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Depuratore di Milano-Nosedo

Anno:  2000 - 2003

Località: Milano, Parco delle Abbazie

Indirizzo: via San Dionigi

Destinazione d'uso: Edifici per l'industria

Progettista: Gianni Braghieri e altri

L’impianto di depurazione di Nosedo, dimensionato per 1.250.000 abitanti equivalenti, costituisce – sia per estensione che per capacità - il maggiore dei depuratori di Milano ed uno dei più grandi a livello nazionale. E’ localizzato appena a valle della città, a poca distanza dall’Abbazia di Chiaravalle, in un ambito agricolo di particolare pregio paesistico-ambientale, fortemente improntato dalla bonifica monastica, dove le acque provenienti dalle zone centrali della città confluiscono naturalmente in Roggia Vettabbia, che dà origine e nome ad uno dei più vasti comprensori irrigui del Basso Milanese, caratterizzato dalla presenza di una articolata rete idrografica di rogge e fontanili. Tutte le acque trattate in uscita dall’impianto, la cui portata si aggira sui 5 mc/s a medio regime, sono utilizzabili ai fini irrigui e reimmesse nel reticolo immediatamente circostante il depuratore.

 

Progettare un impianto industriale di simili dimensioni e complessità è stato come progettare una parte di città dove l’allineamento degli edifici, i percorsi pedonali, i percorsi carrabili, il verde, il rispetto di determinate volumetrie sono organizzati secondo un disegno razionale dell’intero complesso. Nella scelta dei materiali si è voluto garantire la massima continuità possibile con il contesto territoriale di riferimento mediante il ricorso al cotto, elemento costitutivo delle cascine che lo caratterizzano. La medesima cura è stata riservata a tutti gli elementi di rifinitura: per gli edifici sono state predisposte ampie finestre con riquadrature in cemento o sormontate da architrave metallica a vista, zoccolature in cemento decorativo, cornicioni in rame, fasciature in ceramica color giallo o color azzurro sotto gronda. La ragione di tale attenzione va individuata nella filosofia di fondo della scelta progettuale che considera l’edificio industriale non secondo l’ottica puramente funzionale, ma recupera una dimensione “ornamentale” che restituisce all’edificio di servizio una sua dignità estetica e lo riporta sul piano di costruzione della qualità urbana, seppure in un ambito periferico. Fa parte del programma civile e architettonico del depuratore l’aver scorporato e “isolato” l’edificio di rappresentanza, analogamente a quanto avveniva per la villa padronale rispetto alle parti produttive della cascina, a cui si accede dalla maglia stradale principale mediante un viale alberato.

 

L’impianto – concepito come “fabbrica” d’acqua e di fanghi, utili rispettivamente alla produzione di alimenti e di energia termica - è organizzato secondo lo schema tipico dell’apparato industriale, con al centro il viale principale, elemento ordinatore dell’insediamento, che si conclude con la massa imponente delle vasche, ridotte in elevazione dal loro interramento, da cui – attraverso vari processi – le acque ritrovano la loro normale limpidezza.

 

A cura di Cesare Salvetat