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Quale eredità per la Scuola di Milano?

Dal 21.02.2011 al 21.02.2012

Report dell'incontro dedicato al libro "La ragione degli edifici. La Scuola di Milano e oltre" dello scorso 17 febbraio presso la Biblioteca dell'Ordine

L’incontro dello scorso Giovedì 17 Febbraio presso la Biblioteca dell’Ordine ha rappresentato un’occasione di dibattito pubblico sul tema della città. Partendo dall’analisi del libro di Antonio Monestiroli intitolato “La ragione degli edifici. La Scuola di Milano e oltre”, gli ospiti Fulvio Irace, Ennio Brion e l’autore introdotti da Vito Redaelli hanno avviato una discussione sul ruolo dell'architetto nelle grandi trasformazioni che stanno coinvolgendo la città di Milano. Il testo, che nella sua parte centrale passa in rassegna alcuni dei maestri milanesi (Albini, Gardella, Rogers, Asnago e Vender, Grassi, Rossi e il romano Adalberto Libera, che viene definito “l’architetto romano più vicino ai milanesi”) si riferisce ad un preciso ambito culturale, uno specifico modo di intendere la professione che oggi si trova relegato in una posizione marginale rispetto al mercato edilizio e al dibattito sulla trasformazione della città. E – come osserva Vito Redaelli nell’introduzione che avvia la conferenza – in una situazione analoga si trova la Scuola Urbanistica Milanese, che ha avuto in Lucio Stellario D’Angiolini uno dei suoi più illustri interpreti.

Il libro di Monestiroli, concepito come strumento operativo atto a chiarificare i princìpi teorici della propria attività, rifiuta di restituire un quadro esaustivo di quella che viene definita “la Scuola di Milano”, compito che spetta piuttosto agli storici ma delinea invece una “galleria degli antenati” – per usare le parole di Fulvio Irace – composta dai propri maestri.

Milano – come nota nel suo intervento Ennio Brion – negli anni della Ricostruzione post-bellica veniva considerata una capitale dell’architettura moderna, visitata e studiata da tutti gli architetti del mondo. Intorno agli anni ’70 ha subito un progressivo e inesorabile declino che l’ha portata a diventare un luogo marginale - Expo a parte - rispetto al dibattito architettonico mondiale. Brion sottolinea il cambiamento del mercato che ha imposto alla committenza, schiacciata dalle necessità economiche, di optare per soluzioni collaudate, conferendo incarichi per commesse importanti quasi esclusivamente a professionisti già affermati della scena internazionale. Analogamente, i moderni meccanismi legati a comunicazione e mass-media hanno reso la scelta di un archistar più sicura, in quanto portatrice di visibilità per le grandi operazioni di trasformazione urbana, con conseguenti benefici all’investimento. E se negli anni '50 e '60 chi costruiva edifici residenziali era talvolta interessato a ricavarne la propria abitazione, magari al piano attico, con tutta una serie di ricadute positive nella cura del progetto e la scelta del progettista, oggi si costruisce quasi esclusivamente per il mercato, rispondendo ancora una volta a princìpi di ordine prettamente economico e a rapidità di esecuzione.

Sono dunque questi, per Brion, alcuni dei fattori che hanno marginalizzato, con poche eccezioni, i professionisti della scuola di Milano, sostituiti oggi da altri più affermati nella scena internazionale e che spesso sono molto più attenti ad utilizzare con abilità i meccanismi mass-mediatici e affabulatori legati alla sfera della pubblicità rispetto a discorsi di natura civile sul ruolo dell’architetto nella società.

Per corroborare queste osservazioni è stato portato il caso Citylife, dove il connubio tra valutazioni economiche e ricorso ad archistar ha assicurato un ritorno d’immagine e pubblicitario di sicura efficacia, tutto a discapito di quella che Monestiroli chiama “razionalità delle forme”. Infatti se il museo di Liebeskind trova giustificazione formale nella ripresa di uno schizzo di Leonardo ruotato progressivamente verso l’alto secondo un disegno spiraliforme, risulta evidente che la razionalità a cui accenna Monestiroli nel libro, intesa in senso illuminista, non è affatto un ambito condiviso nel panorama architettonico contemporaneo ma anzi esistono processi diversi, legati all’immagine, che determinano con maggior urgenza le scelte progettuali.

Non è un caso dunque che già nel titolo del libro – la “ragione degli edifici”, appunto – venga esplicitato il motivo fondativo su cui riavviare il discorso della Scuola di Milano, per rivendicare una propria specificità e un ruolo civile nella società. L’urgenza è di ribadire con chiarezza i princìpi – e non tanto le “forme” – sui quali far rinascere la scuola, riallacciandosi ad una tradizione che pare oggi sul punto di interrompersi.

Alessandro Sartori

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