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Complesso dell'Opera Don Calabria

Anno: 1952 - 1965

Località: Milano, Parco Lambro - Cimiano

Indirizzo: via Don Giovanni Calabria

Destinazione d'uso: Edifici per l'istruzione

Progettista: Carlo De Carli

 

Nel  numero monografico di Urbanistica n. 18-19  del 1956, dedicato al Piano Regolatore di Milano, il piano particolareggiato di Cimiano sud è così descritto: “il secondo dei quartieri in costruzione lungo il viale Palmanova è formato da piccoli nuclei residenziali […] collegati da grandi spazi destinati a verde pubblico. Particolarmente  importanti il centro del quartiere e il gruppo scolastico”. Si tratta del Centro Don Calabria progettato da Carlo De Carli e realizzato a Cimiano tra il 1952 e il 1965 ai margini del Parco Lambro. Una ricostruzione del cammino di idee e programmi che stavano dietro  la partenza del progetto, prima che apparisse un’idea dotata di una qualche chiarezza, e di ciò che avveniva in questo spazio negli anni che vanno dal ‘45 al ‘52, aprirebbe scenari inaspettati: si potrebbe scoprire un modo di vivere e di organizzare il lavoro oggi inimmaginabile e anche un po’ sconcertante. Vi si troverebbe, ad esempio il cardinale Schuster, che invita il veronese Don Giovanni Calabria “in una zona rossa scarlatta”, come la definirà lo stesso sacerdote, ad acquisire un terreno del Comune. Per farne cosa? Si chiede ancora lo stesso prete. Qualcuno (don Luigi Verzè, inviato dalla stessa Opera dei Servi Poveri della Divina Provvidenza) vorrebbe un ospedale, Schuster una casa di riposo, poi un complesso a sostegno dei ragazzi sbandati del dopoguerra.

 

Nel 1952 iniziano i lavori per un complesso che integri scuole elementari e di avviamento professionale con i relativi laboratori, un pensionato con asilo infantile e scuole femminili (tenuto dalle Suore Orsoline di Verona), una residenza per i ragazzi (non realizzata), la chiesa e le relative opere parrocchiali. De Carli è così impegnato nel suo tipico tema di un organismo, in questo caso urbano, determinato per aggregazione di “unità architettoniche di spazio primario”.

 

L’area su cui vengono realizzati gli edifici del Centro Don Calabria ha la forma di un trapezio e al suo interno si alternano palazzine e zone lasciate a verde. La planimetria generale è coordinata da una griglia composta da ottagoni e quadrati e gli edifici vi vengono collocati come unità, autonome nella loro essenzialità e finitezza, e al tempo stesso aperte al contesto e agli altri edifici. Per primi vengono realizzati a sud est di via Pusiano i tre laboratori esagonali, separati da “esterni-interni” (piccole corti allungate) e caratterizzati dalla lama orizzontale dei ballatoi aggettanti sopra il piano terra arretrato e dalla continuità delle finestrature modulari in legno, che, come osserva Rossari, “fa lievitare i corpi, distaccandoli dal terreno, ma nel contempo li fa dialogare, li mette in rapporto reciproco”. Nel chiarire la relazione che si dovrebbe instaurare tra le varie unità architettoniche, De Carli ricorre alla metafora dell’ “albero della foresta fisica” che è sì elemento chiuso, finito, ma allo stesso tempo, vivo e aperto: che dialoga con l’intorno, che accoglie tra i suoi rami ma non trattiene. Successivamente vengono realizzate le scuole (un semplice ed elegante parallelepipedo che ospita nello zoccolo di piano terra e interrato la segreteria e la palestra, e ai piani superiori le aule didattiche), il pensionato, destinato ad accogliere giovani lavoratrici o signore anziane, e infine la chiesa parrocchiale. Se le scuole sono caratterizzate da fasce marcapiano in cemento martellinato e dal rivestimento del clinker chiaro, il pensionato (oggi totalmente alterato e irriconoscibile) era scandito dalla scalettatura in diagonale delle stanze, collegate da una loggia esterna, e dalle  scansioni ritmiche delle porte-finestre, distinte da fasce marcapiano e da incisioni del rivestimento in clinker. Scrive Marina Molon: “Il complesso di servizi di Cimiano sembra una “città di fondazione”, una piccola città ideale nella periferia, con il suo tracciato, il suo confine e i suoi capisaldi architettonici, anche se tutto – forme e disposizioni – sembra muoversi”.

 

Claudio Camponogara