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Quartiere sperimentale VIII Triennale
Anno: 1945 - 1957
Località: Milano, QT8
Indirizzo: viale De Gasperi, piazza Stuparich
Destinazione d'uso: Quartiere residenziale
Progettista: Piero Bottoni (capogruppo)
L’idea di promuovere un quartiere della Triennale, dove l’architettura e l’urbanistica moderna potessero trovare una sede appropriata di sperimentazione, nasce alla chiusura della V edizione del 1933 da uno scambio di vedute tra Bottoni e Giuseppe Pagano, concordi nel giudicare un gravissimo spreco dover distruggere gli edifici realizzati per quell’occasione provvisoriamente nel Parco di Milano. Ma l’idea per divenire realtà deve aspettare il 1945, quando, a Liberazione avvenuta, Piero Bottoni viene nominato Commissario straordinario dell’Ente Autonomo Triennale dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. In tale veste Bottoni imposta tutta la VIII manifestazione attorno al tema dell’abitare e concepisce il QT8 come un laboratorio in cui sottoporre a verifica del pubblico le certezze e le aspirazioni dell’architettura e dell’urbanistica moderna.
Il QT8 non vuole essere solo una esposizione permanente di nuovi tipi edilizi, di sistemi costruttivi e arredi innovativi, di risultati economici e di programmi igienici, ma anche e soprattutto un esempio sperimentale di una nuova spazialità urbana. Qui sta la differenza rispetto sia al Weissenhof di Stoccarda del 1927, sia alla Mostra dell'abitazione al Parco Sempione a Milano del 1933, sia allo stesso quartiere sperimentale studiato da Bottoni insieme a Giuseppe Pagano e Mario Pucci nel 1934-35 in vista della VI Triennale. Il nuovo quartiere doveva mostrare che «abbandonando lo schema urbanistico-architettonico tradizionale a pareti continue in fregio alle strade e alle piazze» e ordinando invece gli edifici in relazione alla luce e agli spazi verdi, era possibile dare vita ancora a un «quadro ambientale» unitario di qualità, pur in presenza di tipi edilizi diversi tra loro e dalla tradizione. A una condizione però: che le diversità non risultassero stonate al punto da rompere l'estetica d'assieme dell'intero complesso ed esistessero pertanto gli strumenti di regia in grado di evitarlo. Gli strumenti messi in campo per ottenere quel risultato sono stati tre: 1) un piano regolatore urbanistico-architettonico di tutta l'area «da servire come inquadramento delle varie iniziative»; 2) un regolamento edilizio specifico; 3) una commissione di valutazione dei singoli progetti, nominata dalla Triennale, per «assicurarsi che l'eventuale sperimentazione non divent[asse] arbitrio o ricerca di stranezze». Sia lo schema e il relativo modello presentato nel 1946, sia i piani e i modelli presentati in occasione delle prime tre Triennali del dopoguerra confermano chiaramente che una delle poste in gioco era convincere che non separando urbanistica e architettura ma ordinando quest’ultima entro la regia della prima si poteva configurare uno spazio moderno confrontabile per valore estetico con certi quartieri della Milano sette-ottocentesca. Attorno a questa scommessa è ruotato gran parte di quel processo di valutazione critica e autocritica che ha consentito di trarre «fondamentali insegnamenti» per la progettazione dei luoghi dell'abitare. Risultato: in un continuo aggiustamento di tiro, un quartiere iniziato per dimostrare la bontà del lotissement rationel si è trasformato via via in una delle sintesi più felici, nel dopoguerra, tra razionalismo e organicismo.
Un contributo notevole è dato dalla presenza estesa del verde, in grado di comporre nell’immagine unitaria di un quartiere giardino la varietà delle sperimentazioni edilizie. Lo stesso Bottoni, facendo un bilancio nel 1954, di fronte «a certi risultati non completi o negativi dell’edilizia» afferma che l’elemento qualificante il «quadro ambientale» del quartiere è proprio la grande presenza degli elementi naturalistici: orti e giardini condominiali, alberature stradali, il «parco verde di circa 375.000 mq destinati ad uso […] di tutti i cittadini» e soprattutto il Monte Stella, con la sua forte valenza urbana.
Nel giugno del 1946 Bottoni aveva preventivato che la attuazione del QT8 avrebbe richiesto 10-15 anni. Se si confronta lo stato attuale con l’ultimo piano del 1953, a distanza di quasi sessant’anni il quartiere risulta largamente incompiuto. Ciò di cui più soffre il QT8 è la mancata realizzazione del suo cuore: del luogo di connessione funzionale e spaziale dei nuclei residenziali, costituito da piazze circondate da portici a cui era affidata la possibilità per la comunità dei residenti di trovare occasioni di relazioni sociali. Su queste piazze si sarebbero dovuti affacciare uffici pubblici, un cinema-teatro, un ristorante, negozi di generi vari, la “casa collettiva” e il mercato comunale, ma di tutto ciò solo il mercato è stato realizzato. In assenza di quell’insieme di edifici e spazi pubblici, l’effetto-città, che pure Bottoni autocriticamente riconoscerà essere una lacuna da colmare nei quartieri a lottizzamento aperto, è venuto del tutto a mancare. Nonostante la mancanza del cuore e il degrado di molti spazi sia pubblici che privati, la mixité sociale, la presenza di diverse funzioni di livello urbano, la discreta dotazione di servizi destinati all’infanzia e all’educazione primaria, i numerosi spazi di gioco, l’accessibilità trasportistica e soprattutto il quadro ambientale rendono il QT8 uno dei complessi urbanistici periferici tra i più abitabili. Appare equilibrato il giudizio di Aldo Rossi secondo il quale tra i quartieri del secondo dopoguerra «il QT8 e il Monte Stella [...] rimangono [...] gli esempi più importanti e senza seguito, della situazione milanese». Certo, si fa sentire la mancanza dei negozi vicini a casa falcidiati dalla concorrenza della grande distribuzione commerciale. E questo crea disagi per i soggetti deboli, gli anziani in particolare: le distanze fra casa e negozi di prima necessità, che nelle intenzioni del piano non dovevano superare i 600 metri, si sono enormemente dilatate. In ogni caso, l’elevata disponibilità di spazi per il pedone rende ancora il QT8 un insieme potenzialmente a misura umana. Vale la pena di richiamare che il complesso è strutturato su un sistema viario gerarchico e differenziato in quattro tipi di tracciati: 1) arterie di scorrimento tangenti il quartiere per i collegamenti urbani e territoriali; 2) due strade assiali di medio transito di connessione tra i nuclei residenziali; 3) strade locali di distribuzione alle residenze, a fondo cieco così da evitare ogni interferenza con il traffico di transito; 4) un reticolo di sentieri pedonali e di viottoli a connettere le case fra loro e ai servizi. Tutto questo fa sì che sia assicurato in larga parte l'equilibrio fra moto e quiete, tra spostamenti lenti e veloci. Ma il fatto che maggiormente qualifica il QT8 è la possibilità di contatto quotidiano con la natura. L’elemento vegetale è tanto diffuso che in estate, quando Milano è in preda a un clima torrido, il quartiere è uno dei rari luoghi da cui non si sente il bisogno di fuggire. Con il QT8 Bottoni ha dimostrato che «può essere artificialmente creato un ambiente più confortevole per la vita umana anche in città climaticamente infelici come Milano». Non si tratta solo di un microclima creato ad arte. È anche una questione estetica, di architettura del paesaggio. Il verde continuo della natura permette di rintracciare quella «estetica d’assieme» che può assimilare anche una composizione urbanistica all’«unità del tutto, propria dell’opera d’arte».
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