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Architetto versus cliente, tra patti chiari e “buona sorte”

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Riceviamo la segnalazione di questa intervista pubblicata sul “Giornale dell’Architettura” di settembre 2007 che volentieri pubblichiamo, come stimolo al dibattito sulla Professione anche alla luce del Decreto Bersani, di cui altrove in questa pagina troverete degli approfondimenti.

Nell’immagine qui a fianco, il progetto di Dominique Perrault, vincitore nel 2003 del Concorso per l’ampliamento del Teatro Marinskij a Sanpietroburgo, di cui nel gennaio 2007 la committenza gli ha revocato l’incarico.

Il contratto d’incarico

Architetto versus cliente, tra patti chiari e “buona sorte”

Per l’avvocato austriaco Hannes Pflaum, l’architetto è l’unico professionista che accetta ancora di lavorare “navigando a vista”

Avvocato, lei ha rappresentato in Austria nei decenni passati molti committenti e architetti: quali sono i problemi che più frequentemente emergono ali 'inizio di un incarico?

Il fatto che i committenti occu­pino generalmente la posizione più forte ha portato all' abitudi­ne consolidata di trattare gli architetti in modo poco dignitoso. L'architetto è considerato fin dall'inizio quasi un avversario.

Ma quali sono i doveri dei committen­ti?

Il loro dovere più nobile consi­ste nel pagamento dell'onorario al momento giusto. Un altro compito è quello di prendere le necessarie decisioni, e di non ri­mangiarsele. La cosa più costo­sa che esista in architettura è il «desiderio del cliente»: il cliente in questione può essere la sposa del committente, che desidera aggiungere una sauna, oppure un gruppo di direttori e profes­sori di una clinica, ognuno con le sue speciali esigenze. Il che porta a colossali sforamenti del preventivo (che poi vengono rin­facciati all' architetto), oppure alla revisione del progetto per contenere i costi, il che a sua vol­ta porta a discussioni su chi do­vrà pagare per il tempo speso sul­le varianti progettuali poi cesti­nate. Per evitare questi inconve­nienti occorre un' attenta prepa­razione, e in particolare una de­finizione precoce del program­ma, che non dovrebbe subire modifiche sostanziali dopo la fa­se preliminare.

Nei negoziati, la questione della parcella è sempre in discussione. Come mai?

Esiste sempre, da parte del cliente, un'immensa diffidenza: la parcella è calcolata come percentuale del costo di costruzione, il che porta al sospetto che l'architetto non abbia interesse a contenere i costi. Per risolvere questo conflitto sono possibili alcune strade, come l'uso cl] un sistema di premi/penalità legato ai costi. Però questo porta in genere a discussioni accanite su chi sia responsabile delle variazioni in più o in meno del costo finale. Altri accordi prevedono una parcella fissa, ma questo funziona solo se il progetto è ben elaborato nella fase iniziale

E’possibile evitare questi intoppi preparando meglio il contratto d'incarico?

Senz' altro. Ed è necessario che i servizi forniti dall'architetto sia' no definiti con maggior chiarez­za. Non di rado gli architetti sono soddisfatti dell' esistenza di un'«area grigia» di scarsa definizione dei propri compiti, anche se è un' area sistematicamente oggetto di conflitto. Si finisce sempre con il discutere se un particolare servizio fornito faccia parte o meno del contratto. Come tracciare la linea tra ciò che è dovuto e ciò che non lo è? Da parte mia, consiglio agli architetti di non rifiutare mai una richiesta di un servizio in più, ma di avvertire che si riservano di computarlo tra i costi.

Capita che gli architetti ricorrano ai suoi servizi già in fase di definizione dell'incarico?

In passato, i committenti consideravano molto scortese la presenza in sede di contrattazione di un avvocato a fianco dell' architetto. Eppure l'avvocato, in quella fase, non fa che offrire una consulenza per giungere a una collaborazione priva di problemi. A me capita di rappresentare sia gli architetti sia i loro clienti e, in effetti, in caso di disputa l'avvocato è chiamato sempre troppo tardi: le cause del conflitto sono spesso remote, e la documentazione è spesso molto lacunosa. Il che porta a difficoltà nel provare i propri argomenti, e per l'avvocato diventa arduo fornire una lettura in chiave legale della vicenda.

Quali sono gli «errori» di cui più frequentemente sono accusati gli architetti?

I ritardi innanzitutto, poi le dispute sul pagamento di servizi addizionali, servizi ripetuti, ecc. Gli errori progettuali sono raramente un problema: capitano molti inconvenienti tecnici, ma quelli sono quasi sempre coperti da assicurazione. Ci sono anche conflitti generati da meccanismi «ricattatori» che risalgono alla fase di cantiere, come quando il cliente rifiuta di pagare come forma di compensazione dei costi imprevisti. Questi scenari in genere si verificano nelle fasi finali di un progetto, il che per un architetto è disastroso, perché a quel punto sono in ballo somme importanti.

Il ritardo nella consegna del progetto e lo sforamento del budget per errori progettuali sono motivi sufficienti per esonerare un architetto dall'incarico?

Sì, ma nella realtà i casi in cui questo avviene sono del tutto eccezionali. È rischioso, anche per il cliente, rescindere il contratto. Si apre la questione della proprietà artistica del progetto, che mette in crisi il proseguimento dello stesso da parte di un nuovo professionista. Se le ragioni sono tutte dalla parte del committente, questi è naturalmente libero di continuare la realizzazione dell' opera, ma se l'architetto è licenziato senza adeguata giustificazione, o semplicemente perché il cliente desidera sostituirlo con un altro, le conseguenze possono essere pesanti.

Che cosa pensa della possibilità di preparare dei contratti standard?

Ne abbiamo preparato uno per la Camera degli Architetti Austriaci, ma non so se poi sia stato utilizzato. Non penso però che i contratti standard potranno avere grande fortuna. I clienti importanti hanno in genere dei "loro» contratti standard, che non sono disposti a cambiare se non marginalmente. Si tratta spesso di contratti pessimi, perché hanno la tendenza a integrare nel testo, come clausole aggiuntive, tutte le brutte esperienze del passato, senza che queste clausole siano armonizzate con il resto. Il risultato è in genere un testo ricco di contraddizioni, o addirittura di clausole che definiamo «rompi/accordo», inaccettabili dal punto di vista dell' architetto. Li chiamo «contratti della buona sorte»: della serie «se sono for­tunato, andrà tutto bene». Ad esempio? Tra le clausole, ve ne sono alcune che contemplano penalità senza distinzione di responsabilità, senza limitazioni o garanzie sui costi, che dipendono in realtà da imponderabili fattori esterni. lo sconsiglio sempre di firmare questi contratti ...

Gli architetti a volte iniziano a lavorare prima di firmare un contratto. Come giudica quest'abitudine?

Non c'è nessun'altra professione che io conosca in cui un professionista lavora senza prima firmare un contratto di qualche genere. In architettura le cose sono diverse: il cliente prima vuole un'«idea», e chiede all'architetto un progetto di massima; egli non vuole impegnarsi da subito e l'architetto da parte sua non vuole metterlo sotto pressione. Il gioco può andare avanti anche per molto tempo: il cliente ritiene, in assenza di contratto, di poter annullare il rapporto quando vuole, mentre l'architetto spera di avere una buona chance di ottenere la commissione dopo tutto il lavoro che ha già fatto per il committente. Fino a un certo punto per l'architetto la cosa può funzionare, dato il principio legale per cui, in rapporti di affari, si considera che i servizi siano forniti dietro pagamento (a meno che non sia esplicitamente specificato altrimenti); e inoltre, più si procede nella progettazione, più diventa difficile per il committente ricominciare da zero con un altro architetto. Ogni incarico, comunque, fa storia a sé: in un caso abbiamo firmato il contratto d'incarico in un edificio per uffici che era l'oggetto del contratto!

Che cosa consiglierebbe a un giovane architetto alle prese con i primi con' tratti di incarico?

In generale nel loro corso di studi gli architetti non imparano nulla di business management o di diritto contrattuale, e anche nell'apprendistato è raro che abbiano occasione di partecipare a negoziazioni contrattuali. lo raccomanderei ai giovani di farsi rapidamente una cultura in questi due campi.

O Intervista a cura di:

ASTRID PIBER

Hannes Pflaum è avvocato e partner dello Pflaum Karlberger Wiener Opetnik di Vienna. È inoltre direttore dell'Architekturzentrum Wien. Questo articolo è già apparso sul numero 2 della rivista « Wonderland» ( www.wonderland.cx ), dedicato agli “errori degli architetti”.

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