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Tavola rotonda finale

From 25.06.2013 to 25.07.2013

Incontro finale del ciclo con i 7 discussant dei dialoghi con R.Bak Gordon, J.Sergison, G.Borella, C.Mayr Fingerle, K.Geers e P.Durisch e A.Nolli e Maria Giuseppina Grasso Cannizzo. Un resoconto e i video

La Fondazione dell'Ordine degli Architetti PPC della provincia di Milano ha ospitato un calendario di incontri dedicato all'approfondimento del lavoro e delle idee di 7 architetti di respiro internazionale, in collaborazione con l'architetto Federico Tranfa, che approfittiamo per ringraziare pubblicamente.
Ad ognuno dei 7 ospiti si sono affiancati 7 architetti milanesi
per qualche ragione a loro affini, che hanno dialogato nel corso della serata riguardo questioni e temi volti ad approfondire il proprio lavoro a spunto per il successivo dibattito con il pubblico.
Come consuetudine ad ogni incontro è seguito un piccolo rinfresco durante il quale il pubblico partecipante ha potuto proseguire il dialogo diretto con gli ospiti, trovando modo di legare  contatti spesso preziosi per la professione.

Mercoledì 12 giugno 2013 si è svolta infine una t
avola rotonda tra i discussant delle 7 serate: Enrico Molteni, Federico Tranfa, Francesco de Agostini, Giovanna Borasi, Andrea Zanderigo, Giorgio Santagostino e Massimo Curzi. ognuno di loro ha proposto una chiave di lettura degli interventi presieduti, che possa permettere di intrecciare i fili di uno sguardo sull'architettura contemporanea: un'ulteriore occasione di dialogo con il pubblico riguardo le peculiarità emerse in occasione dei singoli interventi.
Di seguito un rapido report e qui il video  della serata.
In fondo invece troverete i collegamenti a tutti i resoconti e ai video delle singole serate.

Federico Tranfa, curatore del ciclo per conto della Fondazione dell’Ordine, coadiuvato dall’instancabile Giulia Pellegrino e affiancato per l’Ordine da Franco Raggi e Francesco de Agostini, ha tenuto a ringraziare per l’opportunità di parlare di Architettura e soprattutto di dare voce a chi la pratica, dimostrando ancora una volta come si tratti di disciplina viva, di quanto sia limitativo e ingannevole cercare un catalogo generazionale dell’architettura contemporanea e quanto valga invece incontrarsi e rispettarsi nelle opinioni.

Riguardo il suo dialogo con Jonathan Sergison, richiama il tema ‘Continuità e differenza’. Il modo di leggere la città, l’esperienza londinese e il suo periodo Georgiano, ovvero le origini dell’urbano.
In generale, afferma, una regola ben connotata permette margini di libertà migliori.
Attraverso gli occhi di Jonathan Sergison ha capito che Milano, come scriveva nell’introduzione al ciclo, non ha perso il proprio ruolo, ma che in qualche modo è rimasta arretrata riguardo la qualità di quanto realizzato in anni recenti. In tutti gli ospiti che si sono alternati non è stato smentito, e questo, per noi che lavoriamo a Milano, ci carica di responsabilità.
Porta a riguardo l’esempio della Torre Velasca. Negli anni si capisce l’atteggiamento di avanguardia messo in atto dai progettisti, poiche continuità è con il moderno ma anche con quanto vi è stato prima, ovvero essere capaci di riannodare i fili con la storia. Chiude citando una lezione di Rogers del ’66 in cui, nell’etica dell’agire, afferma il dilemma quantità/qualità erroneo, sbagliato, semplicemente perché ciò che non è arte, non è architettura.

Enrico Molteni parla invece di un Portogallo che gli è apparso al margine, nel lavoro contemporaneo di Ricardo Bak Gordon, e per questo propone di definire ‘Maputo San Paolo e altre mete’ il suo contributo. un modo di guardare rispetto al lavoro di ognuno, ovvero a livello strategico come procurarsi occasioni, che se non ci sono non c’è l’architettura.
La ricerca di un altrove vale per tutti, così come un altro punto di vista. Alvaro Siza diceva che gli sarebbe piaciuto costruire nel deserto del Sahara, così come a lui piacerebbe nell’Antartide, e così dicendo mostra una mappa del mondo che ha come punto di vista il polo sud, in cui si vedono agli estremi sia San Paolo che Maputo, in Africa. Il mondo si può vedere in tanti modi, Un altrove che è in continuità con ciascuno.
Per Bak Gordon l’opportunità è venuta dalla collaborazione con Mendez da Rocha, a San Paolo poi a Lisbona come in Costa Azzurra.

Francesco de Agostini propone di guardare i diversi progetti e lavori mostrati dai 7 ospiti dal particolare punto di vista che Giacomo Borella ha insistito a richiamare nel  suo intervento, così come fa nel lavoro con lo studio Albori (ovvero con Emanuele Almagioni e Francesca Riva), che hanno assieme definito ‘la questione energetica ed ambientale’.
Gurdare al di la della retorica che inevitabilmente questo paradigma si porta dietro, un aspetto che dovrebbe connotare in modo scontato e naturale l’architettura del secolo che viviamo. Al punto che non se ne dovrebbe proprio più parlare.
Propone di guardare con gli stessi occhiali anche ai molti edifici milanesi di questi anni, ancora così inutilmente energivori. forse è anche per questo che ci appaiono edifici del secolo scorso.
Basta infatti uscire di qui e guardare nel cannocchiale di via Solferino, piuttosto che in giro per la città: non c’è più tempo per mettere una toppa al problema, che non significa fare le cose forzatamente primitive, come alcuni hanno sottolineato, quanto avere consapevolezza del tempo in cui ci si trova ad operare.
Allora tirare e incrociare i fili attraverso le traiettorie indicate dai nostri ospiti, guardandole con questi occhiali diventa un modo per definire più o meno attuali i molto diversi lavori presentati nel corso dei 7 incontri.

Giovanna Borasi insiste sul ruolo degli architetti, qualcosa che accomuna anche noi 7: un ruolo allargato per l’architetto, pensare di fare l’archietettura ma insieme pensare ad altre modalità che aumentano la conoscenza dell’archiettura: la cultura dell’architettura. In questo senso propone di parlare di 'nuovi strumenti per l'architettura'.  Fingerle costruisce infatti un percorso attraverso cui creare un territorio, comunicando anche a chi non è architetto, attraverso dunque un ruolo di curatela. La partecipazione riguardo la progettazione, in cui si impara tutti insieme a farla, un dialogo committente/architetto di comunità. Forse c’è bisogno di esperimenti di questo genere.

Andrea Zanderigo ripensando all’incontro con Kersten Geers di Office sottolinea 3 aspetti.

  1. l'Architettura di Office agisce sugli atti elementari del costruire e non tanto sulla costruzione: su un dento e fuori, costruzione di un limite, spazio misurato differente dal continuo che c’è fuori. Una maniera classica, premoderna, un segno di speranza per il futuro dell’archiettura

  2. Nonostante si tratti di uno studio giovane, ha già costruito con grande qualità e consistenza. Fattori che a suoo avviso sono dipendenti dall’architetto stesso, in cui l’attitudine ad un estremo realismo spinge a individuare gli spazi di libertà del progetto, dove riporre il proprio sapere. Possono essere anche solo frammenti su cui focalizzandosi, attraverso cui però si riesce a fare qualità.

  3. Serve per fare tutto questo un certo tipo di committenza, difficile da trovare in italia. Un milieu culturale capace di accettare soluzioni radicali, le cui ragioni afferma essere nel fatto che nelle fiandre non c’è stato mai nulla, una sorta di tabula rasa, in cui la committenza è ansiosa di sperimentare, e allo stesso tempo è preparata su i fatti dell’arte contemporanea

Giorgio Santagostino sottolinea nel lavoro di Durisch e Nolli la strategia, un attenzione particolare alla sostenibilità, vista da un punto di vista progettuale, scarsa di mezzi, ovvero strutturando il progetto con sostenibilità nella forma. La struttura forma lo spazio finito, non necessitano rivestimenti. Il tutto nel rispetto delle risorse dell’ambiente.

Secondo aspetto che sottolinea è il ‘concorso come strategia della qualità’ intrinseco al loro modo di lavorare, quasi esclusivamente attraverso i concorsi. Con loro abbiamo potuto vedere una situazione, quella svizzera, in cui i concorsi non si basano su una selezione economica degli studi selezionati, un modo che si è costruito tra architetti. In italia, afferma, si è haime fermato il dibattito sulle procedure concorsuali.

Massimo Curzi è stato colpito dalla sequenza variopinta di soggetti che hanno partecipato al ciclo, e per questo ringrazia Federico per la scelta. Una opportunità, da pavese che è, di ribadire che non importa il luogo in cui si lavora ma cosa si fa. Maria Giuseppina Grasso Cannizzo lo dimostra: volutamente isolata, ma l’impegno la fa emergere attraverso una visione internazionale, di avanguardia.
L’impegno quotidiano, nelle differenze dei soggetti invitati, che lui non avrebbe mai invitato.

Si apre dunque il dialogo con il pubblico. Non si è scelto un prodotto chiuso, afferma Federico Tranfa ma si sono prtati esempi concreti e strategie che ciascuno a suo modo funzionano.

Riva sottolinea 3 aspetti: il rapporto col passato, quali altri punti di vista possono essere utilizati nell’analisi del lavoro, e sotto l’aspetto costruttivo ed economico quali innovazioni abbiamo visto in questi esempi.

Tranfa sottolinea come tutti abbiano dimostrato sostenibilità rispetto al proprio operato, nei diversi modi, più o meno radicali. Comunque sia nessuna resa al mercato, che non chiede architettura per costruire. Tra tutti il rapporto con la storia è presente, nelle modalità diverse.
basta guardare alla Cannizzo e la reversibilità,  che proviene dalla sua esperienza con il restauro.
Giovanna diceva del contributo di Mayer Fingerle nel suo territorio, come se si fosse costruito le condizioni per lavorare in modo più interessante per il suo lavoro.

Curzi accenna allo scenario attorno cui ci siamo riuniti, contrapposto allo scenario milanese, che inficerà sulla testa dei propri figli, preccupandolo molto.

La consigliere Valeria Bottelli porta il saluto di Franco Raggi, che ha promosso in consiglio questo ciclo, così come ringrazia Federico Tranfa per l’offerta fatta. Alcune parole chiave, 7 strategie tra misura, rigore, ostinazione e radicalità, in committenze non straordinarie. Diverse fra loro, come i linguaggi, ma aprono uno stimolo a non mollare. Spazio di ostinazione.

Francesco Spadaro, dal pubblico, parla di progetti di committenza. La sfida della Cannizzo per la casa del farmacista di 80 anni. O anche il committente concorso, osso difficile. Ma non si tratta di committenza debole, mai quanto i grandi immobiliaristi che non sanno quello che vogliono. Sarebbe interessante fare un secondo giro di conferenze con 7 committenti.
Mi invento la committenza, e poi mi batto per il concorso? E quali concorsi? Il Vigorelli o Expo? Dovremmo imparare a

Giacomo Borella, in quanto inventore di committenza, oltre che giurato del concorso della prima fase del Vigorelli, viene qui tirato in ballo. Del concorso parla come di una enorme sofferenza, da cui ha tratto un impietoso stato dell’architettura, peggiorato da un pessimo bando.

Nel merito delle cose di questa sera invece, non concorda con alcune cose dette che considera corporative o autistiche.
Office che afferma in belgio non esservi mai stato nulla: non esistono, in modo programmatico, luoghi al mondo in cui non vi è mai stato nulla. Come diceva Siza nessun luogo è un deserto.  Un concetto di fratellanza con la terra e i luoghi etico e operativo, è la cassetta degli attrezzi per fare una architettura umana: ogni luogo ha un suo senso, per quanto disperato o sgretolato.  In belgio anche del secondo ‘900, Lucien Kroll.

Considera poi autismo cercare luoghi in cui essere capiti meglio: personalmente ha passato la vita a cercare di capire meglio le condizioni, non certo a creare condizioni per cui gli altri capiscano meglio me.
Oppure crearsi un paesaggio intorno: ma quello c’è, e va capito per capire cosa farci dentro. Non mi interessa questa forma di autismo in cui creo il mio contesto: l’architettura, afferma, è forma di dialogo tra diversi.
Infine rispetto al rapporto con il passato, considera di averlo alla stessa stregua che ha con il futuro, in posizione mediana.

Massimo Curzi afferma che intende farsi il paesaggio nel senso di darsi dei riferimenti. E se accetti edifici che sono stupidi devi dirlo, devi parlare delle invarianti –il sole che ha sempre il suo ciclo- cui questi edifici non corrispondono.

Giovanna Borasi si riferiva a Fingerle non nel senso di costruire artificialmente un intorno, ma del bisogno di diffondere cultura per fare comunità, in cui ci si capisce. Forse anche a Milano si dovrebbe fare questo stesso sforzo di dialogo.

Andrea Zanderigo riconosce l'esistenza di un contesto belga, ma intendeva dire che ha un valore profondamente diverso da quello italiano. Forse noi abbiamo troppa storia, e vale anche verso il pubblico. Le speculazioni che fingono le cascine, in italia, com’è possibile che diventi il modello insediativo della pianura padana? intendeva dire che c’è un contesto, ma che posso metterlo in discussione. Lucien kroll per le fiandre è assolutamente una eccezione.

Dal pubblico Elvio Leonardi ringrazia per la rassegna. I 7 progettisti sono connotati tutti da una sorta di urgenza interna verso la qualità, l’impegno come si diceva prima. Da noi tale urgenza non riscontra un urgenza esterna: la domanda di architettura a Milano scarseggia. Il deludente panorama locale avvicinato ad un esito positivo serve: incontri come questi sono necessari. E soprattutto servono se aperti al pubblico.

Enrico Molteni sottolinea come a Milano ci sono persone che assumono posizioni di necessità estreme, non per questo originali. Una normalità o le condizioni ideali non so cosa siano. Ci sono condizioni, e credere e aver passione permette di fare cose, in maniera intensa: Baukuh e Albori mi emozionano, in questo senso, più che la cadaverica espressione di Durisch e Nolli. Al cliente si può chiedere al massimo di aver fiducia ed essere onesto, per il resto può essere chiunque.
Porta ad esempio il lavoro di Siza, in un paese sotto la dittatura, i cui committenti erano normali: ma era una condizione che non permetteva di fare architettura? No, la realtà è sufficiente.

Paolo Moretto, dal pubblico, afferma che gli italiani gli sembra non siano usciti poi male. Dalle forchette sull’intonaco degli Albori all’intervista ai committenti della Cannizzo, vede grande vitalità. La pertinenza, dal mare alla montagna.

Federico Tranfa pensa che selezionare architetture italiane è difficile, poichè ce n’è troppa. Molti architetti buoni in uno spazio compresso. Come fare a toglierli dalla confusione?
Questo è un luogo dove si ragiona e si scrive anche più che altrove. L’esempio a confronto è quello svizzero, luogo civile e attiguo, dove però sono gli architetti stessi che costruiscono le regole. Da noi l’opposto.

Francesco de Agostini fa presente che deprimersi sul grande numero e poi però non avere il contatto con la realtà, oppure dire mancano le condizioni senza tentare di darsene, significa arrendersi alla colonizzazione che di fatto poi subiamo. Denunciarlo è allora un primo passo, ma poi se non si è pusillanimi varrebbe la pena far ordine, a partire dalle regole dei concorsi

Andrea Zanderigo quanto riscontro attorno a me è che c’è un problema di mancanza di occasioni. Facciamo molte azioni collaterali perché costruiamo poco. L’architettura è irrilevante, in Italia più che altrove, rispetto al mondo delle costruzioni.

Valeria Bottelli ricorda che oltre ai 12.000 iscritti abbiamo iscritti alla nostra newsletter altri 12.000 simpatizzanti. l'Ordine organizza itinerari e mostre molto partecipate. Stiamo facendo uun altro ciclo dedicato al confronto tra studi europei sul come fare architettura. E inizieremo a fare una sorta di milano che cambia dedicato alle scuole superiori.
A breve faremo una serata dedicata a essiti e modalità degli ultimi concorsi a Milano.
Ci sarà dunque modo di riparlarne.

Ismè fridego


 

Mercoledì 30 gennaio 2013
si è tenuto l'incontro con Ricardo Bak Gordon | Enrico Molteni
Qui il video della serata e la sintesi dell'incontro.

mercoledì 27 febbraio 2013 
Jonathan Sergison | Federico Tranfa
Qui la sintesi dell'incontro e il video.

mercoledì 6 marzo 2013 
Giacomo Borella | Francesco de Agostini
Qui la sintesi dell'incontro e il video.

mercoledì 20 marzo 
Christoph Mayr Fingerle | Giovanna Borasi
Qui la sintesi dell'incontro e il video.

mercoledì 24 aprile
Kersten Geers | Andrea Zanderigo
Qui la sintesi e il Video

mercoledì 15 maggio 2013 
Pia Durisch e Aldo Nolli | Giorgio Santagostino 
Qui la sintesi e il video

mercoledì 29 maggio 2013 
Maria Giuseppina Grasso Cannizzo | Massimo Curzi 
Qui la sintesi e il video

Mercoledì 12 giugno 2013
tavola rotonda finale con i 7 discussant delle serate
Enrico Molteni, Federico Tranfa, Francesco de Agostini, Giovanna Borasi, Andrea Zanderigo, Giorgio Santagostini e Massimo Curzi.
qui il video

gli incontri si sono tenuti alle ore 21,15 
Sala conferenze dell'Ordine degli Architetti di Milano 
via Solferino 17 | Milano

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