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L’architettura destinata ad ospitare spazi per il lavoro vanta a Milano una lunga tradizione: che si tratti di edifici destinati alla produzione industriale o a dare rappresentanza al sistema della finanza e delle banche, il periodo post-unitario ha offerto alcuni luoghi esemplari che presto hanno candidato il capoluogo lombardo ad affermarsi come capitale del lavoro e degli affari sulla scena nazionale, legando indissolubilmente la propria immagine urbana alla produttività. Ne è prova evidente la centralissima zona di piazza Cordusio, esito delle prime campagne di trasformazione del nucleo storico, dove l’architettura per le sedi bancarie mette a punto la propria persuasiva retorica. Fino alla metà degli anni Settanta, Milano poteva vantare uno straordinario patrimonio di fabbriche e di aree produttive. Ma è soprattutto il tema dell’architettura per il terziario a fornire numerose occasioni progettuali di verifica e di sperimentazione, intensificandosi negli ultimi decenni in risposta alla progressiva e incalzante smaterializzazione dei beni. L’itinerario proposto intende indagare in particolare queste occasioni, concentrando l’attenzione su alcuni edifici ritenuti particolarmente significativi.
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I lombardi si sentono trascinati all’atto,al lavoro, da una forma di passione morale. Le recenti e folte immigrazioni interne dicono che la Lombardia ha creato tanto lavoro buono per poter chiamare altre braccia e intelletti a secondare le sue genti nell’opera.
Carlo Emilio Gadda
L’architettura destinata ad ospitare spazi per il lavoro vanta a Milano una lunga tradizione, ricca e articolata. Che si tratti di edifici destinati alla produzione industriale o a dare rappresentanza al sistema della finanza e delle banche, già il periodo post-unitario offre alcuni esemplari sistemi di luoghi che presto candidano il capoluogo lombardo ad affermarsi come capitale del lavoro e degli affari sulla scena nazionale, legando indissolubilmente la propria immagine urbana alla produttività. Ne è prova evidente la centralissima zona di piazza Cordusio(1), esito delle prime campagne di trasformazione del nucleo storico, dove l’architettura per le sedi bancarie mette a punto la propria persuasiva retorica(2).
La geografia di tali luoghi resta, almeno nell’ambito dello sviluppo della città fordista, immutata per molti decenni: edifici di rappresentanza all’interno dei bastioni spagnoli (con una spiccata preferenza per il tessuto al di qua della cerchia dei Navigli) ed edifici per la produzione materiale nell’hinterland o nei comuni di prima cintura, dove le opportunità localizzative offerte dal sistema ferroviario e dagli scali merci, nonché la massiccia disponibilità di forza lavoro proveniente dalle campagne e dalle valli, favoriscono il radicamento dei grandi stabilimenti industriali a corona attorno alla città.
L’architettura offre, adatta e reinventa i propri modelli per rispondere alle richieste di una committenza che spesso esprime la doppia necessità di un’estrema funzionalità degli spazi e di un’efficace rappresentatività dei manufatti.
Un’importante distinzione da operare per osservare i luoghi del lavoro è pertanto quella tra gli spazi destinati alla produzione di beni materiali e quelli progettati invece per i servizi(3).
Quanto al primo tema, Milano fino alla metà degli anni Settanta poteva vantare uno straordinario patrimonio di fabbriche e di aree produttive, che con la progressiva e inesorabile dismissione avrebbe potuto offrire oggi suggestivi percorsi di archeologia industriale. Ma tale occasione è stata in parte mancata e al progressivo smantellamento del sistema ha spesso corrisposto una quasi completa cancellazione della memoria del luogo, con l’eccezione di alcune esperienze interessanti. Si pensi all’Headquarters Pirelli alla Bicocca di Gregotti Associati International (1999-2004) o al progetto di Renzo Piano per la nuova sede del Sole 24Ore sull’area occupata dalla fabbrica Siemens-Italtel in viale Monte Rosa (1999-2004): edifici in cui la sperimentazione sul riuso si afferma come pratica inventiva, tra restyling e costruzione del nuovo.
Eppure, se per apprezzare le grandi strutture produttive della prima industrializzazione è doveroso un percorso nella periferia e nel territorio (spingendosi fino alle rive dell’Adda), numerosi erano gli esempi pregevoli del secolo scorso proposti anche in città.
Si ricorda infatti che il “professionismo colto” si era cimentato anche con questo tema: la tipologia della fabbrica è oggetto di un'interessante ricerca compositiva, sia per le mutate modalità produttive che per la riflessione sul rapporto col contesto nella città consolidata. Ne sono esempi significativi il razionalista Stabilimento Italcima in via Legnone 4, di Luciano Baldessari e Gio Ponti (1932-’36), e la Ditta Loro Parasini in via Savona, di Luigi Caccia Dominioni (1951-'57), solo per citarne alcuni.
Ma è soprattutto il secondo tema, quello dell’architettura per il terziario, a fornire numerose occasioni progettuali di verifica e di sperimentazione, importanti e per quantità e per qualità, intensificandosi negli ultimi decenni in risposta alla progressiva e incalzante smaterializzazione dei beni.
L’itinerario proposto intende indagare in particolare queste occasioni, concentrando l’attenzione su alcuni edifici ritenuti particolarmente significativi. Taluni risalgono al periodo tra le due guerre e meritano una lettura attenta ancora oggi per la carica simbolica e l’accento monumentale con cui declinano il tema dei luoghi del lavoro, o per la loro capacità di fare da modello per le esperienze successive.
Così dall’austera monumentalità del Palazzo della Borsa in piazza degli Affari, di Paolo Mezzanotte (1928-1931), e del Palazzo dei Giornali in piazza Cavour di Giovanni Muzio (1938-1942) - che rispondono a esigenze rappresentative nel solco della già ricordata tradizione dell'architettura ottocentesca inaugurata da Beltrami e Broggi per le sedi bancarie - si passa alla sobria eleganza del palazzo per gli Uffici Montecatini in via Moscova 3, di Gio Ponti e Antonio Fornaroli e Soncini (1936-1938). L’insediamento di tali edifici nel tessuto storico della città compatta comporta poi interessanti implicazioni di rapporto con il contesto che mette alla prova la sensibilità dei progettisti.
Nel secondo dopoguerra, le cospicue occasioni di costruzione nelle aree centrali offrono un terreno fecondo proprio per la riflessione sul rapporto con le rogersiane preesistenze ambientali. Tra gli edifici testimoni della ricerca sul tema, “costruire nel costruito”, deve essere ricordata la Chase Manhattan Bank in piazza Meda dei Bbpr (1969).
All’insegna di una continuità più diretta con le ricerche razionaliste precedenti si realizzano invece numerosi edifici per uffici schiettamente moderni, ma di tono discreto, come quelli di Gigi Gho in via Solferino (1950-1951), di Roberto Menghi e Marco Zanuso in via Senato (1947), di Gian Antonio Bernasconi, Annibale Fiocchi, Marcello Nizzoli in via Clerici (1952-54), di Pietro Lingeri in via Paleocapa (1949-1953) e di Luigi Figini e Gino Pollini in via Hoepli (1955-57). Anche gli edifici vicino a piazza Missori di Mario Asnago e Claudio Vender possono essere ricondotti a questo filone di ricerca, ma la contiguità degli interventi - in un’area profondamente trasformata dalla parziale realizzazione del piano della cosiddetta «Racchetta» - li rende particolarmente evocativi di un’immagine di Milano, come se questi frammenti avessero un riverbero urbano più potente. Di fatto, questi edifici danno il volto a un pezzo di città – sulla via Albricci – non diversamente da quanto accade nel vicino corso Europa; ed è interessante sottolineare che queste due anime della cultura architettonica milanese - Regionalismo critico e International Style, così diverse, ma anche così profondamente intrecciate - si fronteggino direttamente in via Velasca.
La misurata asciuttezza dell'ampliamento della sede del Corriere della Sera(4) in via Moscova/via Solferino, di Alberto Rosselli (1960-1965), nel dialogo stringente con il vecchio edificio di Luca Beltrami e Luigi Repossi (1903-1904), mostra come entrambe le tensioni vadano via via componendosi in una curiosa sintesi nelle ricerche e nelle esperienze degli architetti più attenti alla tradizione del moderno e al contesto.
Tentata senza successo la strada del “centro direzionale”(5) nella zona Garibaldi-Repubblica-Melchiorre Gioia, come stabilito dal Piano Regolatore Generale del 1953(6), con pregevoli esempi di architettura per il lavoro, come il notissimo Grattacielo Pirelli di Gio Ponti, Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli, Giuseppe Valtolina ed Egidio Dell'Orto (mentre le strutture sono di Arturo Danusso e Pier Luigi Nervi (1953-1960, oggetto di un restauro conservativo piuttosto discusso tra il 2003 e il 2004), col finire degli anni sessanta si afferma progressivamente la logica insediativa degli headquarters (letteralmente “quartier-generali”) non più all’interno della città consolidata, ma progressivamente sempre più distanti dal centro storico, a segnare spesso il paesaggio in una nuova strategia comunicativa e rappresentativa ad un’altra scala.
Tra i primi esempi(7), non a caso legato ad uno dei settori di punta della produzione milanese come l’editoria, è la sede della Mondadori progettata a Segrate da Oscar Niemeyer. L’intervento, interessante per l’architettura originale e virtuosistica del Maestro brasiliano, è significativo perché è in certo modo inaugurale della nuova politica di decentramento più radicale e di localizzazione di grandi contenitori monofunzionali, opportunamente insediati (dal punto di vista economico) all’esterno della città consolidata e traditori di quel rapporto casa-lavoro oggetto attento della cultura urbanistica e del Movimento Moderno. Si tratta infatti, di norma, di luoghi sprovvisti di supporto infrastrutturale per il trasporto pubblico, accessibili esclusivamente con mezzi privati. La logica del decentramento conosce poi un’ulteriore declinazione nella strategia di presidio di nuove parti di città rese disponibili dalla dismissione di grandi comparti industriali, ottenute in luogo dei grandi recinti produttivi: è il caso, ad esempio, della sede della Deutche Bank alla Bicocca dello Studio Valle Architetti Associati (1997-2005). Rispetto alla proliferazione di anonimi contenitori genericamente destinati a “terziario” che connotano fortemente la città in espansione, questi edifici indicano una strada per la ricerca di un’espressione dei luoghi del lavoro nella metropoli in relazione con altre attività e all’interno di un disegno urbano controllato. Si registra tuttavia una continuità nell’esperienza di costruzione nel «cuore della città»: interventi operati o per sostituzione puntuale o per saturazione degli isolati. Tra questi si ricorda il complesso per uffici in via Olona/via de Amicis, dello studio Monti G.P.A. e Valentino Benati (1986), e consistenti interventi nella periferia storica come quelli di Mario Bellini per gli Uffici di via Kuliscioff (1984-1988) nell’area sud-ovest, e la nuova sede della Fiera al Portello (1987-1997).
In ultimo, sebbene l’itinerario non se ne occupi, si deve ricordare che un'ulteriore importante declinazione dei luoghi del lavoro si incontra nell’area del “Fuori salone”: l’area Porta Genova ex-Ansaldo è stata infatti oggetto di un interessante fenomeno di trasformazione diffusa e radicale che ha modificato i caratteri di un intero comparto urbano. La città, lì morfologicamente assai connotata dai grandi isolati produttivi, ha assistito a un processo di rivitalizzazione attraverso l’insediamento di diverse attività umane e modi d’uso. Case editrici, studi fotografici, gallerie d’arte, laboratori, show-room di design e atelier di moda hanno colonizzato l’interno dei grandi edifici, dando luogo a un microcosmo dove consumo e produzione si tengono strettamente legati. L’altero aspetto della città industriale si mantiene immutato all’esterno, e solo negli interni rivela la nuova identità e i nuovi caratteri. Il teatro di Tadao Ando per Giorgio Armani in via Borgognone (2001), il restyling di un edificio storico per la nuova sede della Deloitte di Mario Cucinella in via Tortona (2001-2004), la Fondazione Pomodoro nelle ex officine Riva & Calzoni in via Savona dello Studio Cerri Associati (2001-2005) sono solo gli interventi più noti e dimensionalmente significativi che si possono incontrare qui. In attesa che il progetto di Chipperfield per l’Ansaldo trovi realizzazione.
Un fenomeno analogo, ma di dimensioni ridotte, ha interessato anche l’area di Lambrate oltre la ferrovia dove, con un processo costante e capillare di rifunzionalizzazione dei vecchi manufatti produttivi, si è assistito negli ultimi anni ad una trasformazione profonda del quartiere senza che ciò sia rilevabile a livello morfologico. Il trasferimento della casa editrice Abitare Segesta nella fabbrica dell’ex-Faema in via Ventura, su progetto di Mutti&architetti (2000-2003), ha rappresentato una tappa fondamentale di questa mutazione metamorfica.
Inoltre, l'architettura d'interni per le attività commerciali(8) sperimenta soluzioni originali e di qualità. I negozi nell’area del quadrilatero della moda, ad esempio, arredati da Antonio Citterio, Michel Gabellini, Rodolfo Dordoni, rappresentano esempi di eccellenza di un’architettura effimera, tradizionalmente attenta agli spazi per la vendita delle merci.
E se una trasformazione invisibile, perché tutta introversa, interessa la città consolidata e le sue gravitazioni, la geografia dei luoghi del lavoro alla scala metropolitana è invece investita da una nuova campagna di edificazione che riscrive le gerarchie territoriali. Le grandi operazioni appena concluse o in via di realizzazione - la nuova Fiera a Rho Pero (Massimiliano Fuksas, 2002-2005), la nuova sede del Palazzo della Regione (Pei-Cobb-Freed & Partners, progetto del 2004), il polo Garibaldi-Repubblica (studio Pelli Clarke Pelli Architects, 2005-2012), il Maciachini Center (Studio K Consult, Scandurra Studio, Sauerbruch+Hutton, 2008-2010), l’insediamento MilanoFiori Nord ad Assago (masterplan di Erick van Egeraat, 2003-2009), il Centro Europeo per la Ricerca Biomedica Avanzata (CERBA) nel Parco Agricolo Sud Milano (Stefano Boeri, progetto del 2009), l’Expo - attendono una lettura sistemica, al di là dei singoli episodi architettonici. Questi, infatti, tendono a caratterizzarsi per una spettacolarità e una forza iconica - spesso sgraziata, quando non aggressiva, esibita e ostentata - imponendosi ai contesti ma spesso ignorandoli nel sistema delle relazioni urbane.
I nuovi luoghi del lavoro, la nuova città, sono in cantiere.
LAURA MONTEDORO
[1] La piazza faceva parte del sistema assai più complesso Foro Bonaparte-via Dante-Cordusio, «cardine ed elemento qualificante del piano regolatore Beruto»; cfr. M. Grandi, A. Pracchi, Milano. Guida all’architettura moderna, Edizioni Libraccio 2008, (edizione ampliata del volume Zanichelli 1980), p.67.
[2] Cfr.: S, Pace, Un eclettismo conveniente. L’architettura delle banche in Europa e in Italia, 1788-1925, Franco Angeli, Milano 1999.
[3] Per una documentata analisi storica del sistema produttivo lombardo vedi O. Selvafolta (a cura di), Costruire in Lombardia: industria e terziario, Electa, Milano, 1987 e G. Consonni, G. Tonon, La terra degli ossimori. Caratteri del territorio e del paesaggio della Lombardia contemporanea, in Aa. Vv., Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Lombardia, a cura di D. Bigazzi e M. Meriggi, Einaudi, Torino 2001, pp. 51-187.
[4] L’edificio è stato poi oggetto nel 2005 di una discussa “ristrutturazione”, curata dallo Studio Gregotti Associati International.
[5] «Le intenzioni e i fallimenti dell’urbanistica milanese del dopoguerra hanno il loro riepilogo più significativo, probabilmente, nella vicenda del Centro direzionale». Cfr. M. Grandi, A. Pracchi, Milano. Guida all’architettura moderna, Edizioni Libraccio 2008, (edizione ampliata del volume Zanichelli 1980), p. 321.
[6] L’ipotesi però si era manifestata già sul finire della guerra, quando il Piano AR per Milano e la Lombardia (1945) propone un “nuovo centro” in un’area pressappoco coincidente, ma più vasta, con la Fiera Campionaria.
[7] Le aziende «cercano nella concentrazione stabile dei propri uffici la realizzazione di economie di scala e una soluzione “brillante” per i propri problemi di rappresentanza». Cfr. G. Consonni, La «questione del terziario», in «Casabella», n. 451-452, ott.-nov. 1979, p. 84. Tra le sedi direzionali che scelgono di decentrare i propri uffici in aree suburbane, anche l’IBM e la 3M si collocano a Segrate.
[8] Gli edifici per il commercio rappresentano un tema a sé. A partire dalla costruzione della Galleria Vittorio Emanuele II e i grandi Magazzini in via Tommaso Grossi, questa tipologia ha profondamente caratterizzato la fisionomia della città, concorrendo a definire l’immagine del centro. Qui si richiamano solo i più recenti episodi interessati esclusivamente da trasformazioni di interni.
P. Bottoni
Editoriale Domus, Milano, 1954.
M. A. Crippa, F. Zanzottera
Istituto Gaetano Pini, Milano, 2004.
F. Irace
in F. Irace, Milano Moderna, Federico Motta, Milano, 1996, pp. 50-58
F. Irace
in "Anni Trenta. Arte e cultura in Italia", Mazzotta, Milano, 1982, pp. 50-58
S. Maffioletti
Cluva, Venezia, 1990.
C. W. Condit
Libreria editrice Fiorentina, Firenze, 1979.
G. Veronesi
in "Comunità", n° 74, 1959, p. 86
P. C. Santini
in "Zodiac", n° 1, 1957, p. 200-205