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Una macchina del tempo per Milano

Dal 04.04.2011 al 05.05.2011

Report dell'incontro di presentazione del libro "Storie industriali" dello scorso Giovedì 31 Marzo presso la Biblioteca dell'Ordine.

Giovedì 31 marzo, presso la Biblioteca dell'Ordine, si è svolta la presentazione del volume “Storie industriali: passato e presente nel sud est di Milano”. Il libro, a cura di Vito Redaelli e Stefania Aleni, cataloga e descrive le realtà produttive oggi dismesse dell’area sud-est milanese: una sorta di “macchina del tempo” – per usare un’espressione degli stessi curatori - che rievoca i principali caratteri della città industriale novecentesca, un modo per ripercorrere un capitolo di recente storia urbana attraverso un originale mix di testimonianze individuali e collettive con la finalità di mettere a fuoco i mutamenti oggi in atto nel territorio milanese.

La cultura industriale, che ha avuto a Milano compiute manifestazioni dall'età giolittiana agli anni del "miracolo" post-bellico, assumeva il contesto urbano – introduce Marco Engel - come fattore positivo con cui rapportarsi. La modalità con cui collocare gli edifici negli isolati e con cui esibire temi rappresentativi nel disegno dei fronti costituiva espressione di un preciso modo di gestire il rapporto con la città. E il mondo produttivo accettava anche la sfida di affrontare altre questioni urbane legate alla residenza e al tempo libero, dagli alloggi per operai e impiegati ai centri per l'aggregazione del dopolavoro. Ne è derivato un progetto unitario di città che il libro restituisce in maniera chiara, espressione di una presa di responsabilità complessiva verso la costruzione del territorio da parte di una classe dirigente.

A seguito dei fenomeni di dismissione industriale avviati negli anni Settanta, determinati dai processi della globalizzazione e dalla crescita esponenziale delle pressioni immobiliari, è venuto a mancare l'elemento cardine attorno a cui era costruita questa visione urbana, ovvero la fabbrica. L'unità di questa cultura è finita per frammentarsi in una miriade di unità produttive dislocate a pioggia nell'hinterland, quando non al di fuori dei confini nazionali, favorendo una progressiva “de-responsabilizzazione” verso il territorio che oggi risulta evidente dalla generale qualità del costruito. Non essendoci più una precisa localizzazione delle attività produttive, fulcro attorno a cui creare ricchezza, cadono le virtuose corrispondenze tra impresa e luoghi, come ad esempio il caso della Falck a Sesto, della Pirelli in Bicocca oppure della Olivetti a Ivrea. E tale perdita – sostiene Luca Mocarelli – è in qualche modo connessa alla marginalizzazione dei valori di memoria, indissolubilmente legati al costruito e da esso rievocati.

Se dunque questa realtà appartiene al passato, l’urbanità dell'hinterland milanese sembra non saper proporre delle alternative altrettanto valide o programmi di lungo periodo, consegnando una idea di città costituita da frammenti in cui esistono solo residenze, grande distribuzione e terziario, senza una vera relazione con il contesto o una precisa identità. Manca in sostanza quello che è avvenuto in maniera virtuosa in certi contesti europei, come ad esempio la riqualificazione del bacino industriale della Ruhr, dove si è cercato di re-vitalizzare i luoghi attraverso forme partecipate, con la creazione di un mix di servizi collettivi, verde e cultura. Sono invece significative a questo proposito le vicende travagliate di alcuni grandi progetti milanesi come la defunta Biblioteca Europea di Porta Vittoria (BEIC), la “Città delle culture” all'Ansaldo (progetto oggi fortunatamente ripartito) oppure la problematica questione dell'Expo, a testimonianza di una realtà che sembra avere linee guida poco chiare sui modi di costruire il territorio attraverso un’idea di compiuta urbanità.

Alessandro Sartori


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