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L’itinerario, partendo da piazza San Babila, segue il tracciato della cosiddetta ‘Racchetta’ - uno sventramento viario dell’antico tessuto urbano la cui vicenda ha origine alla fine degli anni Venti - e, percorrendo corso Europa e via Larga, giunge in piazza Velasca; l’operazione urbanistica, visibile nel dilatarsi degli spazi e delle strade a supporto dell’accessibilità automobilistica al centro storico, ha però lasciato spazio ad alcuni episodi architettonici di grande qualità, che possono essere considerati come capisaldi dell’architettura moderna milanese
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Nei primi piani urbanistici del Novecento, il cuore di Milano è interessato da progetti di profonda riorganizzazione delle sue parti più antiche: più volte rimaneggiati e spesso frenati dalle condizioni di forte instabilità degli anni che accompagnano i due conflitti mondiali, tali progetti rimarranno quiescenti per quasi quarant’anni, trovando nuove condizioni operative solo con il Piano di Ricostruzione del 1948. L’ambito urbano interessato dal presente itinerario comprende uno dei tessuti centrali della città più coinvolti dagli intensi processi di trasformazione urbanistica-edilizia che maturano in questo lungo periodo e che oggi siamo soliti ricondurre alla logica dello “sventramento”. Tali processi furono sollecitati solo in parte dalla fatiscenza delle preesistenze – spesso presa a pretesto per sostenere i progetti di sventramento – o dalle estese distruzioni belliche: in misura maggiore, si devono all’attuazione di un ambizioso progetto di collegamento e riordino viario tra la zona orientale e quella occidentale della città, che, col passare degli anni, divenne sempre meno funzionale alla riorganizzazione del traffico della città storica, e sempre più strumentale al processo di valorizzazione fondiaria della zona centrale. Gli sventramenti milanesi, infatti, sostituiranno il tessuto di più antica formazione, costituito da abitazioni modeste connesse a minute attività commerciali e artigianali, con un’edilizia ad altissima densità destinata a dare corpo alla nuova city terziaria. Le sostituzioni tenderanno a privilegiare nuove funzioni centrali, come gli uffici e la grande direzionalità, i servizi a grande scala, le nuove strutture per l’intrattenimento (sale cinematografiche e teatri) e le residenze di lusso.
La trasformazione in city del tessuto antico intorno al Duomo rappresenta una scelta consolidata ed esplicita delle amministrazioni milanesi degli anni Trenta e Quaranta, che il Piano Albertini del 1934 raccoglie e sviluppa in un disegno per la parte centrale della città in cui si accavallano opere già previste nel Piano del 1912 (1), discutibili rivisitazioni di idee scaturite dal Concorso di idee per il Piano del 1926-27 – tra le quali appunto “la Racchetta” – nuove ipotesi studiate dagli uffici comunali diretti dall’ingegnere Cesare Albertini. Nonostante le numerose versioni e rielaborazioni che si stratificheranno nel tempo, la ristrutturazione viaria della zona fra corso Vittorio Emanuele, piazza S.Babila, i quartieri del Verziere e del Bottonuto (2), avviata negli anni Trenta, troverà piena realizzazione urbanistica solo nel secondo dopoguerra; mentre la cosiddetta “Racchetta” – la nuova arteria destinata a collegare la rinnovata piazza S. Babila con piazza Missori e via Vincenzo Monti, fino a piazzale Cadorna per ricongiungersi con un grande rettifilo alla nuova stazione Centrale – rimarrà incompiuta proprio per effetto dell’inestricabile composizione degli interessi privati coinvolti nell’operazione. Rispetto ad altre simili operazioni milanesi di sventramento (3), la provvidenziale interruzione del progetto della Racchetta non maturerà, così, da un ripensamento ispirato a una nuova sensibilità verso i valori d’insieme dei tessuti storici (4), bensì dal venir meno della sostenibilità tecnicoeconomica dell’intervento. Questa critica mossa da più fronti (5) fin dalle prime soluzioni proposte dal Piano Albertini che, per scopi di igiene e viabilità, estendeva con eccessiva ambizione le parti di città storica interessate degli sventramenti, si rivelerà corretta e decisiva nella mancata riorganizzazione funzionale e morfologica del centro di Milano.
Gli anni Trenta vedono l’avvio di un ampio programma di sventramenti della zona interna impostato tecnicamente non più sull’apertura di alcuni assi viari e sulle conseguenti rifusioni fondiarie, ma sulla demolizione estesa di interi tessuti: questa riguarderà oltre ai luoghi della Racchetta alcune parti complementari, come l’apertura di piazza Diaz, la creazione di piazza degli Affari, la riorganizzazione della zona del nuovo Tribunale. Già tratteggiate nel 1928, le trasformazioni più significative saranno formalizzate anticipando la stesura generale del Piano del 1934 attraverso una serie di provvedimenti resi esecutivi per decreto: quello riguardante la zona sud-est attorno al Duomo sarà approvato nel 1932. L’anticipazione regolata per stralci autonomi contribuirà ad aumentare il carattere episodico e occasionale del disegno per il centro città, influendo non poco sugli esiti della gestione delle trasformazioni negli anni che precedono il secondo conflitto mondiale. Le soluzioni per il tratto iniziale della Racchetta, quindi, sono solo nominalmente inserite all’interno di un nuovo organico sistema circolatorio denominato strada di scarico. Mentre nelle proposte scaturite dal Concorso del 1926-27 la Racchetta avrebbe dovuto rappresentare l’asse portante di raccolta e smistamento dei traffici radiali diretti nel centro verso la mobilità di scala regionale, il tracciato della strada di scarico proposto fin dalla prima versione del Piano Albertini (1928), richiudendosi sulla viabilità ordinaria, tenderà a rafforzare la struttura monocentrica della città. Inoltre, il nuovo tracciato risulterà assai più invasivo rispetto alle preesistenze storiche e pertanto maggiormente funzionale a produrre ampie valorizzazioni fondiarie, di quanto non fossero le soluzioni del Concorso che stabilivano rapporti più calibrati tra i nuovi tracciati e i vecchi tessuti storici.
Nel piano viene rimodellato il corso Littorio (oggi corso Matteotti) con la definitiva soluzione per piazza S. Babila, completamente sventrata e disegnata sulla confluenza di quattro strade di nuova concezione, snaturando le relazioni urbane e funzionali che reggevano l’antico crocevia; viene tracciata la nuova arteria tra piazza S.Babila e il Verziere (l’attuale corso Europa), ipotizzata con un andamento di poco più interno a quello poi realizzato e terminato nel 1956; l’allargamento e la sistemazione di piazza Fontana con la demolizione degli isolati tra l’arcivescovado e il vecchio Tribunale per realizzare un unico spazio unitario esteso a piazza Beccaria: un progetto mai portato a termine, su cui si sono succedute numerose ipotesi, mai tradotte in soluzioni compiute e definitive, nonostante l’esito del Concorso del 1988 (6) e la conseguente stesura di uno specifico Piano Particolareggiato (1990-1994); la previsione di allargare fino a 30 metri via Bagutta e collegarla a piazza Cavour, attraversando diagonalmente i tessuti attestati su via S. Spirito. Quest’ultima proposta fu ritirata nella versione approvata del piano su pressioni di un influente proprietario, determinando da una parte l’irrisolta fisionomia mutilata di piazza S.Babila; dall’altra parte l’ulteriore riduzione del ruolo funzionale della Racchetta quale elemento di drenaggio dei traffici radiali convergenti nel centro. La piazza S.Babila, elemento capitale del Piano Albertini, assumerà l‘attuale fisionomia tra il 1934 e il 1940, con un’architettura che vedrà esaurirsi le potenzialità espressive contenute nelle suggestioni progettuali degli anni Venti e Trenta(7), aderendo invece al monumentalismo e all’imperante stile eclettico. Nel punto di attacco tra la piazza e il nuovo corso verrà previsto un edificio svettante di 15 piani, dei quali metà in deroga al Regolamento Edilizio. Le cortine Sud e Est della piazza saranno completate solo nel secondo dopoguerra. L’unico elemento salvaguardato risulterà la piccola chiesa di S.Babila, già fatta oggetto di un ampio rifacimento qualche decennio prima (1905).
A pochi anni dalla sua approvazione, il Piano Albertini risulta superato in generale nella sua concezione economica e sociale e in particolare nel bilancio deficitario delle operazioni di sventramento, nessuna delle quali alla metà degli anni Quaranta era stata condotta a termine. Nonostante questo e nonostante la guerra avesse portato alla paralisi dell’attività edilizia, l’amministrazione milanese continuava a stipulare una serie di convenzioni con i privati in attuazione del Piano del 1934, che avrebbero pesato nel dopoguerra, condizionando un possibile cambiamento di rotta. Non aiutò, infine, la lunga gestazione del Piano Regolatore del 1953, che sulla zona centrale continuò a registrare una forte pressione del settore fondiario immobiliare, esercitata da quei privati che fra le due guerre avevano stipulato vantaggiose convenzioni con il Comune e alimentata dalla mancanza di una legge sul regime di salvaguardia che fino al 1952 non consentì di arginare la portata delle previsioni del piano precedente. Pertanto, il Piano di Ricostruzione per la parte meridionale della città venne rapidamente confezionato e adottato nel 1948, rimettendo in movimento la spinta alla demolizione del costruito che, a causa delle elevate densità e delle remunerative destinazioni d’uso consentite nelle zone centrali, non si fermava alle sole rovine prodotte dai bombardamenti. La realizzazione della Racchetta prese, quindi, nuovo impulso nel dopoguerra, secondo il tracciato rettificato prima dal Piano di Ricostruzione e definitivamente formalizzato nel Piano del 1953, quando le condizioni originarie che alla fine degli anni Venti ne avevano giustificato l’utilità sembravano ormai profondamente mutate. Era ormai evidente la preoccupazione che il nuovo asse avrebbe intensificato più che ridotto i problemi della circolazione che interessavano il cuore della città storica. Ma, anche in un’accezione diversa, la ormai avanzata compromissione delle aree interessate, connessa alla realizzazione di alcuni frammenti e soprattutto spinta dalla pressione degli interessi fondiari, porterà a riproporne il tracciato senza modifiche sostanziali.
Fortunatamente, alla fine, le realizzazioni hanno riguardato solo il tratto da S.Babila fino a piazza Missori, costringendo l’abbattimento di edifici esistenti parzialmente coinvolti dai bombardamenti, l’ampliamento di via Larga, l’attraversamento del Bottonuto e la realizzazione di via Albricci, con una tracciato definitivo che doveva trovare il compromesso con molte istanze divergenti. La sua continuazione attraverso gli isolati di S.Alessandro, attraverso la zona archeologica attorno a via Cappuccio fino a congiungersi con via Carducci non fu mai avviata. La Commissione di studio istituita nel 1956 dall’Amministrazione comunale per la revisione del PRG (8) ne arrestò l’attuazione, ipotizzandone inizialmente una delicata continuazione in tunnel sotterraneo da piazza Missori a via Vincenzo Monti. Proposta che verrà anch’essa disattesa, ma che almeno avrà il merito di arrestare le demolizioni fino al definitivo abbandono del progetto nel 1958. Della Racchetta degli anni Trenta, pensata sostanzialmente come un grande sventramento per costruire la scena urbana monumentale della nuova city terziaria da interpretare con le forme architettoniche del “palazzo littorio da parata”, rimane nelle realizzazioni dei migliori architetti novecentisti e moderni una versione forse più pratica della monumentalità di regime. Un’architettura che in generale risponde a soluzioni spesso regressive e poderose nei volumi edificati con abili prestazioni di mestiere, messe alla prova dal massimo sfruttamento edilizio sui lotti irregolari imposti dagli arretramenti. Un ambiente urbano che nel tratto realizzato vedrà sostituire all’architettura monolitica del piacentinismo i capolavori del moderno milanese, quali quelli di Caccia Dominioni, di Magistretti, di Asnago e Vender e la Torre Velasca dei BBPR.
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(1) L’attuale sistema viario tra corso Matteotti e piazza Meda, infatti, era già stato accennato nel Piano Pavia Masera del 1912, ma verrà perfezionato e completato tra il 1928 e il 1936.
(2) Si tratta della zona compresa fra le attuali via Larga e via Albricci, dove qualche anno più tardi sorgerà la Torre Velasca.
(3) L’esempio forse più significativo riguarda le mobilitazioni contro i progetti di demolizione del vecchio quartiere popolare Garibaldi, oggetto di uno specifico itinerario introdotto da Piergiorgio Vitillo.
(4) Sensibilità che si afferma in Italia alla fine degli anni Cinquanta e che registrerà un importante traguardo di maturazione culturale e operativa nel 1960 con la stesura Carta di Gubbio.
(5) Oltre alle numerose opposizioni dei proprietari degli immobili destinati alle demolizioni, le ipotesi di sventramento avevano interessato anche una parte degli ambienti professionali (per esempio, il Sindacato provinciale fascista degli Ingegneri) ma in particolare il Club degli urbanisti che raccoglierà le osservazioni critiche avanzate da Alpago Novello, Muzio e de Finetti. In particolare quest’ultimo dedicherà un’ampia e circostanziata analisi critica delle soluzioni proposte dal Piano Albertini, oggi raccolta nel volume Milano. Costruzione di una città, Hoepli, Milano 2002.
(6) Il Concorso vedrà vincitori Gino Polllini, Giacomo Polin e Giulio Marini, che riceveranno l’incarico di stendere il Piano Particolareggiato. Gino Pollini scomparirà nel gennaio 1991, prima di vedere adottato il piano (1992).
(7) Possono essere ricordati, nello specifico, alcune soluzioni di Aldo Andreani e Luciano Baldessari che sviluppavano la definizione progettuale dei nuovi tipi urbani della city rispettivamente con riferimenti all’area futurista-costruttivista e con il linguaggio espressionista dei primi grattacieli americani.
(8) Dei 14 gruppi coinvolti per la revisione del Piano del 1953, gli incaricati della zona centrale erano Lodovico Belgioioso, Luigi Caccia Dominioni, Piero Gazzola con Pier Fausto Bagatti Valsecchi.
M. Grandi, A. Pracchi
Zanichelli, Bologna 1980
M. Boriani, C. Morandi, A. Rossari
Designers Riuniti Editori, Torino 1986
G. Campos Venuti
in AA.VV, Un secolo di urbanistica a Milano, Clup, Milano 1986
AA. VV.
Cariplo, Milano 1990
F. Irace
in AA.VV, Milano. Guida di architettura, Allemandi & C., Torino 1998
G. Cislaghi, M. De Benedetti, P. Marabelli (a cura di)
Hoepli, Milano 2002
C. Morandi
Marsilio, Venezia 2005
F. Oliva
Hoepli, Milano 2007