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Anno: 1940 - 1952
Località: Milano, Duomo
Indirizzo: via Paolo da Cannobio, via Velasca, via Albricci
Destinazione d'uso: Edifici per residenze ed uffici
Progettista: M. Asnago, C. Vender
I tre edifici, costruiti nell’arco di 12 anni, danno fisionomia ad un intero isolato in pieno centro storico. I lotti, di proprietà di Ferdinando Zanoletti , sono infatti parte della realizzazione della cosiddetta «Racchetta»: previsto già col Piano Alberini del 1934, ma attuato solo negli anni successivi, il progetto procede con lo sventramento dello storico quartiere del Bottonuto a sud di piazza Duomo per adeguare le sedi stradali al traffico veicolare proprio di una città moderna.
Gli interventi di Asnago e Vender interpretano la regola della densità edilizia e della tradizionale occupazione perimetrale del lotto, confermando una robusta cortina edilizia sulla strada di nuova apertura, la via Albricci. Concentrano invece sulle facciate il proprio estro compositivo, caratterizzato da una misura e un controllo degli impaginati ascrivibili alla ricerca razionalista, ma difficilmente etichettabili. «Asnago e Vender non rifiutano la regola imposta ma la riscattano dall’interno. Il regolamento edilizio esige una facciata piana? Sarà piana, in modo che quella stessa caratteristica diventi dominante e riconoscibile. Scegliere questa strada significa scegliere di riscattare il banale, il già visto […]. La differenza tra qualità e routine diventa sottile, […] è affidata ai dettagli, all’esecuzione, alla chiarezza dell’impianto».
E’ in particolare nella penultima ultima tessera di questo puzzle urbano, quella di via Velasca 4 (1947-1952), che i due professionisti affermano la pacata eleganza che li caratterizza nelle definizioni della storiografia. Già nei commenti dei contemporanei veniva riconosciuta questa particolare qualità nella cura delle facciate. Così Bottoni nel 1954: «edificio particolarmente interessante per il prospetto: l’architettura […] è stata creata con mezzi semplicissimi, quali lo spostamento delle superfici vetrate a filo facciata (piani inferiori) o in arretrato o col variare dell’asse o delle dimensioni delle finestre (piani superiori)». La scelta dei materiali di rivestimento concorre nella definizione dell’effetto grafico e chiaroscurale del fronte: granito di Baveno levigato fino al terzo piano, clinker per i piani superiori; analogamente vengono differenziate le finiture per i serramenti, di alluminio anodizzato nella parte inferiore e in legno di rovere con profilature in metallo bianco gli ultimi quattro piani. «Questa divisione diventa l’elemento caratteristico: una parte dell’edificio si pone come basamento dell’altra». Sul terrazzo di copertura viene ricavato un «alloggio per scapolo», come una piccola villa sovrapposta al palazzo, secondo una consuetudine piuttosto diffusa a Milano già dagli anni trenta nel trattamento del piano attico (qui in arretrato rispetto al filo di facciata e perciò non percepibile da strada).
Meno astratti, ma altrettanto attentamente studiati, i due edifici costruiti circa dieci anni prima in via Paolo da Canobbio 33 (1949-1950) e in via Albricci 8 (1939-1943). I materiali qui utilizzati sono il marmo perlino bianco per i primi due piani, la litoceramica per il resto dell’edificio. Si distingue invece la soluzione per l’ultimo lotto disponibile in via Albricci 10 (1953-1954): in particolare ci si discosta dalle costruzioni precedenti per l’abbandono dell’angolo rigidamente segnato, con l’adozione invece di una curva, e per l’impaginato del fronte su cui non troviamo più la differenziazione dei materiali di rivestimento. Un ulteriore carattere di distinzione viene dal coronamento, arretrato rispetto al filo del prospetto e trattato con aperture a vento.