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15. Biennale di Venezia, cosa bolle in pentola

Dal 01.06.2016 al 01.07.2016

Inaugurata il 28 maggio e visitabile fino al 27 novembre 2016, la 15. Mostra Internazionale di Architettura di Aravena propone uno sguardo di frontiera su paesi forse poco noti ma non per questo meno attivi

Vi ricordiamo che è disponibile una convenzione stipulata tra il CNAPPC e la Biennale per l'acquisto del biglietto a 22 euro cad. anziché 25/30 euro: tutte le info qui. Per gli architetti che visitano l'esposizone sono rilasciati 2 crediti formativi.

Al di là del titolo Reporting from the front, che potrebbe apparire subito emergenza e conflitto, è piuttosto il legame con le frontiere, gli estremi della terra e del sociale che la Mostra curata dall'architetto cileno Alejandro Aravena propone con grande efficacia.
Un percorso espositivo che si sviluppa dal Padiglione Centrale dei Giardini fino alle corderie dell’Arsenale che coinvolge 88 partecipanti provenienti da 37 paesi, di cui 50 presenti per la prima volta e 33 under 40. Basterebbero questi numeri, al di là delle dichiarazioni d'intenti qua e là un tanticchio ideologizzanti, a far apparire la XV Biennale, inauguratasi sabato 28 maggio ed in corso fino al 27 novembre 2016, esposta ad una salutare ventata fresca proveniente per lo più da luoghi ameni e poco visibili nell'ordinario panorama culturale della nostra disciplina, pur non rinunciando a nomi noti.

Non mancano infatti lungo il percorso della mostra innesti di stupimento mediatico, effetti speciali -la pioggia di luce del Louvre ad Abu Dhabi di Atelier Jean Nouvel o i gli enormi modelli di Tadao Ando a punta dogana ostentatamente contenstati dai venessiani cio..- che se non sembrano essere coerenti al racconto sotteso, sono maliziosamente funzionali alla volontà espressa dal curatore di coinvolgere un più largo pubblico di quello degli addetti ai lavori.

L'interesse nel fare con quel che si ha a disposizione e soprattutto negli esiti spaziali in funzione della loro abitabilità, per lo più in esempi lontani dai riflettori della informazione convenzionale, sposta le luci della ribalta su realizzazioni di comune utilizzo, su edifici non solo o non tanto di emergenza quanto della ordinaria necessità: abitazioni, strutture per comunità, servizi primari in relazione con le risorse disponibili, non sempre locali, senza necessariamente ostentazione di approcci ambientalisti o tecnologici spinti, ma di sapiente disegno. La scienza del costruire ritorna ad essere, come del resto è sempre stata, il modo appropriato di agire in un determinato luogo, con materiali e tecnologie che le appartengono.

Ma non solo Architettura. A scala urbana significa mostrare modi di riqualificare luoghi per la comunità semplici ma puntuali, a Medellìn come a Monte Carasso, ma anche comprendere fenomeni sempre più diffusi quale ad esempio l'Ephemeral Urbanism, città in cui si svolgono periodicamente eventi religiosi o più prosaicamente commeciali, happening di diversa natura che creano inurbamenti straordinari per numero e disegno, in India come negli Stati Uniti, con magari 10 milioni di pellegrini vaganti, studiati non a caso da Rahul Mehrotra, studio professionale a Mumbai ma professore di Urban Design and Planning ad Harvard, Boston Massachusetts US.

A lato anche altri contributi dedicati ai fenomeni urbani, come il progetto speciale della Biennale Conflitti dell'era urbana -questo sì appare in uno spirito di urgente emergenza-, curato da Richard Burdett in vista di Habitat III di ottobre 2016, e che da solo vale una visita tanti sono i dati messi a disposizione. Grafici, mappe e immagini che sovrappongono tra loro il futuro prossimo delle città da 50 milioni di abitanti. Non tanto una mostra, pur contrassegnata da un suggestivo allestimento, quanto una ricerca dedicata a quelle città che dal 1990 ad oggi segnano una crescita della popolazione urbana del 275% e destinate ad ospitare 2 milardi di persone nei prossimi 25 anni, molte delle quali istant city che non sono più una fantasia pop ma strutture fragili e precarie di cui è necessario pianificare risposte ai bisogni di chi vi abiterà.

I Padiglioni nazionali rispondono al tema proposto come sempre in modo assortito.
Il padiglione Italia, in un allestimento low-cost di riciclo di materiali di precedenti edizioni a cura di TAMassociati -Massimo Lepore, Raul Pantaleo e Simone Sfriso-, ha più di altri puntato l'attenzione sull'aspetto operante. Take care, il titolo dell'esposizione, a significare più in specifico prendersi cura e progettare i beni comuni, ammansito da un solido apparato ideologico.
Un percorso espositivo che a partire dal concetto di periferie come fenomeno fisico e sociale, le attraversa con sguardo realista rispetto al degrado ma al tempo stesso progettuale, predisponendosi così a cogliere le energie esistenti e con esse le iniziative che se indirizzate e sostenute -da risorse pubbliche o private o miste poco importa- riescono a realizzare opere di grande efficacia.

Il percorso espositivo è tripartito in pensare | incontrare | agire:
Pensare sottoforma di concetti, pensieri sintentici in forma di epigrafe collocati su un pannello dell'ingresso a firma dei membri del cosidetto comitato di indirizzo, composto non solo da architetti ma critici, imprenditori, mondo del terzo settore, impegnati nello studio di processi partecipati del fenomeno urbano.

Incontrare come percorso svolto in 20 periferie soprattutto italiane, attraverso progetti molto diversi tra loro per costo, modalità di sviluppo e contesto, suddivisi e scelti secondo 10 temi. Per gioco e lavoro sono affiancati ed emergono forti due progetti milanesi: il progetto di BASE per l'ex Ansaldo, a firma di Onsitestudio, e la realizzazione al gratosoglio del GratoBowl, una vasca di cemento per incontri tra skater di livello internazionale, finanziato e realizzato dal Comune: un risultato frutto di un percorso di partecipazione fattiva e dunque di collaborazione aperta tra il quartiere “giovane", gli strumenti per l'ascolto e la capacità progettuale messi in campo dall'amministrazione comunale, accomunati dalla visione della città come palestra a cielo aperto.

Agire infine è l'estensione fuori dalla Biennale del progetto proposto: 5 progetti di dispositivi mobili che, attraverso la formula del finanziamento collettivo (crowdfunding) iniziata con l'apertura della mostra, puntano a essere realizzati e soprattutto attivati dalle associazioni no profit cui sono stati affiliati:
Cultura, con l'associazione italiana biblioteche, è realizzato dallo studio Alterstudio and partner di Milano, per essere operativa nel quartiere Barona.
Ambiente, con Legambiente e lo studio Arcò di Milano, per il quartiere Casilino a Roma.
Salute, con Emergency e l'artista-progettista Matilde Cassani con studio a Milano, per il quartiere Ponticelli di Napoli.
Legalità, con l'associazione Libera e il progetto di Antonio Scarponi per Cerignola in provincia d,i Foggia in un area confiscata alla mafia.
Sport, con la Uisp e lo studio di Marco Navarra di Caltagirone, per il parco Dora di Torino.

Insomma, una Biennale che finalmente non chiede a grand gourmet di turno ricette sofisticate o originali, ne a Maître à penser sulla cresta dell'onda mediatica pensieri particolarmente raffinati per descrivere l'imminente collasso planetario, ma che con efficacia e senso pratico solleva il coperchio su quanto quotidianamente nel mondo è comunemente agito, in cui l'architettura non è stile ma scienza del buon costruire, chiamata ad agire per garantire qualità al mondo che è e sarà, approfittando di questa passerella internazionale per mettere sullo stesso piano il lavoro di affermati e noti professionisti con appassionati architetti di più nuova generazione.

Francesco de Agostini
 



 


 

 

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