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Pia Durisch e Aldo Nolli | Giorgio Santagostino

Dal 23.05.2013 al 23.06.2013

Penultimo incontro del ciclo organizzato dalla Fondazione dell’Ordine con la coppia di architetti ticinesi mercoledì 15 maggio 2013 alle 21.15 in via Solferino 17

Penultimo incontro del ciclo 7x7 : dialogo tra 7 architetti di caratura europea e 7 architetti milanesi, in cui la presentazione dell’opera dei primi attraverso le domande dei secondi vuole essere stimolo a coinvolgere l’esperienza e le domande del pubblico.  Un modo per confrontarsi attraverso esempi del fare, con scrupolo, nel quotidiano del nostro mestiere.
Di seguito un sintetico report e qui il video dell’intera serata.


Discussant della serata che vede protagonisti Pia Durisch e Aldo Nolli è Giorgio Santagostino, classe ’68, laureato al Politecnico di Milano dopo un erasmus a Lisbona del ’91. Collabora nello studio di Joao Carrilho da Graça tra il 2000 e il 2002, anno in cui apre il proprio studio a Milano con Monica Margarido. Si distingue per la copiosa partecipazione a concorsi vinti e –qualcuno, anche- costruito. Dal 2004 è assistente a Mendrisio dei fratelli Aires Mateus.
I ringraziamenti per l’organizzazione della serata sono particolarmente sentiti poichè ha dato l’opportunità di conoscere direttamente, oltre che attraverso la loro opera, gli architetti Durisch e Nolli. Un'occasione di confronto anche con il Ticino, un luogo vicino a Milano, in cui però la qualità architettonica è piuttosto lontana dalla nostra esperienza. Un esempio quello svizzero di come il sistema basato sui concorsi, quasi sempre aperti, senza ostacoli di selezione su fatturati o questioni economiche o finanziarie come in Italia, regole che fanno in modo di allontanare la discussione dalla qualità dell’architettura.
Pia e Aldo si conoscono nello studio di Santiago Calatrava nel ’85, studenti all’EPH di Zurigo. Proseguono quindi la loro comune esperienza nello studio di Giancarlo Durisch a Lugano e nel 1993 aprono il proprio studio a Riva San Vitale, che nel 2001 si sposta a Lugano. Insegnano all’Ecole Polytecnique Federale di Losanna.

Aldo Nolli propone una serie di 7 progetti, in onore e gloria alla formula del ciclo, utili a presentare i temi primari attorno ai quali si esprime il loro punto di vista sull’architettura contemporanea e ai concetti che guidano il loro lavoro e che girano attorno ai termini di struttura, spazio, luce, espressione e atmosfera. “Hic et nunc”, ovvero –citando Benjamin- quanto di irripetibile nel luogo in cui ci si trova.
Dal ’93 prende forma espressa il loro confronto con la sostenibilità, con lo Swiss service center di Giubiasco, dove realizzano, afferma, ‘la prima costruzione ad alta efficienza energetica ed ecologica svizzera a sud delle alpi’.
Altri temi importanti il restauro, inteso sempre come ricerca paziente orientata al riuso, e il progetto urbano, anche attraverso la partecipazione a numerosi concorsi.

Il primo progetto è la casa di uno scultore a Mendrisio, del ’98. Una costruzione medioevale all’interno della quale hanno trovato luogo successive costruzioni e rimaneggiamenti.
L’operazione è radicale: completo svuotamento da tali superetazioni e riapertura delle bucature originarie. Al suo interno una nuova costruzione in cemento armato, alla rincorsa di una equivalenza tra struttura e spazio, mostrando le due diverse identità indipendenti in modo analitico e ripristinando i 3 livelli originari a partire dalle quote della corte di ingresso stradale e del giardin retrostante, a quota intermendia.

Segue il progetto del Max Museo, inizialmente dedicato all’opera di Max Huber, a Chiasso. Un incarico della moglie Aoi Kono per la sistemazione dell’archivio del grafico. La municipalità mette a disposizione l’area di un vecchio garage abbandonato, di fronte al cinema teatro, nel bel mezzo del centro cittadino. Un capannone accanto diviene spazio multiuso, creando così una sorta di polo culturale centrale alla vita della città e di rifondazione di un luogo fino a poco tempo prima terra di nessuno. Adiacente allo scalo merci più grande della Svizzera, che rende ad un piccolo paese –Chiasso conta circa 8.500 abitanti- un forte carattere urbano.
Un operazione molto discussa, in quanto impianto di un museo privato su suolo pubblico, ma con valenza ben presto polo di cultura e formazione.
La nuova costruzione è un box caratterizzato dal forte aggetto della quota superiore con uno sbalzo di 8 metri per 8, che caratterizza l’ingresso. La struttura, grazie a travi precompresse e due blochi in c.a. di appoggio è estremamente trasparente e leggera. Il tamponamento in U Glass determina il passo di essa, definendo un involucro economico ma ricco di suggestione anche notturna, grazie all’illuminazione diffusa.
All’interno la struttura è  sempre a vista –le condotte del ricambio d’aria annegate nel getto del solaio, di cui è visibile solo la fenditura continua longitudinale.
Il capannone dell’ex garage è recuperato con grande semplicità, inserendo a vista gli elementi di impianto ma integrati alla costruzione. Infine un portico a pilastri sfalsati ne delimita l’area verso ovest.
Una composizione in cui lo spazio pubblico diventa uno dei luoghi urbani più frequentati della cittadina.

Il terzo progetto presentato è un Loft B che sostituisce, sopra un capannone di produzione industriale, l’alloggio del custode. Una stretta corrispondenza tra distribuzione e struttura, che mantiene lungo il perimetro  il guscio in vetro profilato e a doppio strato. All’interno una luce diffusa intensa i cui spazi appaiono naturali. Una sorta di lanterna che da riferimento alla via di valle.

È la volta quindi del più noto Centro di formazione professionale di Gordola, che trova luogo nella piana di magadino, zona alluvionale dove il ticino si immette nel lago. Esito di un concorso voluto dall’associazione costrutttori a seguito della periodica inondazione della scuola originaria, con conseguente allagamento dei laboratori dell’istituto.
il progetto prevede una costruzione soprelevata a quota di sicurezza rispetto alle possibili inondazioni, sotto cui possono trvare luogo i parcheggi e depositi, il tutto sviluppato su un modulo di 3 metri.
Illuminati da shed orientati a nord, i laboratori connotano un edificio semplice ma riconoscibile, modulato da 3 elementi in quota, una sorta di Arca in lamiera lucida, con accesso da 3 blocchi scale come immersi nei campi verdi attorno. Un arca posata su degli sci pesanti , come descrive le fondazioni posate su un terreno di sabbia.
Una costruzione ancora una volta essenziale nei materiali: Acciao lucido per l'involucro, vetro acrilico, resina epossidica per i pavimenti e cartongesso per le poche pareti divisorie interne. Molta luce diffusa e poche finestre aperte come quadri sul paesaggio. Ancora una particolare attenzione all’integrazione degli impianti con la struttura.

Del 2008 e in fase di completamento è invece la casa dello studente di Lucerna, per 280 residenti. In una zona del 1920 connotata da palazzine di 3 piani a pianta regolare 12x12, l’impatto di così tanti alloggi potrebbe essere devastante. Ancora una volta, sul modulo questa volta di 2,90x2,90 a loro volta aggregati a 3x3 –dei quadrati di 9 metri per lato quindi-  con dislivelli anche verticali, una griglia molto razionale dunque, legati all’esterno tra loro attraverso percorsi viceversa sinuosi e organici. Una sorta di domino 3D il cui modulo è sottolineato da frangisole ogni 3 campate/camere. Una costruzione economica –almeno del 20% rispetto a costi di mercato- determinata dai forti spessori di cappotto con vetromosaico di finitura esterna.

Sesto progetto, esito di un concorso vinto nel 2008, è il Palazzo di Giustizia di Bellinzona, lungo il viale Francini, rettifilo emblema del passaggio a repubblica del cantone della città. l’edificio trova luogo in alcuni degli edifici governativi esistenti, di cui ne viene conservata i fronti sul viale e ricostruiti i corpi secondari secondo criteri tipologici ed architettonici attuali ma in continuità coi precedenti, di cui sono preservati gli ingombri volumetrici.
L’impianto è incentrato sulla corte penale centrale, isolata dall’edificio e munita di un grande lucernario a coronamento di una cupola a spicchi, oltre che dalle sale attigue. Le cupole in c.a. bianco sono rivestite con pannelli forati e disegnate organicamente, come dei rilievi vegetali. Le bucature, oltre che per ottimizzare l’acustica servono all’impiantistica sia per il ricambio d’aria che per l’illuminazione.

A chiusura di questa carrellata Aldo Nolli presenta il Museo Cantonale di Belle Arti di Losanna, progetto di concorso vinto nel 2011, in cui il tema del recupero si interseca con quello del luogo e della sua struttura a confronto con il nuovo corpo di fabbrica.
Il progetto infatti si colloca sull’area delle ex officine ferroviarie, tanto affascinanti quanto inadeguate per l’uso espositivo previsto. Viene dunque proposto di conservarle come ingresso evocativo che collega il piano superiore, sede del museo vero e proprio, di nuova costruzione e con struttura autonoma in acciaio, ma che fa tutt’uno con l’edificio esistente,  una sorta di palazzo ducale veneziano del cantonese, in cui il pieno del nuovo corpo superiore appare appoggiato sul vuoto della struttura delle ex officine.

Giorgio Santagostino sottolinea quanto l’economia dei mezzi e l’espressione dello spazio si concilino ne termine ‘semplicità’, aggettivo più volte usato nel corso dell’esposizione.
Per Aldo Nolli la costruzione è un organismo, in cui il complesso degli elementi costituiscono un sistema vivente, un’architettura globale, per cui gli specialisti –impiantisti, ingegneri etc- sono sin da subito coinvolti. In quanto organismo, molti pensieri di progetto provengono proprio dalla natura.
Del resto, riprende Pia Durisch, la cellula, l’elemento base di qualunque organismo, si declina diversamente a seconda di dove si trovi o di che uso ne sia fatto: luogo e costruzione si uniscono infine alla memoria personale del progettista. È questo che fa la complessità. Il disegno procede assime alla verifica dei materiali, direttamente in cantiere, per creare quel valore aggiunto che la società contemporanea necessita.

Giorgio riprende la maglia, il modulo, uno strumento compositivo sempre presente ma trattato con grande libertà.
Aldo Nolli riconosce la la forza degli Smithson, di Mangiarotti, del Palladio, teorici del modulo. Altri esempi oggi appaiono anacronistici. Come esempio cita l’Economist Building degli Smithson (del ’59, completato nel ’65 ndr), a confronto con alcune cose post moderne di Stirling, o di Aldo Rossi. la prima  è resistita nel tempo.

Giorgio Santagostino ritorna sui materiali, in cui vi sono passioni leggibili.
Per Aldo Nolli i materiali industriali non hanno vezzi, sono forti e sostenibili. Il Max Museum è costato al mq. come una abitazione, la scuola poco più di un capannone.
Ma, aggiunge Pia Durisch, non è solo una questione di costo, quanto di purezza del materiale rispetto al disegno. Una vetrata di Foster è ben diversa da una nostra vetrata.

Torniamo al rapporto con il territorio: il Max Museum è pensato per la scala urbana?
Aldo Nolli vorrebbe molto costruire in una città, mentre la prevalenza del loro lavoro in Ticino è a diretto contatto con il paesaggio del territorio più ampio. Comunque è chiaro che il ‘ghiaccio sospeso’ del Max Museum, se appare come senza scala, le sue dimensioni di fatto creano un luogo urbano: si astrae ma nello stesso tempo fa più armoniosa la piazza in cui è collocato, segnalando l'ingresso. Una architettura che ha avuto successo nella cittadinanza e molto utilizzata.

Dal pubblico l’architetto Francesco Spadaro coglie come uno straordinario ottimismo nel loro approccio, come se non vi fossero problemi. Aldo Rossi aveva malinconia, e forse è questo che si vede nei progetti, mentre non sembra esserci nel lavoro presentato.
Aldo Nolli è netto: fare architettura è risolvere problemi, che sia più o meno piacevole arrivarci. Le regole in svizzera sono ferree: se sbaglio il computo più del 10%, la differenza devo pagarla di tasca mia. Se ritardo il cantiere, pago penali. Per noi non esistono più gli stili –come le ideologie- ma puntiamo ad una nuova sintesi.

Franco Tagliabue dal pubblico sottolinea il principio di onestà sotteso al loro lavoro, così come la rinuncia al linguaggio: nel Palazzo di Giustizia l’espressione comunque passa attraverso la decorazione della cupola delle aule. Perchè gli edifici se sono organismi, fatti di cellule, sono anche individui, ogniuno diverso.
Pia durisch concorda: ogni progetto è diverso. L’ornamento, nel senso dell’identità, sta nei dettagli: l’acciaio inox o gli spigoli vivi della Scuola Professionale, così come le bucature della cupola del Tribunale, ma che sono anche funzionali agli impianti.  Dove si aggiunge però l’idea di giustizia istituita come sotto un grande albero, per cui tali fori assumono una vita organicamente diversa dal semplice servizio funzionale..
Aldo Nolli sottolinea la fatica per giungere a questa semplicità espressiva. Fare un architettura non carrozzata fa della decorazione un problema tecnico, come faceva jean Prouvé, o Angelo Mangiarotti: da costruttori cioè, dove la poetica è il valore aggiunto alla tecnica.

Aggiornamento a tutti per mercoledì 29 maggio 2013 con Maria Giuseppina Grasso Cannizzo e Massimo Curzi. Buon divertimento.

Francesco de Agostini
 

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