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Una professione senza confini: Giandomenico Belotti

Dal 09.02.2012 al 11.03.2012

La Biblioteca dell'Ordine recensisce il raro volume monografico su Giandomenico Belotti, una delle più originali figure del panorama professionale milanese

La Biblioteca dell’Ordine riscopre il volume monografico “Giandomenico Belotti: opere e progetti” a cura di Sergio Crotti, edito nel 1996 da Electa. Si tratta ad oggi dell’unico lavoro bibliografico dedicato all’opera dell’architetto nato a Bergamo nel 1922 e scomparso il 22 ottobre del 2004.

Giandomenico Belotti è stato una figura originale nel panorama dell’architettura italiana: ha lavorato a Milano per buona parte della sua vita, iniziando presso gli studi di Franco Scolari, di Guglielmo Ulrich e di Giulio Minoletti per poi fondare nel 1954 lo “Studio d’Architettura S. Eufemia” assieme a Vittorio Korach e proseguire con Sergio Invernizzi dopo il 1960.

Diplomatosi a Brera e vicino per formazione al mondo delle arti figurative (è membro attivo del MAC, Movimento per l’Arte Concreta), Belotti ha sviluppato una parabola professionale distante da ogni atteggiamento accademico, che considerava una sovrastruttura estranea all’intuizione sintetica delle problematiche del progetto. Nonostante la sua travagliata vicenda universitaria, iniziata a Milano e conclusa a Venezia dopo vent’anni, stringe in quel contesto un forte legame con Franco Marescotti, dal quale assorbe l’impronta etica, metodologica e la vicinanza alle esperienze dei Centri Sociali Cooperativi.

Ancora oggi, alcune sue opere spiccano nel panorama urbano milanese per la loro singolarità. L’edificio in cortina per appartamenti e negozi in via Volta 4 (1952-1953) presenta un chiaro debito verso le esperienze di Asnago e Vender (riferimento oggi non così originale ma tutt’altro che scontato in quegli anni) evidenziando una composizione bidimensionale rigorosamente euritmica, dove lo stretto rapporto tra impaginato in prospetto e distribuzione planimetrica interna si esibisce nell’elegante vetrata del vano scala.

Gli edifici di via Cimarosa 7 (1954-1956) e via Canova 7/a (1958-1960), più noti, costituiscono il culmine dell’esperienza milanese di Belotti e vi compaiono prepotentemente elementi che saranno centrali nella sua poetica: la separazione tra tamponamento e struttura, con quest’ultima sempre ben in evidenza, gli apporti delle altre arti figurative in spazi delimitati dall'architettura, la schiettezza nell’uso dei materiali, soprattutto del cemento armato che lavora con buona maestria e la ricerca di una corrispondenza quasi consequenziale tra planimetria e alzati.

L’edificio in via Cimarosa – perentoria affermazione di modernità in un contesto di cortina ottocentesco – presenta una brillante soluzione distributiva degli alloggi che supera le irregolarità del lotto trapezoidale e impagina un diverso trattamento dei due fronti, logica conseguenza della separazione tra la zona giorno, illuminata da una grande vetrata su via Cimarosa, e la zona notte, più appartata e rivolta verso l’interno del lotto, con i servizi collocati nella risultante superficie triangolare. Lungo le fasce delle solette sono impressi i motivi dell’artista figurativo Casentino mentre nell’atrio è esposta una sintesi scultorea del curioso progetto belottiano per “La casa più bella del mondo”, composta da tre prismi triangolari corrispondenti a quelle che lui considerava le altrettante funzioni dell’abitare.

L’edificio in via Canova 7/a, considerato forse l’esito più riuscito della sua poetica, porta a sintesi tutti gli elementi sin qui elencati: i bassorilievi, ingegnosamente impressi nelle solette dei balconi, e le opere degli scultori Arnaldo e Giò Pomodoro collocate nell’atrio sono uno degli esiti più potenti di quella “sintesi delle arti” teorizzata e messa in pratica da Ico Parisi e gli altri architetti vicini al Mac (per Milano, sicuramente Marco Zanuso, Gigi Ghò, Attilio Mariani e Carlo Perogalli). I prospetti sono ancora una volta la risultante delle distribuzioni interne, rasentando il rigore più assoluto nel prospetto retrostante, dove addirittura ogni stanza denuncia finestrature di differenti dimensioni.

Uscendo dall’ambito milanese, numerosi sarebbero i temi da affrontare nel ripercorrere la carriera professionale di Belotti, dalla progettazione in ambito industriale degli stabilimenti per la Centrale del Latte (Bergamo e Novara) a molti altri edifici realizzati in Italia e all’estero, con particolare riferimento all’esperienza nei Paesi in via di sviluppo (Mozambico, Burkina Faso, Tunisia Capo Verde, poi Costa Rica e Guatemala) con la “Società Cooperativa di Progettazione”; senza dimenticare il suo impegno nel campo del design, con i mobili per Alias e Foppapedretti.

E’ proprio qui forse che il modo di intendere la professione di Belotti manifesta una spiccata attualità: nel suo essere un architetto senza confini, proiettato ad affrontare tutta la complessità del proprio ambito disciplinare nei più disparati contesti socio-geografici e con committenze diversificate, misurandosi senza timori con le problematiche della propria contemporaneità.

In questi tempi di mercato professionale saturo e globalizzato, la sua si rivela una lezione preziosa.

Alessandro Sartori

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