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Storie di case

Dal 15.10.2013 al 15.11.2013

Riportiamo un resoconto dell'incontro di presentazione del volume "Storie di case. Abitare l'Italia del boom" che si è tenuto giovedì 10 Ottobre presso la Triennale di Milano

‘Storie di case. Abitare l’Italia del boom’ è un libro che racconta alcuni spaccati di vita vissuta in quegli edifici residenziali collettivi che, edificati negli anni del boom economico dopo la seconda guerra  mondiale, hanno costruito nel bene e nel male il paesaggio urbano della periferia italiana ed hanno simboleggiato per molte famiglie italiane il traguardo di un’abitazione di proprietà. Il volume, edito da Donzelli editore e presentato alla Triennale di Milano il 10 Ottobre 2013, è l’esito di un lavoro di un gruppo di ricercatori di diversa formazione che hanno ricostruito in dettaglio la storia, le modifiche e le abitudini degli abitanti di alcuni complessi residenziali situati a Roma, Milano e Torino.

Federico Zanfi, uno degli autori, introduce il dibattito ponendosi il problema delle condizioni attuale degli edifici affrontati nel libro; solo a Milano sono tantissimi ed è necessario pensare a un progetto di infrastrutture e servizi.

John Foot, professore di lingua italiana presso l’Università di Bristol é un profondo conoscitore della città di Milano e si mostra entusiasta verso la pubblicazione. Nei suoi studi si è occupato spesso delle coree e delle case di ringhiera, di fatto parenti stretti delle case analizzate nel libro. Se le coree per antonomasia corrispondono all’autocostruzione, molte delle storie raccontate non sono esenti da rimaneggiamenti, distruzioni o, raramente semplici cambi di colore. Per Foot il carattere interessante della pubblicazione è il suo essere un ibrido: è un insieme di storie, un racconto di romanzi, ma anche un repertorio di belle immagini d’epoca e fotografie di Stefano Graziani. La casa, ricorda Foot, dal dopoguerra in avanti rappresenta il sogno della famiglia italiana: ritroviamo il salotto come fulcro di incontro, il tinello etc. Se le immagini degli interni sono di fatto uno spaccato di storia del costume italiano -  dalla televisione al boom degli oggetti industriali – le  fotografie degli spazi di uso comune raccontano, nascondendo alle volte, le insidie e le infinite discussioni spese magari per un dettaglio del corrimano dell’androne o per il cambio di recinzione del giardino, episodi forse iconicamente raffigurabili nella classica riunione di condominio. Foot ricorda infatti come già negli anni ’70 i rapporti di vicinato cominciassero ad incrinarsi, tra spinte verso il consumismo e bisogni di individualismo.

Quando si parla delle difficoltà dell’abitare collettivo, non si può non ricordare “Il condominio” del visionario James G.Ballard  (n.d.r.) -  forse l’incubo di ogni progettista – pubblicato non a caso nel 1976, periodo in cui l’abitare in grandi complessi raggiunse il limite, anche se fortunatamente mai come gli episodi del libro: “I sei mesi precedenti erano stati un periodo di litigi continui fra i suoi vicini, di scontri volgari per gli ascensori difettosi e l'aria condizionata mal funzionante, per gli inspiegabili guasti elettrici, per il rumore e le contese sugli spazi di parcheggio [...] Le tensioni sotterranee fra gli inquilini erano decisamente forti, e solo in parte smorzate dal tono civilizzato del palazzo e dall'ovvia esigenza di rendere l'immenso condominio un successo”.

Secondo Luca Molinari “Storie di case” è un buon libro perché supplisce la carenza di molti libri di storia dell'architettura dove questi edifici non ci sono: abbiamo i capolavori dell’architettura e le case popolari, la via di mezzo è difficilmente contemplata. Forse, verrebbe da dire, anche a ragione, visto che alcuni di questi tipi di edifici hanno distrutto la città, costruendo da un lato un territorio a macchia d’olio senza struttura urbana e dall’altra piccole comunità chiuse di stampo americano. Secondo Molinari è quindi avvenuta una censura del patrimonio edilizio, c’è stata di mezzo la speculazione e affari sporchi ma di fatto queste architetture sono una realtà presente e con la quale siamo costretti a dialogare. In questi anni nasce anche un nuovo modo di vendere la casa moderna: nelle presentazioni e nei cataloghi la casa è arredata con spesso l'indicazione di un modello di vita. Impossibile quindi non ricordare l’esperimento Milano2, il cui catalogo di presentazione offriva un vero e proprio modello di società (n.d.r.). Dagli anni 50 l'oggetto entra nelle case come un auto-promozione, interessante è per esempio la richiesta del balcone per il proprio alloggio: a Napoli tutti volevano degli spazi esterni per guardare il golfo, quando storicamente era appannaggio solo della nobiltà e del clero.

Cino Zucchi interviene ponendo il classico e difficile rapporto con i critici, che vede alle volte come abitanti di un altro mondo. L’elemento innovativo che rende tangibile il libro è il tema della vita che succede all’interno; avrebbe trovato interessante costruire una mappa delle mansioni (piano 1 bidello, 2 impiegato, 3 segretaria...): come una sezione di un immobile parigino fin de siècle o una sezione-programma degli MVRDV. Zucchi riconosce in Gio Ponti un possibile riferimento per il testo, basti pensare alla facciata della casa di via Dezza in cui l’abitare interno è portato in facciata; Ponti era peraltro interessato al cosiddetto modern living. Uno degli errori del contemporaneo secondo l'architetto milanese, è la forzatura nel costruire per esempio i diagrammi del social housing in cui si stabilisce che al piano x ci sono gli under40, al piano y le ragazze madri.. si può essere specifici accogliendo anche l’imprevisto ed il generico.  

Arturo Lanzani, geografo, trova nel testo elementi di continuità e discontinuità. Le storie sono senz’altro impregnate di verità e mostrano come quella politica edilizia abbia di fatto costruito un ceto medo di proprietari. Un elemento positivo è stato il lavoro degli uffici tecnici che decidevano anche i materiali di facciata, controllando quindi la qualità di molti di questi progetti, di fatto non esito di concorsi.

Dal pubblico un intervento che si interroga infine ulla storia recente, sul come gestire oggi degli edifici che molto spesso sono stati costruiti con materiali scadenti, in cui soprattutto gli aspetti tecnici ed impiantistici rendono difficile e dispendioso il loro mantenimento nel corso del tempo.

Manuele Salvetti

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