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Anno: 1937 - 1938
Località: Milano, Tre Torri
Indirizzo: via Euripide 1
Destinazione d'uso: Edifici residenziali
Progettista: M. Asnago, C. Vender
La casa d’affitto Santa Rita è situata all’angolo tra via Euripide e viale Cassiodoro, ai margini del quartiere della vecchia Fiera Campionaria. L’edificazione rientra nel piano di conversione degli spazi destinati all’Esposizione Universale del 1906, attraverso la costruzione di un tessuto residenziale a densità abitativa piuttosto elevata, nella forma di isolati con edifici di cinque-sei piani. Temi centrali del progetto, derivanti dal contesto di inserimento, sono il rapporto con il fronte strada e con la morfologia dell’isolato. Nella città speculativa degli anni Trenta l’idea ottocentesca della casa d’affitto dotata di doppio affaccio sulla strada e sulla corte interna lascia spazio ad una tipologia edilizia che perde il doppio rapporto, per rivolgersi solamente al fronte strada ed utilizzare la corte come spazio “tecnico”. Cadono dunque le regole e le tipizzazioni ottocentesche dei piani particolareggiati e la definizione delle caratteristiche dell’abitazione borghese è affidata al singolo architetto, con esiti spesso al limite degli standard minimi previsti dai regolamenti di igiene, guidati da logiche di mercato.
Asnago e Vender cercano di determinare i caratteri dell’abitazione in modo razionale, avendo sempre presenti gli insegnamenti derivati dalla lezione della città storica. L’edificio Santa Rita affronta la questione tipologica dell’edificio inserito nell’isolato, destinato a ripetersi piuttosto che ad emergere: la costruzione è composta da sei livelli fuori terra, corrispondenti ad altrettanti appartamenti, a cui si aggiunge il livello di copertura, occupato da un giardino pensile e da un grande attico, arretrato rispetto al filo della facciata. Gli architetti riconoscono che l’identità di questo tipo edilizio risiede ora nel fronte su strada, che regola il rapporto tra l’interno e l’esterno; la modernità di questo organismo edilizio sta nella ricerca di forme semplici e necessarie, nella riduzione delle forme storiche e nella stilizzazione degli elementi decorativi; poche tracce di ornamento rimangono nelle minime decorazioni geometriche, celate dall’omogenea colorazione bianca dell’intonaco, e nelle sottili cornici; la superficie curva dona continuità ai due prospetti che affacciano sulla strada.
Il disegno del fronte è demandato alla finestra ed alla sua forma: le aperture, incolonnate con uniformità e regolarità, sono trattate in maniera diversificata ai diversi livelli, a sottolineare una differenziazione per fasce della superficie. Contribuiscono a marcare la tripartizione della facciata senza romperne la continuità, la fascia marcapiano in corrispondenza del livello sommitale e gli esili piani delle balconature, rafforzati dalle ombre che essi proiettano, che costituiscono un ideale basamento. In questo schema di grande rigore ed essenzialità, si esplicita la soluzione planimetrica dell’ingresso, con grandi vetrate che separano l’atrio dalla corsia di accesso al cortile interno, e la moderna scelta di un tetto piano destinato a giardino con attico su due livelli. La soluzione di continuità nell’angolo attraverso la superfi cie curva dialoga con le quasi coeve esperienze di Mallet Stevens (rue Mallet Stevens 12, Parigi, 1929), Mendelsohn (Magazzini Petersdorf, Breslavia, 1928) e Jacobsen (Stelling Hus, Copenhagen, 1937).
«Domus» n. 143, novembre 1939