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Centro servizi al villaggio INCIS
Anno: 1972 - 1981
Località: Pieve Emanuele, Sud
Indirizzo: piazza Giacomo Puccini
Destinazione d'uso: Centri Civici
È una fiducia quasi disarmante nelle possibilità dell’architettura, ritenuta capace di incidere oltre lo spazio costruito, influenzando i comportamenti e migliorando la qualità della vita, a guidare Guido Canella, Michele Achilli e Daniele Brigidini nella progettazione del centro servizi al Villaggio INCIS di Pieve Emanuele. Fiducia dai più considerata vana, ma non certo anomala per il periodo in cui l’architetto si trova ad operare. Chiamati a intervenire in un quartiere dormitorio a 13 km da Milano, i progettisti si misurano con la necessità di realizzare una serie di edifici pubblici, tentando al contempo di sopperire alla mancanza d’identità di una comunità che fatica a riconoscersi come tale. Solo nel 1968 infatti, l’amministrazione pubblica decide di ovviare alla carenza di servizi di un quartiere costruito 6 anni prima e destinato a 8.000 dipendenti statali.
Una scuola materna, una scuola elementare, un edificio multiuso, un centro commerciale e un centro parrocchiale si attestano su una piazza centrale. Sulla scena disegnata da Canella, Achilli e Brigidini ogni edificio rivela uno spiccato carattere autonomo. Eppure sono proprio le possibilità di integrazione tra le funzioni e di connessione tra i volumi a costituire la trama compositiva attraverso cui leggere il progetto. Nel tentativo di aumentare le occasioni di vita associata, lo spazio pubblico è animato da un disegno tridimensionale. La piazza gradonata incontra un percorso in quota da cui è possibile accedere ai diversi edifici, nonché alla copertura praticabile della scuola elementare. Dall’alto è possibile scorgere, oltre gli edifici residenziali che si susseguono indifferenziati, il paesaggio rurale circostante. Canella sostiene che le parti si rendono «criticamente percepibili» per sottolineare la distanza, non solo fisica, tra spazio pubblico, zona residenziale e campagna. Le parole scelte tuttavia raccontano della speranza – o forse tradiscono l’illusione – che gli abitanti leggano i colti indizi disseminati nel progetto con la medesima precisione con cui lui stesso li dispone.
Il progetto, ricco di citazioni (da Le Corbusier a Gaudì, fino al costruttivismo russo) e cosparso di soluzioni ad alto grado di complessità, riflette la maestria compositiva dei progettisti, ma rende lo spazio poco comprensibile a quanti dovrebbero abitarlo. Di conseguenza il tentativo di superare lo sradicamento e favorire l’identificazione con gli spazi non raggiunge gli esiti sperati. Oggi del progetto originale rimane poco; la vivacità degli spazi è stata pressoché cancellata. La manomissione ha coinvolto lo spazio pubblico e ha lasciato gli edifici – in cui è ancora possibile leggere la forza espressiva e la straordinaria tensione della composizione – privi del fulcro vitale. L’«antigrazioso canelliano», per utilizzare l’espressione di Manfredo Tafuri, viene così sostituito da un ambiente complessivamente anodino.
G. Canella
in «Casabella» n. 395, 1974
M. Grandi, A. Pracchi
Zanichelli, Bologna 1980
K. Suzuki
Zanichelli, Bologna 1983
E. Bordogna
Electa, Milano 1987
G. Gramigna, S. Mazza
Hoepli, Milano 2001
M. Biraghi, G. Lo Ricco, S. Micheli (a cura di)
Hoepli, Milano 2013