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Quartiere Comasina

Anno: 1953 - 1969

Località: Milano, Comasina

Indirizzo: Via Comasina, Via Litta Modignani, Via Salemi

Destinazione d'uso: Quartiere residenziale

Progettista: Ufficio IACP

II quartiere Comasina è, dal punto di vista quantitativo, l’opera più impegnativa dello IACP di Milano; le consistenti dimensioni - ottantaquattro edifici e undicimila vani - lo resero “la maggiore realizzazione non solo dello IACP di Milano ma di tutti gli istituti d’Italia” e un caposaldo nella panorama dei quartieri autosufficienti. La politica del quartiere, sviluppata in alternativa alle unità di abitazione, era finalizzata a costruire insediamenti in grado, grazie all’articolazione in unità di vicinato, di costituire una rete di relazioni interpersonali su cui ancorare la vita sociale della comunità; quest’ultima poteva, a sua volta, mediare le relazioni con la città divenendo la base su cui ricostruire i valori civili della società.

 

Oggi il quartiere si colloca in un punto di soglia tra il contesto urbano, caratterizzato da un’edificazione densa ma variegata e la dispersione insediativa della Brianza Milanese. Il quartiere è organizzato in quattro ambiti insediativi separati dai percorsi stradali di penetrazione: il più grande, delimitato dalle vie Val Sabbia, Spadini, Teano, Comasina, Madre Merloni Clelia e Esculapio, contiene un nucleo di centralità costituito dalla chiesa a pianta centrale progettata da Angelo Sirtori nel 1957, da uno spazio a corte aperta delimitato da edifici bassi destinati a servizi commerciali e ricreativi, nonché dalle scuole primarie. Gli altri tre, più piccoli, sono attestati sulle vie Salemi e Litta Modignani e chiudono i margini ovest e sud del quartiere.

 

La viabilità è separata dai percorsi pedonali secondo un principio insediativo messo a punto nei CIAM. Ad un indiscutibile vantaggio in termini di vivibilità dello spazio aperto si contrappone la scomparsa totale dei valori figurativi propri della città tradizionale e della rue corridor, con il conseguente annullamento di tutti quei modi di vivere lo spazio pubblico connessi alla struttura tradizionale della strada e profondamente radicati nell’immaginario collettivo.

 

Marco Lucchini