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Giussaniarch – in via Siusi a Milano

From 10.06.2013 to 01.07.2013

Nuovo giornale dedicato ad un cantiere di Roberto Giussani e Andrea Balestrero al Casoretto: quando la trasformazione da produttivo a terziario diventa occasione per consolidare il tessuto urbano milanese

Al Casoretto negli anni sessanta la lotta di classe da contadina diventa industriale. Nel bel libro 'la Banda Bellini' di qualche anno fa, Marco Philopat racconta come questo fenomeno marcò a fuoco la coesione tra i giovani del Liceo Einstein, trasformandola ben presto in movimento. Il quale, contraddistinto non tanto in senso ideologico quanto dalla consapevolezza della condizione di classe cui non voler più appartenere, si ritrova nelle parole di Andrea (Bellini, appunto), che si ritrae anche e piuttosto con la forza: “A morire all’Innocenti come i nostri nonni e i nostri padri non vogliamo andare”.  Lo dice a nome del ‘Collettivo Casoretto’, o meglio “Banda Bellini” come appunto li chiamano i fascisti, umiliati dalle loro gesta.
La condizione post industriale ha cambiato la geografia dei luoghi, alla faccia bella della lotta di classe. Al declino industriale allora solo presentito,  è succeduto un fenomeno materiale, ancora una volta subìto dalla dimensione  collettiva, di profonda trasformazione della morfologia urbana.

E’ rimuginando su queste cose che mi ritrovo appunto al Casoretto,  raggiungendo nel loro cantiere  Roberto Giussani e Andrea Balestrero, che lungo via Siusi occupa il lotto ad angolo su via Deruta, da cui lo sguardo volge virtualmente a cannochiale verso il parco Lambro.
Su questa area di magazzini industriali dismessi, nel 2009 la proprietà bandisce una consultazione interna ad inviti per il progetto di conversione ad uso terziario, aggiudicata al loro studio Giussaniarch.
Un progetto poi modificato radicalmente a seguito di specifiche richieste della commitenza, che hanno portato a scelte tipologiche e distributive completamente diverse da quelle inizialmente previste.
Qualche difficoltà in questo senso –e del resto quando non ci sono?- preme, ma all’avvio del cantiere nel 2010 il progetto proposto, come vedremo, interpreta in chiave eminentemente urbana la sua funzione.

La prima cosa che colpisce è la disarmante  quanto ostentata neutralità del volume esterno, radicalmente costituito da una superficie monotòna vetrata bianco/grigio/verde. Questo neutro apparente esaspera in modo singolarmente efficace la sua tettonica, in apparenza chiusa -in realtà introversa- spezzata proprio in corrispondenza del cannocchiale che dicevamo verso via Deruta e il Lambro: un invito a varcare la soglia di questa quinta afona, una sorta di "androne" costituito dall'aggetto dei piani superiori sospesi virtuosamente su questo asse, che si percepisce di fatto come spazio pubblico, in cui la pavimentazione e persino la recinzione sono disegnati per accogliere.

Proprio come nella migliore architettura storica milanese che,  si sa, con semplicità e apparente indifferenza dell’involucro conduce all’interno di un mondo fatato, ricco, un interno stupìto fatto per sognar: Stendhal, si sa, volle morire milanese anche per questo.
Memoria, d’accordo, ma ben lungi dall’essere trita rilettura leziosa scimmiottante altrove originari, bensì sapiente interpretazione della sostanza del tipo a corte e della sua urbanità, che permette di partecipare all’ascesa distaccata che conduce agli alloggi privati: forme insomma inedite e promettenti ci conducono attraverso una piazzetta scoperta di cerniera tra spazio urbano e ambito privato ad una sorta di corte coperta che mai, dal prisma spigoloso esterno, ci saremmo aspettati così avvolgente.
Milano, dunque, più che mai.

Qui si dipana la distribuzione secondo un sistema complesso, ma noto:  le scale, la corte maggiore e minore, l’atrio e appunto, l’androne di ingresso.  Come nelle migliori prove del contemporaneo, sempre, nella storia, la sapienza sedimentata del passato  sa costruire senza facilonerie invenzioni di tratto sicuro, che volgono lo sguardo ad un futuro non fatto di effetti speciali, originalità a tutti i costi o effimera maniera, ma capace di sintesi matura. La storia, dunque, ma senza sentimentalismi.

Il sublime del moderno torna finalmente a far capolino ritrovando in figure inedite il solco della storia, al contrario della soggettiva sublimazione fossilizzata in icona,  linguaggio morto, immagine dell’architettura da bere troppo spesso sciorinata in questi anni.
A significare per il viandante una strada riconoscibile anche se inedita di raccontare la sostanza locale. Mente locale.

Per il resto il cantiere si dipana con ineccepibile correttezza costruttiva tra il sistema a doppia pelle delle facciate autoregolate climaticamente Pilkington, che sul fronte interno alterna porzioni in cemento armato neutralizzato con l’utilizzo di colori scuri, e il gioco di passaggi interno/esterno pedonali.
Qui la nostalgia per il giardino privato, luogo di delizia, cede il passo a un divertissement di passerelle che trovano lo spazio per la pausa lavorativa in mezzo alle altre corti dell’isolato.
Ai piani superiori si ribadisce il ricordo della distribuzione tradizionale, attraverso affacci a ‘chioschi’ (!)  entro cui trovano luogo le scale come momento di promenade architecturale consapevole e compiaciuto.
A coronamento, altre  terrazze per occasioni informali all’interno delle attività professionali che troveranno spazio in questo edificio.

I materiali sono ridotti all’estremo. Unica concessione le pavimentazioni in marmette di cemento esagonali che compongono le corti e parte del rivestimento verticale dell'ingresso, a ricordarci la felicità dell'architettura, che appartiene tanto al Borromini quanto alla nostra storia contemporanea più consapevole.
In questi anni di smarrimento dell’identità della Milano moderna, occasioni come queste raccontano che vi è ancora chi vigila affinchè non tutto sia reso, ancora, sublimazione dell’effimero.
In questo senso, andandomene, penso che i ‘ragazzi della banda Bellini’ ritroveranno orgoglioso riscatto nel lavoro che si sta qui concludendo.
O no?

Francesco de Agostini


Edificio per uffici a Milano, via siusi 7
Progetto preliminare di concorso: 2008
Progetto Definitivo: 2009
Realizzazione prima fase: 2009-2011
Realizzazione seconda fase: 2011-2013
Sup. Fondiaria: 4.960 mq
SLP: 5.950
Sup. parcheggi: 3.746 mq

Progetto architettonico: giussaniarch - Roberto Giussani/Andrea Balestrero
Collaboratori: Eugenio Feresin, Costanza Ronchi, Michele Nebuloni

Direzione Lavori: SIMETE ing. Stefano Dalmasso
Progetto strutture e D.L.: SIMETE ing. Stefano Dalmasso
Progetto impianti e D.L. : PRODIM ing. Matteo Bo    
Progetto illuminotecnico parti comuni: Rossi Bianchi lighting design
Progettazione specialistica VV.FF. : Studio Progess SRL, Ing. Giuseppe Amaro
Coordinamento della sicurezza in cantiere: M+ Associati
Committente: Seteci S.C.P.A.
Impresa costruttrice: Codelfa S.P.A.

 

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