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Riferimenti milanesi

Anno:  1931 - 1997

Località: Milano, Duomo

Destinazione d'uso: Multifunzione

Un giorno di maggio, prima di andare nel castello da caccia del principe, il giovane Werther torna alla sua città e mentre si avvicina saluta le vecchie bene conosciute case in mezzo ai giardini, mentre, come scrive, “le nuove mi erano odiose, come tutti gli altri cambiamenti che erano stati fatti”. Persino di fronte alla vecchia casa dove aveva abitato si ricorda solo “delle pene, delle lacrime, dei torbidi sentimenti, dell’angoscia del cuore che avevo sofferto in quel covo”. Poi scende verso il fiume e l’osservazione dell’intorno si trasforma in un problema di conoscenza: si ricorda del lungo tempo passato a guardare l’acqua e come se seguisse la corrente lontano “finchè mi perdevo nella contemplazione di distanze invisibili”. La fantasia di queste “distanze invisibili” lo riporta alla naturale sapienza degli antichi e all’ambiguità del conoscere: “A che mi serve ora poter ripetere come un qualsiasi scolaretto che la terra è rotonda? L’uomo ha bisogno di poche zolle solamente per godervi sopra e la sua felicità e di ancor meno per riposarvi sotto (…).
(…) Le distanze invisibili sono per noi l’architettura del passato e del presente; ma soprattutto del futuro. E il futuro non sono i tram sferraglianti per una antiquata Milano che qualche futurista vedeva come il progresso. La distanza con cui gli imbecilli vedono le cose è sempre troppo ravvicinata, è un modo per risolvere i problemi già invecchiati
”.
[Aldo Rossi, Le distanze invisibili in: Giorgio Ciucci (a cura di) L'architettura italiana oggi: racconto di una generazione, Laterza, Bari 1989].

 


Scorci di architetture lombarde compongono un itinerario autobiografico, personale e a tratti sconosciuto, una storia parallela della città per immagini, racchiusa tra poche vie e grandi monumenti. Precisi punti di vista assommano questi riferimenti, li fanno dialogare, li trasformano; i dettagli quasi astratti di queste architetture, come un campionario, accostano colori, materiali, misure, tecniche propriamente lombarde, propriamente milanesi. Marmo, ceppo, cotto con il trascorrere del tempo animano senza sosta queste prospettive, in modo sempre nuovo.

 

Tra via Lanzone, via Rugabella, via Maddalena, via Santa Maria della Porta, via San Nicolao, indirizzi che nel tempo hanno accolto le sue case e i suoi studi, Rossi ha costruito questo itinerario di architetture amiche, questa passeggiata tra attori dal forte ma eterogeneo carattere, in costante dialogo. Associazioni visive, alle volte casuali alle volte cercate, ne legano per noi definitivamente i destini in un gioco di continui rimandi che restituisce ancora oggi un collage di storie differenti. Le passeggiate quotidiane di Rossi fatte da solo, con i suoi collaboratori, molti amici e qualche ospite di passaggio, come un Sacro Monte milanese, segnano un percorso continuo e alcune tappe: la Chiesa di S. Nazaro in Brolo, appena dietro la Ca’ Granda del Filarete, dalla quale poter ammirare, nelle splendide corti, la Torre Velasca già come un’apparizione e poi piazza Missori, altro punto di vista privilegiato per la Torre e, in fondo, piazza del Duomo con la maestosa opera di marmo bianco; appena più lontano Sant’Ambrogio, le tante case di ringhiera tra Ticinese e i Navigli altra faccia di una città civile e popolare.

 

Claudia Tinazzi