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Un viaggio nel mondo di Gio Ponti

Dal 06.05.2011 al 06.06.2011

Quale migliore occasione per rendere omaggio all'architetto milanese se non i 50 anni del Pirelli? Pubblichiamo un commento sulle due mostre che ne celebrano la vastissima produzione

Quale migliore occasione per rendere omaggio a Gio Ponti, se non in occasione dell’anniversario dell’edificio che in un certo senso rappresenta il suo marchio di fabbrica? Il Grattacielo Pirelli compie 50 anni, diventando a tutti gli effetti un monumento e offrendo l’occasione per inaugurare due mostre: una, Gio Ponti il Fascino della Ceramica, ospitata al primo piano del Pirelli e l’altra, a 360 gradi, Espressioni di Gio Ponti presso la Triennale di Milano.

Dal 6 maggio al 31 luglio le ceramiche pensate e prodotte dall’architetto milanese saranno esposte al pubblico offrendo un aspetto meno noto della sua produzione.
Nel 1923 Ponti assunse la direzione artistica di Richard Ginori dirigendola per sette anni e ottenendo importanti riconoscimenti – primo fra tutti il Gran Prix ricevuto nel 1925 – e internazionalizzando la manifattura italiana. Dario Matteoni, curatore della mostra, spiega che la Richard Ginori venne interamente rivoluzionata proprio grazie alla direzione pontiana. Il rapporto con l'azienda non si fermava solo alla creazione dei pezzi; Ponti ne curava anche la loro diffusione e comunicazione, pubblicizzando le creazioni attraverso la fotografia e la grafica su riviste, prima fra tutte Domus.

Secondo Matteoni, è possibile individuare alcuni temi chiave che contraddistinguono la produzione pontiana, il cui filo conduttore è certamente la ricerca di modernità, seppure è riconoscibile anche l'appartenenza al decò internazionale. L'attenzione all’antico è un aspetto affrontato sia attraverso la forma delle stesse ceramiche – ciste romane, vasi che rimandano alla trattatistica rinascimentale – che mediante il decoro, inteso non come semplice applicazione quanto piuttosto come un'allusione a qualcosa d'altro.

Il percorso documenta quindi l’attenzione sia verso l’antico che verso la contemporaneità – futurismo, metafisica – riuscendo così a tratteggiare una “modernità sospesa”, citando le parole di Raffaello Giolli, critico dell'epoca.

Significativo il pezzo “La Passeggiata Archeologica”, un'urna raffigurante personaggi sospesi su di una scacchiera in cui si ripetono a ritmo costante gli elementi della classicità come obelischi e colonne. Alcune forme più antiche, come la cista, si alternano a forme più sperimentali, tutte prodotte grazie alle grandi competenze che aveva la Ginori e che Ponti seppe utilizzare. Il rapporto con l'architettura classica è inoltre molto evidente nelle Serliane, piccole architetture che reinterpretano gli elementi chiave delle architetture rinascimentali del Serlio.
Tuttavia, il classico non rimane mai una semplice citazione chiusa in sé, ma si contamina con le avanguardie; ne sono un esempio le porcellane folkloristiche in cui figure danzanti evocano movimenti futuristi.
Interessante anche il vaso-mappamondo “Le mie terre”, in cui gli Stati Uniti d'America sono raffigurati come territorio in cui gli indiani, e quindi la tradizione, convivono con i più sperimentali grattacieli dell’epoca.

La mostra inaugurata alla Triennale – Espressioni di Gio Ponti – affronta invece a tutto tondo la figura dell'architetto.
Alla conferenza stampa inaugurale, tenutasi nella mattinata del 5 maggio, gli organizzatori ne hanno spiegato i punti salienti.
Secondo il Presidente della Triennale Davide Rampello, la figura di Ponti deve venire diffusa come modello. Oggi si parla molto di creatività e di connessione tra le varie arti; in questo senso la sua variegata produzione – piccoli oggetti, ceramiche, arredi, pubblicità, editoria, architettura – costruisce una figura di progettista operante in tutti i settori. Rampello sottolinea inoltre che Ponti fu il primo direttore artistico della stessa Triennale, luogo pensato appositamente per contenere tutte le arti, compresa un'orchestra sinfonica di sessantaquattro elementi.

Salvatore Licitra gestisce l'Archivio Ponti dal 1996, e si mostra molto soddisfatto del risultato: "Si è riusciti a catturare Ponti e ciò non è stata certamente un'impresa semplice data la sua grandissima e variegata produzione". Milano rappresenta per Ponti il baricentro; qui ha costruito e prodotto tantissimo ed è sempre da questa città che è partito per far conoscere i prodotti all’estero.

Pierluigi Cerri, curatore dell’allestimento, ricorda le parole di Emilio Tadini: “Una mostra deve essere un racconto, leggibile come un ipertesto ed avere un incipit”. Il colore e la leggerezza sono appunto gli elementi predominanti per affrontare Gio Ponti, dai quali Cerri ha iniziato, allestendo una mostra divisa in design e architettura. Da un lato gli arredi che raccontando perfettamente l'epoca in cui sono stati costruiti, sanciscono il passaggio tra il grande artigianato e il design industriale e dall'altro le architetture, la cui sezione dedicata è ricca di modelli, disegni e ricostruzioni. 

Germano Celant, curatore della mostra e del catalogo ha ragionato per emergenze, cercando di costruire una sala milanese e una più internazionale. All'inizio si è chiesto “Come leggere Ponti?”. Certamente non in senso univoco ma piuttosto cercando di sondare tutta la sua produzione, per costruire un viaggio avventuroso tra le cose.

Significativo è certamente l'ingresso alla mostra, in cui moltissime “Superleggera”- sedia riprodotta da Cassina ininterrottamente dal 1957 - sono sospese nello spazio su di un basamento che riproduce a scala originale la variopinta pavimentazione progettata da Ponti nel 1976 per il giornale “Salzburger Nachrichten” e ricostruita per la mostra dalla Cooperativa Ceramiche d'Imola.

Moltissimi sono i pezzi esposti, dagli arredi della villa a Caracas alle posate per Christofle, dalle lampade per Fontana Arte ai vasi per Venini. Avere l'occasione di ammirare creazioni tra le più diverse tra loro le une a fianco delle altre permette di ricostruire un personaggio che ha creato moltissimo, che ha inteso lo stile non come un indirizzo a senso unico ma piuttosto come un preciso modo di guardare le cose. La mostra permette quindi di intraprendere un “viaggio” tra i capolavori del maestro; il percorso è molto fluido e permette di ammirare con semplicità sia i pezzi più classici che quelli più moderni, riuscendo a cogliere ancora oggi la modernità che ha contraddistinto tutta la sua produzione, costellata da molti archetipi di design.

 

Manuele Salvetti



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