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Complesso residenziale Monte Amiata nel quartiere Gallaratese 2
Anno: 1967 - 1974
Località: Milano, Gallaratese
Indirizzo: via Falck 53, via Cilea 106
Destinazione d'uso: Edifici residenziali
Progettista: Carlo Aymonino, Aldo Rossi
La convenzione tra il Comune di Milano e la “Società Mineraria Monte Amiata” consente alla fine degli anni Sessanta la costruzione di residenze per 2.400 abitanti in un’area posizionata strategicamente lungo la direttrice nord-ovest di Milano. Nell’impostazione del progetto, lo studio di Carlo Aymonino trascura deliberatamente il luogo, totalmente privo di riferimenti sia naturali che artificiali. I progettisti agiscono accentuando il distacco dal contesto mediante la definizione di cinque corpi di fabbrica di altezze e profondità diverse, disposti a ventaglio intorno a un cardine, e connessi tra loro dai percorsi di collegamento e dagli spazi commerciali e di svago. Due triangoli speculari sono gli elementi ordinatori che evitano l’isolamento e l’autonomia delle singole parti che lo compongono. Un teatro all’aperto assume il compito di disarticolare lo spazio e si configura come cerniera di relazione tra i corpi di fabbrica in linea, offrendosi come luogo di relazione e di scambio, sia sociale che formale. In questo senso lo spazio pubblico risulta sostanziale e sostanzioso.
Il progetto, nella sua struttura compositiva, si pone nello spazio urbano con l’ambizione di diventare il potente modulo di costruzione, dal punto di vista spaziale e figurativo, di un settore di sviluppo della città. «Il tipo della cellula abitativa non determina più la configurazione volumetrica dell’edificio» (Aymonino, in Dardi, 1974): così l’architetto descrive il “fenomeno innovativo” che permette di elaborare «soluzioni specifiche ai luoghi di applicazione», radicando l’oggetto architettonico nel contesto di inserimento oppure, dove questo manca, «strumentarlo in chiave di una alternativa morfologica». Nel complesso vige l’idea di un disordine programmatico: il Gallaratese “indovina” il futuro della metropoli, spersonalizzato ma formalmente caratterizzato. Anche l’uso vivace dei colori è un espediente per inserire variazioni in un panorama che si profila uniforme e privo di stimoli. All’«espressionismo moderato di Carlo Aymonino» (Tafuri, 1980), Aldo Rossi contrappone un blocco geometrico puro, «sospeso al di sopra di ogni ideologia». Mentre Aymonino fa uso del linguaggio della sovrapposizione e della complessità compositiva di oggetti aggregati, Rossi fa tacere la forma. Il progetto rossiano si limita infatti a tracciare un edificio in linea che si offre come un «segno assoluto»; un segno che assume come proprio riferimento la tipologia della residenza popolare lombarda: «il percorso del ballatoio ha il valore di una strada. L’organizzazione interna quindi si adatta all’edificio» (Rossi, 1970). La chiarezza tipologica si pone come movente della progettazione di un oggetto muto, al limite del metafisico. In quest’opera Aymonino e Rossi si segnalano tra i pochi gli autori della “generazione di mezzo” in grado di esplorare nuovi orizzonti del lavoro progettuale rifacendosi a uno spirito politico. Il Gallaratese, in questo senso, diventa il monumento della classe operaia, liberata dall’architettura ma costretta a scontrarsi con la realtà capitalista.
C. Aymonino
in Gruppo Architettura, Quaderni di progettazione 3, IUAV, Venezia 1970
C. Aymonino
in "Lotus" n.7, 1970
A. Ferrari
in "Casabella" n.391, 1974
C. Dardi
in "L'architettura: cronache e storia" n.226, 1974
M. Grandi, A. Pracchi
Zanichelli, Bologna 1980
C. Conforti
Officina, Roma 1981
G. Gramigna, S. Mazza
Hoepli, Milano 2001
L. Monica (a cura di)
FA Edizioni, Parma 2008
M. Biraghi, G. Lo Ricco, S. Micheli, M. Viganò
Il Poligrafo, Padova 2010
M. Biraghi, G. Lo Ricco, S. Micheli (a cura di)
Hoepli, Milano 2013