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Chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo

Anno:  1964 - 1968

Località: Milano, Bovisa

Indirizzo: Via Catone 10

Destinazione d'uso: Edifici per il culto

Progettista: Luigi Figini, Gino Pollini

Dieci anni dopo la chiesa della Madonna dei Poveri, Luigi Figini e Gino Pollini realizzano un nuovo edificio per la Curia milanese, che la vuole consacrata a quei santi i cui nomi rimandano all’ex Cardinal Montini, ormai divenuto Papa Paolo VI. La chiesa dei Santi Giovanni e Paolo assume un linguaggio architettonico ben differente dalla forza innovativa che aveva caratterizzato la precedente: ciò che là era quasi assenza di forma esteriore riconoscibile ed intimista forza brutale di pura materia e luce all’interno, qui diviene ritmico assemblaggio di forme e sovrapposizione di masse, mentre lo spazio contenuto, conseguentemente articolato, presenta più rassicuranti partiture murarie rivestite in calce bianca.

 

Così scrive lo storico dell’architettura Joseph Rykwert: «Qui l’esterno è architettonicamente più complesso, mentre l’interno è più raccolto e confortevole. Internamente illuminata dall’alto, la chiesa è sottilmente articolata. La sua geometria – sia nella pianta che nella struttura – si basa su una ripetizione quasi ossessiva della croce greca. Ciò che la rende estremamente interessante è la parete muraria in mattoni, concepita come se fosse una doppia superficie. In alcune zone tale muratura esterna diventa una specie di sipario traforato che maschera un sistema di passaggi interni, i quali formano una serie estremamente ingegnosa e varia di brevi promenades achitecturales».

 

Se nella chiesa a Baggio la tensione spaziale si rivela introversa, perché tutta affidata alla percezione dell’interno, qui si è di fronte ad un’interiorizzazione altrettanto presente, ma graduale e stratificata: i volumi esterni, protetti da una recinzione perimetrale che definisce a scala urbana l’ambito sacro, sono compatti ed impenetrabili, anche per la rarefatta presenza di aperture e si sviluppano per continue sporgenze, come proiettate all’esterno da un centro invisibile e profondo. La planimetria rivela un attento lavoro di distribuzione di spazi autonomi, ma strettamente collegati, distribuiti sui lati dell’asse centrale portante, che attraversa l’aula assembleare. Muri portanti continui si aprono e chiudono attorno agli spazi liturgici, determinando molteplici prospettive e svelando più percorsi interni. Un sistema di “moltiplicazione sensoriale” dello spazio che viene ripetuto nel passaggio aperto/chiuso, che immette nelle opere parrocchiali attraverso un hortus conclusus e che viene intensamente sostenuto dai dosaggi della luce, lasciata penetrare dall’alto, grazie a tre coronamenti a soffitto, veri e propri tiburii moderni, che, inaspettatamente trasformano la pienezza materica ed impenetrabile dell’esterno in ariosa profondità luminosa interna. «…l’architettura, attraverso una strategia luministica, tende a far “leggere” e “capire” lo spazio, qui compreso tra il soffitto in doghe di legno color catrame, la tenue opacità del pavimento e il bianco di calce dei muri».

 

Marco Borsotti