Dal 19.10.2009 al 19.10.2010
Ho fatto questa gita con Paolo Danelli una afosa mattina di fine luglio. Le osservazioni che allora mi ero appuntato, il senso di compiutezza ed equilibrio, hanno avuto tempo di sedimentare
Ho fatto questa gita con Paolo Danelli una afosa mattina di fine luglio. Ne scrivo a inizio ottobre: il senso di compiutezza ed equilibrio di questa strana costruzione, ha avuto il tempo di sedimentare, e le osservazioni che allora mi ero appuntato, si sono posate, quiete, corrispondendosi.
Voglio dire che nell’esperienza dell’architettura ciò che rimane alla memoria è frutto della digestione che ognuno di noi compie riguardo ai suoi ingredienti, la loro sintesi, e i sapori che lasciano il desiderio di ritrovarli.
Vabè.
Si tratta di un nuovo edificio pubblico frutto di una gara vinta nel 2006, in cui trovano alloggio una biblioteca, un asilo nido, la sede per il teatro sociale e una scuola di danza, affidata ad una nota compagnia locale, oltre che un bar aperto invece sul giardino intorno.
Arrivando dal centro storico pedonale, l’immediata percezione, oltre che di sorpresa, è il suo carattere pubblico: una figura fortemente astratta, un cristallo emergente dal terreno intorno, a sua volta modellato a colmare il forte dislivello tra i due estremi del lotto, che ben si presta a ricucire il nucleo storico da cui siamo giunti al frammentato tessuto di espansione più recente, a valle.
La sorpresa è dovuta al carattere monumentale dell’intervento, soprattutto al salto di scala che avviene improvviso provenendo dal tessuto minuto del centro storico, scelta radicale che a prima vista accosta l’oggetto ad un ‘contenitore’ industriale. Una scelta coraggiosa che ha pagato, evidentemente.
Un impianto totalmente introverso dunque -come meglio illustrato nei disegni allegati- composto all’esterno da un volume primario rivestito in policarbonato colorato che lo avvicina più ad un capannone che ad una biblioteca, e da uno zoccolo in cemento armato che, attraverso il movimento del terreno che dicevamo, a tratti sparisce ed a tratti mostra la sua poderosa consistenza. Di più ancora sarà quando, come mi racconta Paolo, domani diventerà nero come previsto dal progetto, facendolo percepire ancor più come un monolite che emerge incastonato nel terreno intorno.
Mi pare che vi sia un ragionamento molto attuale nei confronti dello spazio aperto, che è sia di transito, sia d’uso ricreativo, connotato attraverso la lavorazione del verde, il movimento terra, che restituisce il valore collettivo di una ‘piazza’ contemporanea che partecipa della sua composizione sia i vuoti che i pieni, e si articola così in diversi episodi.
Su di essa infatti si innestano i 2 ingressi alla piastra: il primo, che dà accesso alla biblioteca, è segnalato da un patio del tutto virtuale, ovvero dal proseguo del monolite del primo livello, in corrispondenza del quale cambia colore, e viceversa l’erosione dello zoccolo a terra, rivolto verso il centro storico, a costituire una sorta di piazza raccolta; il secondo invece, di ancora maggior valenza collettiva, taglia in due l’edificio, definendo oltre che una compartizione netta tra le funzioni principali contenute e gli ambiti di servizio esclusivi a queste, uno spazio a doppia altezza coperto, sorta di foyer all’aperto del teatro cui si accede dal primo piano.
Questo rapido itinerario esterno ci aiuta a capire il contesto, ma non quanto contenuto.
Entriamo allora nella biblioteca, che si articola tutta attorno al patio interno a doppia altezza. Stupisce il ribaltamento compiuto rispetto al carattere assoluto dell’involucro: entriamo infatti in uno spazio articolato, luminoso ed estroverso. Una biblioteca a scaffale, quindi con zone di lettura attigue alla distribuzione, pochissimi depositi remoti, quindi uno spazio continuo, che fluisce, non frazionato se non da continue sorprese di sguardi sul doppio livello.
La cura attenta ai dettagli è denotata dalla sofferenza di Paolo nel mostrarmi le incoerenze tra quanto costruito e quanto invece progettato: incoerenze fatali quando la figura del progettista non coincide con la figura del Direttore dei Lavori, come accaduto in questa occasione.
Serramenti in ferro, pavimenti in legno e corpi illuminanti piuttosto sofisticati per gli standard di un edificio pubblico. Ma anche questa è una scelta di realismo, che si è potuta compiere grazie alla economia compiuta nell’involucro, che viceversa è estremamente semplice.
Passiamo nel corpo attiguo, suddiviso sui due piani tra asilo –al rustico, in attesa di successivi finanziamenti-, posto al piano terra e teatro, al primo piano.
L’asilo è ben corrisposto nella sua funzione/immagine di protezione nei confronti dell’esterno, verso cui non ci sono affacci, e viceversa di totale apertura e trasparenza verso il patio interno tutto a disposizione dei bimbi.
Il teatro invece, collocato al piano superiore, forse soffre del fatto di non poter vivere del doppio livello, ma la sala è adeguata al carattere locale delle rappresentazioni previste. Del resto il foyer esterno supplisce a questo respiro un poco sofferto e minuto.
Infine ridiscendiamo all’esterno. Il bar, contiguo alla zona del foyer, funge di fatto da cerniera tra le diverse funzioni di questa piazza contemporanea, tra spazio aperto, giardino per i bimbi, per chi legge e per gli edifici limitrofi, ma anche e soprattutto transito pedonale tra le diverse città che vi si affacciano.
Devo dire che, a pensarci, è una delle rare occasioni in cui avrei voglia di tornare a vedere l’edificio finito,voglio dire in funzione. Sono convinto che, come spesso succede per gli edifici ‘felici’, l’uso gratifica chi ne fruisce, aggiungendo un senso alle ragioni dell’essere quotidiano.
Centro Civico di nuova costruzione, 2006-9
Edificio su 2 piani, 27oo mq slp
via - indirizzo ancora da definire, Ranica (BG)
Progetto architettonico: DAP studio/elena sacco-paolo danelli e arch Paola Giaconia
Collaboratori: Pasquale Gallo, Alessia Mosci, Paolo Vimercati, Laura Tagliabue, Francesco Ursitti
Progetto strutture: ing. Davide Arrigoni
Progetto impianti: MilanoProgetti spa
Committente: Comune di Ranica - Bg