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Valenza urbanistica dei progetti architettonici e valenza architettonica dei progetti urbanistici sono due costanti nel lavoro di Piero Bottoni. Quando poi si dedica al disegno urbano, come nel QT8, Bottoni anticipa i tempi immettendo, con il Monte Stella l’invenzione del paesaggio nel progetto di città. Un’altra costante è l’attenzione all’armatura relazionale della città: gli spazi aperti pubblici. Ogni suo organismo architettonico sa dialogare con la strada, confermandola e insieme mostrandone possibili evoluzioni. Facendo del tema della «strada vitale» il cardine del suo lavoro di architetto e di urbanista, egli supera così talune semplificazioni razionaliste anticipando le proposte che Jane Jacobs esporrà nel 1961 in The Death and Life of Great American Cities.
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- il progetto della Nuova fiera campionaria di Milano elaborato nel 1937-1938 con Pietro Lingeri, Gabriele Mucchi, Mario Pucci e Giuseppe Terragni: una delle prime prove convincenti di disegno urbano ispirate alla Carta d’Atene in cui si delinea una città aperta alla dimensione metropolitana;
- i progetti pensati per risolvere il problema delle abitazioni operaie in provincia di Milano messi a punto nel 1938-1939 con Mario Pucci: un quadro articolato di interventi scaturito da un’inchiesta sul campo che rinnovava le indagini promosse all’inizio del novecento dalla Società Umanitaria;
- il Piano Ar per Milano e la Lombardia redatto nel 1944-1945 con Franco Albini, Lodovico Belgiojoso, Ezio Cerutti, Ignazio Gardella, Gabriele Mucchi, Giancarlo Palanti, Enrico Peressutti, Mario Pucci, Aldo Putelli e Ernesto N. Rogers (dove Ar sta per Architetti riuniti): tra i pochi lavori urbanistici italiani del XX secolo degni di figurare in una rassegna della migliore cultura urbanistica europea;
- infine, il progetto per il quartiere Gallaratese (proposto nel 1955-1956 in alternativa al piano poi adottato): una reinterpretazione della lezione della città storica – con riferimenti milanesi, in particolare a corso Buenos Aires – che Bottoni sistematizza nella concezione della «strada vitale», punto d’approdo centrale della sua riflessione urbanistica.
Si tratta, è vero, di proposte rimaste sulla carta; ma questi quattro lavori – se si esclude la sciagurata idea degli assi attrezzati avanzata nel Piano Ar – fanno intravedere una Milano possibile, con un assetto più coerente con la sua vocazione europea e più aperta ai rapporti con la regione di quanto non si sia poi verificato nei fatti (anche per un limite di chi ha avuto la responsabilità di guidare il capoluogo lombardo).
Questi lavori ci dicono anche dello spessore dell’elaborazione di Bottoni in fatto di città, senza cui non si spiegherebbero realizzazioni come il QT8 e il Monte Stella. Presenze che contrassegnano il paesaggio nord-occidentale di Milano e costituiscono risultati esemplari almeno su due fronti: testimoniano di quanto possa essere fecondo il connubio fra disegno urbano e progetto del paesaggio; costituiscono un tentativo, in parte riuscito, di contrastare il perpetuarsi del carattere di periferia delle addizioni urbane. Fernand Léger coglie nel segno quando, in una dedica del suo volumetto “Les constructeurs”, definisce Piero Bottoni: «Inventeur de montagnes e de magnifiques constructions populaires». La dedica è del 1951: è stata scritta dopo una visita al cantiere del QT8 (una foto ritrae Léger e Bottoni in un serrato dialogo in cima al Monte Stella). Il grande pittore mostrava di avere capito quanto era sfuggito a Le Corbusier (che, due anni prima, sempre in un sopralluogo al QT8, si era lasciato scappare un’espressione assai poco lusinghiera), ovvero come Bottoni fosse mosso dall’intento di combinare l’impegno civile con il sogno, la risposta ai bisogni sociali con la capacità di inventare paesaggi e luoghi dotati di bellezza e potenzialità di senso. È in questo orizzonte che nascono e si spiegano le architetture milanesi di Bottoni. Gli edifici che egli progetta e realizza al QT8 si pongono nell’ottica di una sperimentazione a tutto campo – tipologica, tecnologica e costruttiva – e allo stesso tempo cooperano a configurare una nuova parte di città: un «quartiere giardino».
Il modo di operare non cambia quando sono altri a disegnare l’assetto di un nuovo complesso insediativo. Come nel quartiere Harar, dove, con Mario Morini e Carlo Villa, nel 1951-1953 realizza le Due case Ina-casa in via San Giusto in perfetta sintonia con l’impianto definito da Luigi Figini, Gino Pollini e Giò Ponti. E quando il disegno d’assieme non ha le stesse qualità, come nel quartiere Comasina, la risposta che Bottoni e Pietro Lingeri offrono con le Due case Ina-casa del 1956-1957 vuole comunque testimoniare della dignità civile come compito precipuo dell’architettura. Ma anche gli organismi realizzati nel corpo della città compatta non si discostano da questa linea. Gli edifici situati in via Mercadante (1934-1935), in corso Buenos Aires (1946-1951, con M. Pucci e G. Ulrich), in corso Genova (1949-1950, con C. Turus) e in corso Sempione (1953-1958) sono uniti da una ricerca costante che assume l’architettura dell’edificio come strumento per configurare lo spazio pubblico, in particolare la strada urbana, assunta come organismo architettonico essa stessa, insieme da conservare e da innovare. Ogni edificio prende le mosse da un’interpretazione del contesto: risponde a un’idea di città, intesa come realtà in divenire di cui l’architettura si incarica di concretizzare e rendere evidenti le linee evolutive. Così, singolarmente e nell’insieme le opere di Piero Bottoni propongono l’immagine di una Milano ancora capace di aperture e di sincretismi e insieme disponibile a metabolizzare il nuovo nel segno dell’urbanità. L’impegno sul tema dell’abitare e l’ascolto delle mutazioni negli stili di vita è testimoniato anche dalle molte architetture d’interni: dagli alloggi medio-borghesi agli uffici, ai negozi, ai locali pubblici. Per non dire delle soluzioni dimostrative esposte nelle Triennali a cui Bottoni ha partecipato ininterrottamente dal 1930 al 1954, spaziando dagli interni della casa per tutti ai luoghi di lavoro.
B. Zevi
in «L'architettura. Cronache e storia», a. XVIII, n. 12, aprile 1973, p. 28 poi con il titolo La morte di Piero Bottoni. Instancabile nella lotta per la razionalità, in Id., Cronache di Architettura, vol. IX, pp. 72-73, Laterza, Roma-Bari 1975
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