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MZ Progetto Integrato: una serata all'Ordine

Dal 16.04.2013 al 16.05.2013

Mercoledì 10 aprile, nel quadro delle iniziative del Fuori Salone promosse dal nostro Ordine, serata di inaugurazione della Mostra dedicata al lavoro di Marco Zanuso, con numerosi ospiti a ricordarlo

Mercoledì 10 aprile, nel quadro delle iniziative del Fuori Salone promosse dal nostro Ordine, serata di inaugurazione della Mostra dedicata al lavoro di Marco Zanuso. Ospiti della serata Letizia Tedeschi Direttrice dell’Archivio del Moderno dell’Accademia di Mendrisio, dove è conservato il fondo di Marco Zanuso, e Alberto Bassi, docente IUAV e curatore dell’archivio Sacchi da cui provengono molti dei modelli esposti e insieme curatori del catalogo; Roberta Grignolo,dell’Accademia di Mendrisio, che insieme a  Bruno Reichlin, Professore emerito dell’Accademia, che la soprintende, sono curatori della ricerca dedicata all’archivio di Marco Zanuso; infine Richard Sapper, algido coautore insieme a Zanuso di alcuni dei progetti più importanti dello studio.
La mostra, a cura Alberto Bassi e Fiorella Bulegato, con l'allestimento di Franco Raggi con Alessandra Messori, sarà aperta fino al 30 aprile.


Daniela Volpi si è formata nello studio di Marco Zanuso, ma non ne vuole parlare. Esprime gratitudine a chi si è prodigato per l'organizzazione dell'evento e, con la consueta generosità, legge invece uno scritto che appare di grande attualità, come vedremo tra i pochi lasciati da Zanuso, uomo del fare.

Dopo i ringraziamenti per la collaborazione felicitante con chi ha collaborato per mostra e catalogo e di questi anni con l'Ordine, Letizia Tedeschi tiene a ricordare la recente pubblicazione degli scritti di Zanuso edita dall’accademia e curati da Roberta Grignolo.

Prima degli interventi degli invitati viene proposto un breve video a cura di Francesca Molteni, sapiente mosaico di ricordi, opinioni e racconti di alcuni dei suoi più stretti collaboratori committenti e familiari.
Un collage di voci, a volte simpaticamente irriverenti: dai ricordi della figlia Federica Zanuso, del suo cantar disegnando e del piacere di vivere, del gioco. Daniela Volpi, nel ricordo della vita dello studio, vivace ma anche severa e a volte cattiva –pare volassero i telefoni, a volte. E poi Ennio Brion che ne ricorda l’immediatezza della comunicazione, un tecnico umanista e anche dolce, un precursore se si pensa alla scocca trasparente del televisore Doney, prodotto da Brionvega nel ’62 ripreso da Apple oltre 30 anni dopo. Cini Boeri ne ricorda la logica severa e il rapporto con i committenti. E anche Franco Raggi sottolinea l’alto quoziente di modernità dei suoi progetti, come teoremi; Renzo Piano, per qualche anno assistente universitario di Zanuso, che lo annovera tra i suoi maestri insieme a Albini e De Carlo; e Richard Sapper, che dichiara schiettamente ‘ha fatto la mia vita’, ne ricorda la grande sintonia con il vecchio Brion e la bellissima vita che ha avuto 'di cui da dov'è non si può lamentare'.

Franco Raggi, consueto toreador della serata, testimonia i tagli spietati e implacabili compiuti nel video di Francesca. Ricorda come in una intervista del ’99, Zanuso gli confidò di aver fatto in vita 3 buoni progetti, se sono giusti bastano". A dire la forte essenza etica, in cui gli oggetti non sono mai formali o mondani, dove i processi e i modi d’uso prevalgono.

Bruno Reichlin si dice intimidito dalle parole di Zanuso. Leggere ciò che ci ha lasciato è un sollievo nell’agone contemporaneo. In Zanuso l’appagamento del processo del fare prevale sul risultato. E senza tentennamenti ci conduce nell’antro erpico del funzionalismo. O meglio i funzionalismi. A partire dalla manualistica tedesca, il Werkbund, la Neusbau e il determinismo tecnico, fino ad Adolf Behne e il funzionalismo organico di Hans Scharoun o Hugo Hering contrapposto al razionalismo di Mies e Le Corbusier. In Alexander Klein sottolinea la ricerca performativa della residenza, ma che enumera per ottimizzare senza prescindere dalla qualità in termini sociali borghesi, a differenza dei Fracofortesi che ragionano esclusivamente in centimentri e quantità.
Le Corbusier stesso non è proprio possibile considerarlo solo attraverso il funzionalismo, poichè, citando Henri Poincaré, sosteneva che “le soluzioni sono tante, ma una è elegante”, che a sua volta ne contiene altre, in termini poeticamente autoriflessivi.
Marco Zanuso si è salvato facendo: nei suoi scritti ritorna costantemente sulle stesse idee, con un certo distacco da quella che chiama la ‘cultura ufficiale’, che ha paura di sporcarsi le mani, appunto, nel fare.
Una cultura che ha di fatto marginalizzato questa operatività, così come per esempio anche con Minoletti, ma oggi stiamo lavorando per riportarle in primo piano.

In effetti, suggerisce Raggi, a Zanuso le mostre che lo celebravano non gli interessavano, non ha mai fatto un libro dei suoi scritti, e scriveva se e quando necessario.

Roberta Grignolo, ricercatrice dell’accademia di Mendrisio e curatrice del libro dedicato agli scritti di "MZ sulle tecniche di produzione e di progetto", edito quest’anno da Silvana Editoriale,  cerca di spiegare il distinguo tra tecniche di progetto, in cui si definiscono le strategie di passaggio da programma a progetto realizzato, e macchina inventiva.
Dopo essersi laureato con Griffini proprio su Klein e il funzionalismo nel ‘34, nel ’39 parte per la guerra, passando per l’Accademia di Livorno, dove attraverso l’esemplarità delle navi su cui è imbarcato, gli si rivela la tecnologia.
Nel ’46 per la riapertura di Domus diretta da Rogers scrive un manuale sulla cucina, esemplare nelle analisi grazie al tema eminentemente funzionale.
La produzione di serie sembra essere il suo richiamo, ma in italia la produzione dell'edilizia prefabbricata è in ritardo, e così il design, insieme ai nuovi materiali sintetici, in questo primo periodo professionale prende il sopravento, e proprio con Pirelli inizia la sua esperienza legata al “learning by doing” della produzione industriale.
In questo senso, illuminante è il passaggio da chassis a monoscocca da lui descritto in alcuni suoi scritti dedicati all'evoluzione del design automobilistico, cruciale per comprendere il suo pensiero, così come Gilbert Simondon nel ’58 distingueva tra oggetto tecnico astratto -lo chassis, il primitivo telaio su cui è montato il guscio- e oggetto tecnico concreto -la monoscocca, in cui elementi che compongono il guscio risultano invece collaboranti.
Del resto è lo stesso approccio di Jean Prouvè nella celeberrima Maison du Peuple di Clichy della seconda metà degli anni ’30.
E proprio come Prouvé subisce una progressiva marginalizzazione da parte della cultura ufficiale.

Franco Raggi coglie il destro per rilevare l’afflato positivista e anti ideologico, in cui la forma non è stile ma frutto di un solido processo di generazione, introducendo
Alberto Bassi, curatore dell’archivio dei modelli di Giovanni Sacchi di Sesto e docente IUAV di stanza a San Marino, oltre che curatore della mostra insieme a Raggi stesso. Evidenzia il sottotitolo ‘design tecnica industria’ per dire il ruolo del design nella società, da cui il progetto integrato. 3 temi per la mostra: tecnologie quotidiane –con i noti progetti di TV e radio; Componente meccanica e industriale -e l’attitudine ai materiali; abitacoli contemporanei -dal vespasiano alla casa di emergenza. Nessun compiacimento auratico, ma lavoro, ovvero il processo che c’è dietro le quinte nel progetto industriale.

Infine irresistibile Richard Sapper, coautore di numerosi progetti con Marco Zanuso, che scoppia a ridere ancor prima di iniziare il suo gioioso intervento. Perchè bisogna sapere, dice evocando tempi che sembrano siderali, che in Italia, alla fine degli anni ’50 e per tutti i ’60, era possibile tutto. Nel senso che ciò che si pensava si faceva, non vi era alcun dubbio di naufragare.
Prima di lavorare con Zanuso lavora per Gio Ponti, il quale visti i suoi schizzi gli propone subito di far produrre, che fosse una lampada o un vaso, a suoi artigiani: detto fatto.
Eravamo molto più poveri ma felici, un mondo aperto, un’atmosfera unica. Qualcosa che forse oggi è in Cina e Corea.  Già in Giappone ci sono più problemi.
Zanuso aveva l’abitudine di farsi allestire il tavolo da disegno e una volta seduto cantava –vecchie canzoni napoletane- e disegnava a mano libera fino a che il progetto era finito. Una gioia.
Gio Ponti non cantava, ma lasciava messaggi personali, portava in giro per la città tutti i 40 ragazzi che aveva in studio provenienti da tutto il mondo.
Del resto, afferma, ha cambiato studio dopo un paio di anni per lavorare con Zanuso perchè non era interessato a disegnare mobili per ufficio, ma era affascinato dal disegnare oggetti che si muovevano: una forma che si muove è tutta un’altra cosa.

Buona mostra a tutti, fino al 30 aprile.

Francesco de Agostini

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