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Anno: 1950 - 1952
Località: Milano, Villa Pizzone
Indirizzo: via De Predis, via Jacopino da Tradate
Destinazione d'uso: Quartiere residenziale
Progettista: Franco Albini, Ignazio Gardella
Nel 1950 l’Istituto Autonomo Case Popolari (Iacp) incarica Albini e Ignazio Gardella di progettare gli ultimi due blocchi residenziali del nuovo quartiere “Mangiagalli II”, situato nella zona nord-ovest di Milano, appena fuori dall’odierna circonvallazione esterna. La collaborazione tra i due architetti è l’ultima di una serie inaugurata dal concorso per il palazzo della Civiltà Italiana all’E42 (1937), continuata con il progetto urbanistico per Milano Verde (1938) e con la proposta per il piano regolatore di Milano degli Architetti Riuniti (1944-1945), entrambi elaborati in collaborazione con altri progettisti, tra i quali Pagano nel primo caso e i BBPR nel secondo. Nel quartiere Mangiagalli lo sforzo progettuale dei due architetti approda a un risultato di elevata qualità, per il quale risulta difficile e forse pleonastico isolare i singoli apporti, tanto più che la produzione dei due colleghi e amici era reciprocamente influenzata dalle rispettive ricerche.
I due corpi di fabbrica presentano uno schema planimetrico identico, composto da tre cellule-tipo accostate in linea, cui eccettua una sola testata, sfalsata per aggiungere un terzo alloggio indipendente, non realizzato. La disposizione dei volumi avviene secondo una pratica sperimentata in altri progetti di Albini, di cui l’esito più maturo è il complesso Incis a Vialba (1950-1953), dove la separazione degli elementi architettonici porta al netto isolamento dei vani scala rispetto all’organismo edilizio. Tuttavia se qui come a Vialba la scala è svincolata dall’edificio, nel progetto Incis è posta al centro dello spazio concavo descritto dai blocchi, risultandone chiaramente distinta, mentre i corpi scala del “Mangiagalli”, pur separati dal corpo di fabbrica a cui sono collegati da due aeree passerelle, sono allineati con esso e appaiono piuttosto delle protuberanze del volume principale. Al fine di accentuare questa percezione unitaria, i corpi scala sono inoltre chiusi da due pareti cieche e da una terza, rivolta all’esterno, realizzata con un grigliato di mattoni che consente un’illuminazione filtrata dell’interno. Le superfici delle pareti laterali della scala sono smussate, generando un volume rastremato: il risultato è un prisma sfaccettato come il prospetto del retrostante edificio, che nel suo insieme risulta definito dalla giustapposizione di lastre verticali, piuttosto che dall’articolazione di volumi compatti.
Il fronte interno, su cui vengono disposti gli spazi di servizio e i disimpegni, si articola in pianta grazie alla rotazione dell’ingresso e del cucinotto, che consente al contiguo soggiorno il doppio affaccio, mentre il ballatoio di accesso è ortogonale all’ingresso. In origine le finiture esterne prevedevano un intonaco lamato rosa per i volumi residenziali, un intonaco strollato color bruno e una griglia di mattoni a vista per i vani scala, a cui si accostavano opere in ferro verniciato a piombaggine, serramenti verniciati bianchi e tapparelle verdi, ma anche in questo caso numerosi interventi di ristrutturazione, sollecitati dagli abitanti, hanno pesantemente alterato i prospetti originali.
A. G. Bolocan
in «Vitrum» 41, pp. 27-38, 1953
in «L’Architettura. Cronache e storia», n. 11, pp. 334-337, settembre 1956
in «L’Architettura cronache e storia», n. 288, p. 567, numero monografico dedicato a Franco Albini, ottobre 1979
V. Prina (a cura di)
in “Edilizia Popolare”, n. 237, pp. 62-63, numero monografico dedicato a Franco Albini, gennaio febbraio 1995
R. Pugliese (a cura di)
Unicopli, pp. 168-169, Milano 2005
L. Spinelli (a cura di)
Electa, Milano 2006, pp. 18-19