”. La frase è citata, insieme ad altre, nel saggio in cui J. T. Schnapp rintraccia la radice estetico-etica della severa critica di Giedion, evidenziando per contro gli aspetti dell’architettura di Portaluppi che paiono precorrere i successivi sviluppi dell’architettura contemporanea. J. T. Schnapp, “La linea errante (ossia le achitetture immaginarie di PP)”, in “Piero Portaluppi”, cit., p. 225.
(5) G. Zucconi, cit.; A. Rossari, “L’abitazione civile”, in “Piero Portaluppi”, cit., pp. 283-294.
(6) O. Selvafolta, “La formazione e il primo decennio di attività di Piero Portaluppi, 1910-1920”, in “Piero Portaluppi”, cit., pp. 151-164.
(7) C. Conforti e R. Dulio, “Piero Portaluppi, Giovanni Michelucci, Mario Ridolfi: disegno e architettura, formazioni professionali a confronto”, in “Un archivio di architettura tra Ottocento e Novecento. I disegni di Antonio Zanca (1861-1958)”, a cura di Paola Barbera e Maria Giuffré, p. 82.
(8) Soluzioni analoghe si ritrovano nella centrale dell’Adamello a Piacenza e nel palazzo Crespi a Milano. Cfr. L. Moretti, “Architetture per la bonifica cremonese-mantovana. Il complesso dell’impianto idrovoro di San Matteo delle Chiaviche”, tesi di laurea triennale, tutor S. Poli, Politecnico di Milano, A.A. 2010-2011.
(9) M. Jakob, “Una estetica della sorpresa: le centrali di Portaluppi e le forme dell’energia”, in “Piero Portaluppi”, cit., pp. 193-210.
(10) A. Negri, “Cinque album e fogli sparsi. Piero Portaluppi disegnatore umoristico e satirico”, in “Piero Portaluppi”, cit., pp. 183-189.
P. Portaluppi
Bestetti e Tumminelli, Milano-Roma 1924,
ristampa anastatica, Capriolo, s.l. 2002
P. Portaluppi
Bestetti e Tumminelli, Milano-Roma 1924,
ristampa anastatica, Capriolo, s.l. 2002
L. Molinari (a cura di)
Skira, Milano 2004