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Sistemazione di via Basso al Gratosoglio
Anno: 2002 - 2005
Indirizzo: Via Basso, Milano
Destinazione d'uso: Sistemazioni urbane
Progettista: Studio CZA
Percorrendo via dei Missaglia in direzione dei Comuni di Rozzano e Pieve Emanuele, si incontrano diversi quartieri frutto delle politiche urbanistiche attuate negli ultimi cinquant’anni nella periferia milanese. Lungo la via - una strada di campagna trasformata in direttrice urbanistica dal PRG del 1953 – si susseguono in ordine: sulla destra, il quartiere IACP Chiesa Rossa (costruito tra il 1960 e il 1966) e il quartiere IACP Missaglia (realizzato tra il 1966 e il 1971); sulla sinistra il quartiere Progetto Casa Le Terrazze (risultato delle operazioni urbanistiche degli anni Ottanta) e gli insediamenti “Cartiere di Verona” (aree industriali dismesse e parzialmente trasformate in terziario). Al termine dell’asse ci si imbatte nel quartiere IACP Gratosoglio, frutto dell’attuazione del Piano di Edilizia Economica e Popolare (PEEP) adottato dal Comune nel 1963 come variante al Piano Regolatore Generale (PRG).
Il complesso, realizzato tra il 1963 e il 1971 dallo studio BPR, è nato per rispondere alla pressante domanda di abitazioni sorta nel decennio precedente. L’amministrazione di allora, tramite lo IACP, investì cifre considerevoli - assegnando i progetti ad architetti autorevoli - cercando in questo modo di compensare gli aspetti negativi di origine del quartiere che sono principalmente: la localizzazione infelice, l’utilizzo di tecnologie di prefabbricazione obsolete e soprattutto l’assenza, inizialmente totale, di trasporti pubblici.
I trasporti pubblici vengono nel corso degli anni migliorati fino a originare l’esigenza, in tempi recenti, di riorganizzare il capolinea del tram e gli spazi immediatamente circostanti.
Il giudizio di Cino Zucchi, progettista incaricato del nuovo intervento, è molto severo nei confronti delle politiche urbanistiche degli anni cinquanta e sessanta; egli individua infatti la debolezza di questi progetti “manifesto” nella mancanza di comprensione, da parte dei progettisti, delle inevitabili modifiche che lo spazio sociale subisce a causa della dimensione metropolitana e degli stili di vita a essa intimamente legati. «Per agire sui “quartieri nuovi”» sostiene Zucchi «dobbiamo oggi guardare al problema con occhi nuovi, testando l’efficacia dei nostri strumenti concettuali e formali al cospetto di una città che sembra organizzarsi secondo modalità inaspettate.»
Le difficoltà dettate dal quartiere oggetto dell’intervento e le relative soluzioni adottate nel progetto, ci vengono mostrate in modo chiaro dallo stesso architetto milanese: «Esso non è abbastanza “centro” né abbastanza “periferia”. Il progetto di spazio aperto cerca quindi di creare un luogo sociale oggi inesistente in una situazione oggettivamente “debole”, dando forma a uno spazio interstiziale che fa dialogare frammenti della città cresciuti nella reciproca indifferenza: una cascina, un mercato, una strada, una linea tranviaria. Al di là della loro funzione tecnica, gli elementi inseriti in questo spazio residuale (un muro in cemento e porfido, una duna verde, illuminazione, panche, alberi, grafica) cercano di interpretare il luogo attraverso una lettura “stratigrafica” dei suoi diversi caratteri.
Nel tentativo di mettere a punto nuove strategie d’intervento nel paesaggio della nuova città, il progetto usa in maniera eclettica gli strumenti di diverse culture progettuali: indagine sociologica, analisi storica, “partecipazione”, disegno urbano, architettura, design, grafica, illuminotecnica, e disegno del verde.»