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Una lezione di architettura e di vita

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Martedi 29 Gennaio all’Ordine degli Architetti PPC di Milano e Provincia, un’altra serata gremita di gioventù desiderosa di ascoltare le esperienze progettuali di Architetti senza Frontiere e Africabougou.


La serata e’ moderata dal pungente architetto Giacomo Borella, che, fin dall’introduzione, richiama l’attenzione su temi forti. Innanzitutto esorta e tralasciare la retorica e sottolinea dubbi sul settore degli aiuti allo sviluppo e sul processo a senso unico di somministrazione dei progetti nei Paesi del Terzo Mondo.

La serata scorre via in un lampo, sotto le immagini di progetto di Camillo Magni ed Emilio Caravatti in Africa. Scuole, abitazioni, centri sociali, ma non solo. Una volta comprese le tecniche costruttive più adatte al clima e alle risorse locali, questi professionisti stanno stilando documenti che aiutino nella progettazione e realizzazione di edifici che, con bassa manutenzione, resistano al clima e alle aggressioni delle forti piogge. Un documento che identifichi patologie costruttive e tecnologiche dell’edilizia costruita negli ultimi 20 anni e già bisognosa di consintenti manutenzioni.

Non dimentichiamo che il clima in Africa e’ ancora uno degli aspetti che generano e regolano la vita. Le previsioni del tempo alla TV durano piu’ del telegiornale, perche’ un solo millimietro di pioggia in piu’ o in meno puo’ fare la differenza.

La sfida e’ quindi quella di coniugare le capacità professionale con la vocazione al volontariato, con l’idea di vedere il progetto architettonico come un mezzo, uno strumento per la produzione di sviluppo. L’interesse non e’ quindi nell’architettura come fine ultimo, ma come processo produttivo.

Con questi obiettivi in mente, l’architettura nasce solitamente con un progetto di massima, spesso concepito in Italia e valutato e modificato in loco, una volta giunti sul cantiere. L’osservazione della popolazione e del contesto fanno spesso modificare le idee iniziali anche in modo radicale.

I lavori partono solitamente con un contributo iniziale di un’impresa, che getta le fondazioni e innalza le strutture portanti, per passare poi nelle mani della popolazione che utilizzerà questi spazi. Uomini, donne e bambini, ciascuno secondo le sue capacità, costruiranno i muri, impasteranno la malta, produrranno e trasporteranno mattoni, non solo per apprendere nuove competenze, ma per appropriarsi del luogo e imparare da subito a comprenderne il valore e l’utilizzo.

Il lavoro viene seguito in loco il piu’ possibile. L’invio di disegni che vengono, nella migliore delle ipotesi, stampati su un A4 e interpretati con gli occhi di un africano che non puo’ concepire le dimensioni in mm e le trasforma automaticamente in cm fanno sì che il contributo sul cantiere sia fondamentale.

Camillo ed Emilio vogliono, a questo punto, smentire le iniziali affermazioni di Giacomo Borella, affermando che il progetto e’ assolutamente un processo a due vie, in cui l’architetto italiano, condividendo le sue conoscenze, acquisisce dall’atmosfera e dalle persone locali un patrimonio di altrettanta saggezza.

La serata si conclude con la lettura di un estratto della conferenza tenuta da Giovanni Michelucci alla facoltà di Firenze il 27 marzo 1990.


Non credo al foglio di carta su cui nasca la città, un disegno, una forma, la città non è una forma, è altra cosa, qualcosa che nasce; ad esempio quando voi andate a fare una passeggiata nel bosco e sentite sotto i vostri passi il bosco che ha un contenuto, ha qualcosa, voi sentite che i passi trovano un orientamento, una indicazione, qualcosa che si sta disegnando sotto i vostri passi. Sentire che quello che è scoperto della terra è un disegno, che non è della terra stessa, ma vi entra nell’animo e si precisa sino a diventare un elemento vivente; io faccio un segno, ma è un segno che può non avere nessuna consistenza se quel segno ad un certo momento non mi indica una possibilità, una vita diversa, un orientamento diverso da quello che seguo oggi.


Prossimo appuntamento il 13 febbraio con Raul Pantaleo.

Susanna Conte

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