Dal 12.10.2009 al 12.11.2009
Sintesi della serata di Giovedì 8 0ttobre dedicata alla figura di Coderch e ad alcuni caratteri ricorrenti nella sua opera. Ospiti di eccezione Federico Correa e Vittorio Gregotti
Serata dedicata alla presentazione di un singolare libro, edito da Santa e Cole, nota azienda spagnola che si occupa prevalentemente di produzione di corpi illuminanti, rivolto in particolare ai caratteri di alcuni disegni ricorrenti nell’opera di Coderch, in specie di interni, quali la persiana larga, i caminetti in lamiera e la lampada a fogli di legno.
Nei fatti però tale pre-testo è stato scavalcato dai due vecchi amici ospiti della serata, dinamici ottantenni, che hanno raccontato l’esperienza di vita e l’amicizia con Joseph Antonio Coderch: Riccardo Correa e Vittorio Gregotti.
Sollecitato da Franco Raggi a dare la misura dell’abitare all’interno della modernità degli anni ’50, al rigore pianta/facciata/dettaglio insomma, Correa si apre al ricordo personale, tanto è intrecciato il suo percorso alla vita del maestro.
Federico Correa, socio di sempre di Alfonso
Milà –autore tra l’altro della bella lampada prodotta appunto da Santa
e Cole, che campeggia sul tavolo dei relatori- racconta come conobbero
Coderch, e come la sua opera sia stata segnata dalla chiusura alla
cultura internazionale, specie nei confronti delle ricerche vive
dell’Europa di allora, con l’avvento del franchismo del ’39, arroccato
com’era nei ‘falsi valori tradizionali dell’architettura spagnola’.
La
sua arte allora si rassegnò ad esprimersi in piccole case, per una
borghesia indifferente, ma con un richiamo ai valori tradizionali,
secondo i modi di Mirò, dell’arte che guarda al futuro appoggiandosi al
passato.
I due amici andarono a lavorare nel suo studio, dove li
stupì soprattutto per la conoscenza sconfinata della architettura
moderna internazionale.
Giò Ponti era molto ammirato in spagna, e
Coderch coltivava la sua amicizia da anni: sarà lui ad invitarlo alla
triennale di Milano del ’51.
In questo contesto iniziarono poi a
fare piccoli lavori in proprio loro passati da Coderch, che non
riusciva più a seguire, essendo impegnato su altri e più vasti fronti,
soprattutto di opere di interni di alcuni suoi edifici, in un periodo
in cui, non essendoci forniture di mobili di produzione moderna, si
disegnava proprio tutto.
Così nacquero per esempio, per la casa barcelloneta, le omonime sedie.
Ma
sarà con gli interni dell’albergo di Maiorca che incominceranno a
sorgere dissapori tra loro, fino alla totale rottura in occasione
della sospensione di Correa dall’insegnamento universitario a
Barcellona a causa di sue manifestate posizioni anti franchiste, non
tollerate da Coderch.
Raggi chiede quindi se il rapporto con l’Italia sia passato solo attraverso Ponti.
Gregotti ricorda come successivamente agli anni ’50 l’interesse internazionale si fosse spostato più sulla figura di Gardella.
Anche
Correa sottolinea le affinità tra la Barcelloneta e le esperienze di
Gardella ad Alessandria, tra dispensario e case Borsalino.
Correa sottolinea come Milano fosse, in quegli anni ’50, il centro del mondo, ma che già dopo i ’60 fosse finita quell'epoca aurea, trasformatasi in uno spirito polemico a priori. Ricorda come la battuta ricorrente fosse ‘ormai è superato…’, nei confronti di posizioni o opere di pochi mesi precedenti.
Gregotti sottolinea la differenza Barcellona/Madrid, così come Correa quella Milano/Roma.
È qui che Gregotti, parlando della situazione contemporanea, citando Max Weber introduce la de-territorializzazione post industriale, che ha sostituito i rapporti concreti con quelli immateriali della finanza, lanciando la sua pofezia: noi oggi siamo come barbari, con grandi strumenti a disposizione ma che non sappiamo ancora come usare. La globalizzazione non fa il paio con l’Internazionalismo, sono fenomeni opposti, e non possiamo più non aver coscienza di queste differenze.
Appuntamento tra qualche anno, quindi.