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Permanenza e mutazione nell’abitare urbano

Dal 13.11.2012 al 15.12.2012

Il 6 novembre si è tenuto l'ultimo incontro monografico del Master di Housing Sociale e Collaborativo, con Paolo Riolzi, Pierluigi Nicolin. Un resoconto

Ultimo degli incontri monografici organizzati dal Master in Housing Sociale e Collaborativo di Poli.design / Politecnico di Milano, in collaborazione con la Fondazione dell'Ordine.
martedì 6 novembre presso la sala conferenze di via Solferino serata dedicata al tema dell’abitare contemporaneo, ospiti Pierluigi Nicolin, architetto, professore ordinario di composizione al Politecnico di Milano, autore di un’intensa attività pubblicistica ed editoriale con la rivista Lotus International, di cui è il direttore dal 1978, e Paolo Riolzi, giovane docente di Fotografia al Politecnico di Milano e alla facoltà di Design e Arti di Bolzano, che attraverso il suo lavoro di fotografo e videomaker indaga i processi urbani che accadono nella città contemporanea, con particolare interesse al rapporto tra lo spazio architettonico e il paesaggio sociale che lo abita.
Introduce Paolo Mazzoleni, coordinatore degli incontri del ciclo e neo eletto presidente della Commissione del Paesaggio a seguire proprio il prof. Nicolin.
Incontro conclusivo del ciclo il 15 novembre 2012 dalle ore 21.00, sottoforma di tavola rotonda con i coordinatori e i membri del comitato scientifico del Master del Politecnico di Milano, attorno al "Il futuro dell’Housing Sociale e Collaborativo". Saranno presenti anche l'assessore all'Urbanistica e i tecnici comunali di settore.


Paolo Riolzi
ha trascorso 6 mesi attorno e soprattutto dentro all’intervento di recente costruzione di residenza sociale dello studio MAB di via gallarate a Milano, e si è reso conto di come se non attivata dal basso la formula della partecipazione non funziona, in quanto la preoccupazione domestica allontana dalle questioni dell’abitare collettivo.
è necessario attivare processi prima e dopo la costruzione, affinchè si attivi un sentimento collettivo di appartenenza, e sedimenti un senso di apparteneza a luoghi che non sono quelli dei condomini coinvolti dal concorso di aggiudicazione dell’alloggio.
Emblematico in questo senso il colloquio filmato che ci viene mostrato in cui una adolescente esprime alla madre indifferenza riguardo chi sia il vicino di casa.
Un altro elemento evidenziato dal video e sottolineato da Paolo Riolzi sono le finestre come paesaggio sociale. Infine la colonna sonora, per sax solo, realizzata da un inquilino nelle cantine dell’edificio.

Un altro interessante progetto presentato è quello realizzato presso il Museo di Arte contemporanea a Bolzano, dove l'artista Alberto Garutti  in mezzo la piazza del quartiere popolare Don Bosco oramai una decina di anni fa ha realizzato  il 'cubo', una sorta di protesi del museo stesso, costruendo una teca di cemento e vetro con l'intenzione di inserire a rotazione le opere del Museo, perchè anche gli abitanti ne potessero fruire.
Paolo Riolzi invitato dal Museo a formulare un progetto 'site specific' ha dunque chiesto agli abitanti del quartiere di inserire a rotazione in tale teca museale le proprie 'vetrinette', ovvero il classico mobile dei ricordi delle zie e dei nonni: una forma di partecipazione reale ad una espressione che si fa artistica in virtù del medium adoperato.
Un modo per rafforzare la necessità contemporanea di coinvolgere i desideri di chi abita, nella convinzione che i processi dall’alto non possano essere più padroni del vivere quotidiano collettivo.

Pierluigi Nicolin sembra proseguire il discorso introdotto da Paolo. Concorda con il fatto che da troppo tempo guardiamo gli edifici da fuori, che pensiamo alla partecipazione per fare appartamenti ma non per decidere come abitare.
Riparte proprio dalla nozione di Macchina da abitare, una affermazione di Le Corbusier presto degradata. Così come Poul Valery affermava la poesia macchina per commuovere, che non significa la macchina da scrivere. Non si tratta di un concetto macchinista insomma. Via via si è poi arrivati a parlare di modello dell’alloggio, e poi del modello come tipo: inconcludente.

Il dentro-fuori oggi è il culto del balcone. Dopo la sociologia delgli anni ’80 e il sistema dell’allogigio, l’inquilino cerca il suo abitare altrove. Come Fëdor Dostoevskij lo collocava sulle scale, noi oggi sui balconi...
D’altra parte si mette in moto un altra nozione: la malattia di abitare, un concetto che dall’inizio del ‘900 muove insofferenze.
Antony Vidler con il suo “the Architectural Uncanny” (MIT 1992, Einaudi 2006), riprende la nozione Freudiana del 1919 di Perturbamento: tutto ciò che ci è più estraneo è nel familiare, e il modernismo non si fa attraversare dal dubbio freudiano.
L’uomo di Le Corbusier, "l’umunculus socialista" del ‘900, come uno sperduto cappuccetto rosso porta alla decostruzione dell’alloggio. Alla impraticabilità del pranzo salotto casa famiglia, del giorno notte.
Non serve Heidegger, afferma,  per vedere che vivere abitare pensare avviene letteralmente ovunque: pensiamo alla figura del camionista. Si sono dunque rotti gli argini, l’alloggio è la tuta rotta di un palombaro.

La via intermedia potrebbe essere il loft: via pareti e porte. Insomma, la residenza è una disciplina tra le più specializzate, ma poi possiamo abitare ovunque.
Oggi ci troviamo con un alloggio fordista in una città post fordista, dove prevalgono la mobilità sociale e la migrazione. Per questo va rifondato.
Noi stessi del resto cambiamo modo di vivere nel corso della vita 4 o 5 volte.
L’alloggio dunque è percorso da numerose inquietudini, noi siamo qui e dappertutto, il nido è perturbato. Pierluigi Nicolin propone alcune strade per uscire dall'impasse.

Una via è anteporre la città alla macchina di abitare, all’alloggio.
La città è la narrazione, e l’esempio di via Gallarate è un po’ fuori da questo narrare. Non è necessario essere tradizionalisti, senza dover scomodare la città dei piani. Si deve invece pensare alla formazione molecolare, in cui la materia indivisibile è il cittadino.
La città è un elemento plastico, che conosciamo, di cui conosciamo le regole, è fatta di case –è già il Palladio a dircelo.

Un’altra via è ‘prendere cura’, nel senso di imparare dai casi singoli e dalle loro specificità.
City Life nelle sue pubblicità mostra sempre i terrazzi, e quando leggi “abitare a Milano rimanendone fuori”, leggi della filosofia pura, come, appunto, abitare sul balcone.
Il peggiore dei committenti è quello che pensa di capire lo spirito estetico, quando dovrebbe invece avere solo chiaro il programma di ciò che vuole.
Oramai sono gli spazi serventi quelli che contano: fare un bagno è difficile, una cucina è sublime, ma il soggiorno rimane vuoto...

Paolo Mazzoleni sottolinea l’interesse del discorso riguardo la casa su misura, un addestramento attraverso cui i migliori architetti razionalisti erano passati prima di cimentarsi nella casa ‘standard’.
Chi ha scritto i regolamenti edilizi purtroppo non ha questo addestramento –e Nicolin gli dà del riformista...

Paolo Riolzi
coglie l’aspetto perturbante con un esempio: la consapevolezza della tradizione cattolica della famiglia come luogo degli affetti, così come del 80% degli omicidi che avvengono in famiglia.
Forse anche per questo è in corso una fuga dal normalismo, la dove la normalità si esprime sempre più negli spazi virtuali.

Pierluigi Nicolin incalza: se non si pratica non si impara, perchè mentre pratichi succedono cose.
Oggi vi è una sproporzione pazzesca tra la capacità di pensare una cosa e realizzarla.
Cita il concorso in corso del Vigorelli, dove probabilmente arriveranno 500 adesioni per fare qualcosa di cui non si sa quasi nulla.
Molti vanno a lavorare in africa per sentirsi utili, per fare qualche cosa con gente vera, con le proprie mani, e così facendo contribuire alla felicità di qualcuno.
Quello che gli economisti chiamano ‘capability’ a significare la qualità di vita a confronto con il pil, pone il pensiero limite: meglio ricco e paralitico o povero e prestante?
Nei paesi poveri è l’estraneo infelice, non loro (?), e questo infonde ottimismo: nel senso che in questa prospettiva non siamo disperati. Nello stesso modo, le nostre università italiane sono al 200° posto mondiale, quando probabilmente siamo nelle prime 30.

Stefano Guidarini ricorda la mostra al Moma di 10 anni fa, dedicato "la Casa anti domestica", in cui si rappresentava tutto ciò che la casa borghese non è: lavoro, ospitalità, laboratorio etc.
Giuseppe Marinoni (architetto milanese per anni collaboratore dello studio Nicolin) si fece una casa in quello spirito, ma poi per venderla dovette ricreare una casa tradizionale.
Le piante di City Life, di Cino Zucchi al Portello o dell’ufficio tecnico dello iacp –a parte dimensioni, finiture e rapporto interno/esterno- sono a suo avviso tutte uguali. Proprio a causa di questa gabbia normativa precedentemente richiamata.
Alla fine forse le case ‘800, corridoio e camere in batteria si dimostrano paradossalmente più versatili.

Sembri Marco Romano, afferma Pierluigi Nicolin, perchè non si tratta di guardare indietro, ma di aiutare la gente a finire appropriatamente le proprie case. Cita a titolo di esempio il suo intervento all’IBA di Berlino, della fine degli anni '80 e da lui rivisitato recentemente: lo ha trovato completamente ribaltato. Così va il mondo...

Paolo Riolti porta l’esempio della Casa Nova di Christoph Mayr Fingerle del 2006 a Bolzano, dove, sulla base di 3 varianti di finestra proposti, la composizione viene affidata agli abitanti.

Pierluigi Nicolin insiste ancora su balconi e terrazzi, perchè le distribuzioni interne sono subordinate a leggi commerciali: "nello status symbol non si paga lo spazio". E il terrazzo non è ancora codificato dal codice burocratico dell’alloggio.
Porta infine l’esempio del repertorio “Housing Contest”, dove a suo avviso gli architetti hanno svicolato dal problema della distribuzione dell'alloggio con diversi artifici, ma sotto sotto rimane il motore fordista.
Si muovono le masse di superficie della facciata, una menzongna che dice: non siamo tutti uguali, e rifiutiamo la ripetizione. Ma, ribadisce, a suo avviso il valore superiore non si chiama architettura ma città, che non sono le stecche orientate secondo l’asse eliotermico del regolamento razionalista.
L’edilizia di sostituzione, che sarà il futuro delle nostre città, contiene tutti i temi del ragionamento urbano: attacco a terra, spazi del lavoro e della residenza, coronamento etc.
In via Gallarate i MAB mancano in relazioni, fanno del buon teatro, ma non hanno cambiato il rapporto con la città.
Nell’housing sociale il valore è nell’alloggio? Dove si deve esprimere la cura dell’architettura?
I developer non sono gli speculatori di una volta, hanno un approccio cultural pubblicitario.

Chiude citando l’esempio del condominio di via Altaguardia dello studio Albori, dove lo sviluppo dell’impianto attorno ad un albero esistente lungo la via ha introdotto le variazioni condivise con i soci cooperanti, che festeggiano tutti gli anni il lavoro, ma ha definitivamente compromesso il rapporto con l'operatore, in questo caso le cooperative, che in termini costruttivi e di costo beneficio dell'intervento ritenevano del tutto sbagliate tali scelte.
Ma proprio qui è l’errore...

Francesco de Agostini

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