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Ricardo Bak Gordon

Dal 06.02.2013 al 12.03.2013

Primo incontro del ciclo 7x7 organizzato dalla nostra Fondazione con l’architetto portoghese, presentato da Enrico Molteni. Entusiasmo e passione per un'architettura che dialoga coi luoghi

Inizia con l’architetto portoghese Ricardo Bak Gordon il ciclo di incontri 7x7, organizzato dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano. Un ciclo in cui, attraverso il confronto tra il lavoro di un architetto ospite e un architetto locale, possa emergere un percorso professionale nella realtà contemporanea, tra differenze e continuità (n.d.r.). Ricordiamo che nel Canale Youtube dell'Ordine è visibile il video dell'intera conferenza.

 Il ciclo che prende avvio oggi nasce da una vibrata protesta. Franco Raggi con consueta ironia, racconta come, a seguito della presentazione del volume collettaneo ‘bespoke’, Federico Tranfa, curatore del libro, lamentasse del parlar poco di architettura all'Ordine, soprattutto da parte di chi la fa senza mezzo stampa.
Così è nata l’idea di affidargli la curatela di questi incontri con 5 architetti europei e 2 italiani, accompagnati su un ring amichevole da 7 architetti milanesi.
A questi succederanno poi ulteriori 4 incontri voluti dall’Ordine dal format diverso ma obbiettivi affini, a cura invece del gruppo Wonderland. In questo caso sarà bandita una ‘call for paper’ su alcuni temi, all’interno dei quali saranno scelti 3 interlocutori per ognuno.

Federico Tranfa
ammette che tutto è nato per gioco, senza dare affatto per scontato che l’iniziativa potesse tramutarsi in realtà.
Milano è una città che ha una forte centralità culturale. Dal suo interno noi la critichiamo spesso aspramente, ma chi è fuori continua a riconoscerle un ruolo culturale importante. Per questo abbiamo pensato di invitare alcuni autori, principalmente per ascoltarli, senza troppo preoccuparci di non essere al centro delle cose.
Una selezione limitata, per un ciclo di incontri relativamente breve, senza volontà di cercare filiazioni di genere o generazionali, ma con un occhio di riguardo verso l’accuratezza e la serità della ricerca. Una cernita di architetti dunque accomunati dall’impegno di tenere fermo un percorso di ricerca nello spazio quotidiano della professione. Qualcosa insomma che non riguarda figure eclatanti, ma utili al quotidiano lavoro, anche nostro.

Enrico Molteni, l'architetto milanese ospitante, preferisce definire l’iniziativa un incontro piuttosto che un combattimento. Si dice contento di presentare un architetto con cui sa di avere un terreno comune negli anni di formazione, anche se conosciuto solo questa sera. Ringrazia Federico Tranfa per l’opportunità di imparare tutti qualcosa di nuovo.
Ne racconta sinteticamente il percorso: studi a Lisbona, poi a Porto, quindi a Milano per poi tornare a laurearsi a Lisbona nel ’90. Manifesta subito una grande capacità di uscire dai confini locali, come poi accadutogli professionalmente in Brasile, San Francisco e Tokio.

Ricardo Bak Gordon parla un italiano semplice ma efficace, diretto e appassionato. Mostrerà qualche progetto recente, anche se negli ultimi 2 anni sembra non esserci più lavoro. In Portogallo ci sono tantissimi architetti e la crisi è fortissima. Ma la vita procede, e l’architettura resiste al dopo: vale dunque la pena di andare avanti, magari in direzioni diverse da prima, forse con uno sguardo più ampio.

I primi lavori che ci mostra sono interventi su scuole esistenti.
Negli ultimi 6 anni, con la riforma scolastica condotta secondo una prospettiva pedagogica nuova, sono state richieste modifiche di rinnovamento per oltre 200 plessi scolastici. Dal 25 aprile 1974, data della rivoluzione dei garofani, la scuola secondaria diventa obbligatoria, per cui vengono costruite un grannumero di scuole, composte per lo più da strutture a padiglione, senza alcuna attenzione a clima, morfologia, contesto. A queste strutture, inoltre, mancano le attrezzature complementari oggi indispensabili: biblioteche, auditorium, aule computer, etc.
Si tratta quindi di migliorarne il confort fisico e aggiungere questi nuovi spazi, connettendo i padiglioni tra loro.

La prima che mostra si trova nella periferia di Lisbona.
Una zona che definisce frattale in termini sociali e fisici. È composta da 5 padiglioni, al centro dei quali realizza un nuovo edificio di connessione ai padiglioni periferici e contenente le nuove funzioni. Un edificio in muratura metallica a sandwich, così come la struttura, in cui come in tutti i suoi progetti, le porte e le finestre sono solo dove servono. All’interno si alternano nuovi e vecchi spazi, con nuova materialità elementare, fatta di griglie e condotte a vista, spazi a doppia altezza e soppalcati: una topografia leggera.

La seconda è a Porto, in un'area di natura affine ma con un clima profondamente diverso, freddo e umido. Serviva dunque uno spazio aperto ma coperto – non richiesto, ma che bak Gordon sentiva necessario al centro della scuola, dove convergono biblioteca e bar. Si è poi cambiato l’ingresso e la topografia leggermente digradante in sezione, aiuta a creare diverse situazioni. La struttura della piazza centrale coperta non poggia a terra, è costituita da una struttura precompressa, a doppia altezza, cui fa rimando la biblioteca, anch’essa sviluppata su due livelli.

La terza è di nuovo alla periferia di Lisbona, di tipologia analoga alla precedente. In questo caso si sono riutilizziate parti vuote, costituendo un nuovo ingresso, segnato da uno zoccolo nero e bianco in sommità: un modo per qualificare anche gli spazi verdi attigui al sistema di circolazione coperta, che riorganizza i vuoti.

A queste scuole, segue la presentazione di alcune case private.
La prima è una casa urbana, posta all’interno di una grande corte. A Lisbona ci sono cortili molto estesi, una sorta di città nella città.
Il primo schizzo di progetto mostra un rapporto tra pieni e vuoti a favore di questi ultimi. Una costruzione a patio, tutta di 3 metri di altezza, al cui interno trovano luogo 2 unità di abitazione. Ogni patio costituisce un proprio paesaggio, una sorta di palcoscenico per gli affacci che si rincorrono, costruiti tutti su un unico modulo dimensionale, e ritagliati in una struttura in cemento armato a vista.
Sottolinea come il rapporto di interesse tra gli spazi sia interno/esterno/interno, una sorta di continuo rimando a cosa succede accanto.
Mostra poi come l’unico colore utilizzato – arancio vivo - sia posto solo sulla porta d'ingresso e sulla cappa della cucina, non a caso elementi simbolo dell’abitare.

È la volta di una casa in Algarve, la prima in cui un cliente gli propone un terreno senza vista: una centralità astratta che amplifica l’artificialità del progetto: perchè l’architettura è contro natura.
Una composizione semplice fatta dalla piattaforma rialzata 20mx20m, e dai muri/copertura. Le aperture sono sempre in rapporto tra loro, così come gli interni in relazione coi patii. La geometria del tetto enfatizza i limiti della proprietà, secondo un disegno che continua anche nelle coperture dei patii in stuoie di miglio.  All’interno si percepisce molto la verticalità della sagoma del tetto, anch'esso in cemento armato, come se la casa si costruisse per dentro, tanto che le divisioni interne sono in legno e vetro, mai a tutta altezza, molto colorate, a segnare questa forte alterità tra struttura/tetto e vita interna.

La terza è una casa a 100km da Lisbona, all’interno di un borgo di autosussistenza agricola. Un piccolo lotto passante su due fronti incastrato nella cortina esistente, che si sviluppa su più livelli, assecondando il pendio esistente.
Ci troviamo nel pieno della tradizione portoghese, in cui il rapporto con il luogo prevale con passione: “se ti levano il luogo, ti levano il 50% del progetto. L’altro 50% è programma”, afferma. Anche qui le aperture sono quelle necessarie. Le persiane interne insieme agli imbotti sono caratterizzate ognuna da colori diversi.
Una casa, afferma, che senza l’insieme del borgo non avrebbe ragione di essere.

Il successivo progetto presentato è un frantoio, una delle principali produzioni industriali portoghesi, la cui committenza è abituata a relazioni con artisti, fotografi, designer. Chiedevano qualcosa di particolare. Ne è risultata una costruzione alta 11 metri, in cui la produzione nei 3 mesi di attività – i più freddi e piovosi dell’anno - procede giorno e notte.
L’edificio è posto in contiguità con gli olivi, si ritaglia all’interno di un campo, come se fosse nato dalla terra. Infatti l’attacco a terra non si vede, dipinto di nero. Al centro si trova il settore di allestimento aperto al pubblico, con un suo ingresso autonomo. Agli estremi vi sono invece le diverse funzioni della produzione.

Infine l’ultimo progetto è preceduto da un breve antefatto.
All’inizio della sua carriera, Ricardo vinse un concorso per la realizzazione dell’Ambasciata portoghese a Brasilia. Panico. Decise allora di andare a parlare con Paulo Mendes da Rocha, il più grande architetto Brasiliano vivente. Impiegò una settimana per trovarlo, ma dopo avergli mostrato il progetto, divennero amici.

Quattro anni fa Paulo Mendes da Rocha venne invitato dal governo portoghese per la costruzione del nuovo Museo delle carrozze a Belem, che lo volle come architetto locale.
Si tratta di un progetto con un programma complesso, in cui Paulo Mendes da Rocha ha voluto che ogni spazio fosse pubblico, non chiuso su se stesso.
È composto dal padiglione di esposizione, poderosa costruzione in cemento armato a vista, e un annesso dedicato alla gestione del museo. Al contorno, Paulo Mendes da Rocha ha voluto coinvolgere i piccoli edifici esistenti che costituiscono la quinta della piastra pubblica al piano terreno.
Il progetto parte - e ritorna ogni volta che si trovano in cantiere in un dubbio interpretativo - da un bellissimo modello fatto personalmente da lui. Caratteristica del suo modo di lavorare è di non avere uno studio con molti collaboratori, ma di costituirsi in partnership ogni volta con suoi studenti o colleghi. L’uomo più libero del mondo. L’auditorium interno è di grande contrasto con la ricchezza del centro culturale di Belem di Vittorio Gregotti.

Infine una rapida carrellata di disegni, in cui emerge la sensorialità del tratto, di grande formato e con colori astratti. Disegni utili, ci racconta, per entrare negli spazi. Disegni molto fisici.

Enrico Molteni
sottolinea come ognuno ha i suoi maestri. Se per lui il maestro è stato Alvaro Siza, per Ricardo è sicuramente Paulo Mendes da Rocha. Nei disegni, nei primi schizzi di progetto vi è un'intuizione, afferma, che non va assolutamente sottovalutata. Nel modo in cui Ricardo parla, dice, si sente l’architettura, l’odore e il colore.

Ricardo Bak Gordon risponde come intimidito: “Non saprei fare in altro modo....”.

Molteni in chiusura raccoglie due elementi emergenti dall’esposizione di Bak Gordon preziosi per tutti noi: l’esperienza di rinnovamento del parco scolastico sarebbe sicuramente una iniziativa da importare in Italia.
E inoltre che nella crisi portoghese, il caso di Bak Gordon è di grande insegnamento: nel giro di un anno e mezzo, è passato a lavorare a scala intercontinentale.

Bak Gordon si schernisce: "il medico, per trovare lavoro, mica va per strada e chiede 'come stai'? "
Ci sono centinaia di bravi architetti portoghesi che nel mondo potrebbero fare bene. Nel suo caso, si rende conto che la collaborazione con Paulo Mendes da Rocha ha funzionato bene per il Brasile, poi ho vinto un concorso in Mozambico e poi in Svizzera. Oggi non ha lavoro in Portogallo.
E conclude "Se non c’è lavoro sarà perchè non serve... e si aggiunge alle nostre preoccupazioni". Grazie Ricardo.

Francesco de Agostini

 

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