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Claudio De Albertis

Dal 03.12.2016 al 15.12.2016

È morto venerdì 2 dicembre nella sua casa milanese. 66 anni, presidente di Ance e della Triennale, ha lavorato fino all’ultimo. camera ardente in Triennale e funerali lunedì 5 dicembre alle 11 in Sant'Ambrogio. Un ricordo della nostra Cecilia Bolognesi

È morto venerdì 2 dicembre nella sua casa milanese, dopo una lunga battaglia contro un tumore. 66 anni, presidente di Ance e della Triennale, ha lavorato fino all’ultimo. Domenica camera ardente in Triennale. I funerali lunedì 5 dicembre alle 11 in Sant'Ambrogio.
Un ricordo della nostra Cecilia Bolognesi.

 

Un vivace monello nei vestiti di un gentleman: questo per me era l’amico Claudio. Non vorrei tracciarne un ritratto destinato alla pagina di un qualsiasi autorevole quotidiano ma raccontare quello che era per tanti noi questo amico straordinario, sempre votato alla conquista delle persone e del mondo intero. La corsa è stata in parte il nostro terreno d’allenamento alla vita: a Milano con sveglia alle 6.00 buia, con qualsiasi temperatura, con i suoi tram sferraglianti, o le acque ferme dei navigli, ma anche a Parigi, Londra, New York o sui monti della Liguria o nelle scampagnate della domenica mattina a Nord e Sud della nostra città, nei campi come nei boschi, con il sole o con la pioggia. Il gruppo si allargava e stringeva ciclicamente ma Claudio era sempre il centro. Nella corsa si commentava tutto, fiato permettendo, e lui distillava le sue strategie con chi gli stava accanto, a turno, ascoltava le voci della città che gli portavamo, ripassava l’imminente giornata, chiedeva opinioni sulla cultura, sulle cose che scopriva con la curiosità insaziabile che lo dominava. Nei viaggi in macchina assumeva il dominio sulla musica senza possibilità di replica, salvo la zuffa, riempiva il tempo di aneddoti, chiamava alcuni dei cento numeri che sapeva a memoria, scommetteva cene e punizioni esemplari sui risultati elettorali come sportivi, commentava le architetture che vedeva dal finestrino elogiando le imprese della sua amatissima Borio Mangiarotti. Era amabilmente partigiano. Amava i festeggiamenti, ne creava apposta per fare famiglia, gruppo, associazione con un ascendente sulle masse che gli veniva naturale e che coltivava inconsapevolmente tenendosi al passo con tutto, anzi davanti a tutto. La prima scoperta della malattia lo trovò convinto di potercela fare come da giovane, con una frattura subìta delle gambe, o qualche anno prima con la rottura del ginocchio o altre disavventure secondarie. Con l’insorgere di qualche dubbio non ci fu un momento in cui rallentasse il suo impegno, o il desiderio delle sue relazioni; la natura della sua educazione, fortificata dalla sua indole vivace lo spingeva ad accelerare la corsa fino a farlo dimenticare quello che inevitabilmente lo aspettava. Lo penso ora, come dopo l’ultimo kilometro fatto tutto di testa a perdifiato, a bordo pista sudato, finalmente sereno pronto a ristorarsi.

Ciao Claudio, Cecilia

 

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