From 04.03.2013 to 04.04.2013
Un ricordo del grande fotografo recentemente scomparso attraverso la voce di Marco Introini, suo appassionato allievo, nostro storico collaboratore
Incontro Marco Introini in via Solferino mercoledì 20 febbraio. Noto fotografo di architettura e da anni nostro valente collaboratore grazie ai numerosi corsi di orientamento alla fotografia condotti per la Fondazione dell’Ordine, lo abbiamo invitato a raccontarci la sua esperienza di Gabriele Basilico, il grande maestro della fotografia italiana da poco scomparso. È un po' come ripercorrere la sua educazione sentimentale alla fotografia.
“ho conosciuto Gabriele Basilico a metà degli anni ’80, quando ancora frequentavo il liceo. Lo ricordo come un uomo curioso e soprattutto appassionato. Allora non pensavo certamente di fare il fotografo, ma la sua frequentazione divenne consuetudine di famiglia, così come con il suo lavoro. Fu dieci anni dopo circa che, studente di architettura, in occasione di una conferenza a margine di una mostra di mio padre a Busto Arsizio, ebbi l’illuminazione: Gabriele presentava i suoi lavori ‘Bord de mer’ e Beirut.”.
Marco Introini parla con entusiasmo di Gabriele Basilico, cui si sente che deve molto. Ne parla non come di un maestro in senso retorico, quanto di un rapporto culturale intenso.
“Vai a belle mostre e smonta i libri di fotografia” gli diceva. Questo semplice precetto è nelle parole, ma la vera lezione è fatta in realtà di grande pratica sul campo.
Marco racconta di averlo accompagnato per alcune sessioni fotografiche, oltre in occasione di alcune conferenze e mostre.
“Avevamo un rapporto culturale intenso, come era con chi condivideva le sue passioni: la fotografia, lo spazio. Una generosità manifestata sia come persona che in senso professionale. Guardava con curiosità al lavoro degli altri, a differenza di quanto ci insegnavano nelle Facoltà di Architettura. Non fotografava per routine, ma per passione”.
non a caso il suo intenso rapporto con Alvaro Siza, “entrambi profondamente e reciprocamente curiosi della lettura dello spazio dell’altro, nella costruzione così come nella lettura, senza alcuna imposizione di sguardo, per dire punti di vista privilegiati eccetera” (Marco con Maddalena d’Alfonso hanno lavorato con Alvaro Siza, come testimoniato dal librodedicato ai musei e alla bella mostra sul tema n.d.r.).
Milano è il suo laboratorio, è attratto dallo sguardo di Sironi sulla periferia.
“ Forse in ‘ritratti di fabbriche’ dell 82, il primo importante lavoro su Milano, Basilico scopre un nuovo atteggiamento verso la città. Nell’usare la parola ritratto nel titolo denuncia un atteggiamento molto preciso nel fotografare la città; come nel ritratto di una persona si deve instaurare un rapporto di empatia tra il soggetto e il fotografo, lui cercava di ascoltare la città per poi fotografarla e si coglie già la sua necessità di costruire un progetto fotografico, non la singola foto. In lui è necessario un racconto, una narrazione della città”.
“Anche per questo i suoi ‘reportage’ erano frutto di approfondito studio, si documentava prima di partire, lavorava sulle mappe dove attraverso segni annotava riflessioni. Prima di ogni campagna fotografica faceva sopralluoghi accurati, prendeva appunti. Si interessava anche all’iconografia locale, e al lavoro compiuto da altri fotografi”.
“La sua è una straordinaria capacità di leggere lo spazio, una sensibilità ai materiali e superfici che prendono vita attraverso la luce. Entrando in uno spazio, capiva subito quale fosse il punto di vista corretto dove mettersi con il suo banco ottico, dove tutto ( fili elettrici, lampioni, cartelli stradali, affissioni, segni a terra) partecipava a mettere ordine allo sguardo”.
“Nelle sue immagini non impone mai lo sguardo, si sente che la paziente ricerca di cosa fotografare passa attraverso l’ascolto dello spazio. Alla ricerca dell’identità dello spazio. Diceva: camminando, la città inizia a parlare”.
Insomma, trovare l’ordine dello sguardo, più che la misura, attraverso una sapiente percezione della costruzione del disegno dello spazio.
“Mai fermo, aveva come una esigenza fisica di fotografare, era sempre in giro. Con un atteggiamento da analista di laboratorio. In questo senso non usava artifici, il banco ottico era funzionale alla lentezza dello sguardo”.
Gli chiedo a sua volta se dicesse di avere dei suoi maestri: “ha seguito molto Berengo Gardin, da lui credo abbia imparato l’atteggiamento curioso e ed educato con il quale guardare il mondo. Ma credo siano Walker Evans, Eugene Atget quelli che più ne abbiano influenzato lo sguardo”.
Concludiamo il nostro incontro ripercorrendo l’esperienza compiuta per la campagna fotografica voluta dal nostro Ordine‘expo dopo expo’ del 2009. Allora si era chiesto a Gabriele Basilico di indicare quattro giovani fotografi per testimoniare insieme a lui le eredità urbane e ambientali di cinque Expo Europee: il reportage sulla condizione attuale di Lisbona,Hannover, Siviglia, Saragozza e Suisse, fissati dagli obiettivi di Gabriele Basilico, Claudio Gobbi ,Marco Introini, Maurizio Montagna e Claudio Sabatino.
"all'epoca io avevo già lavorato su una delle aree Expo, per l'esattezza quella di Siviglia mentre Gabriele aveva lavorato su quella di Lisbona, allora sentendoci per questo progetto fotografico dove mi aveva coinvolto, seguendo lo spirito di curiosità abbiamo deciso di non utilizzare i lavori già fatti ma produrre dei nuovi e quindi Saragozza sarebbe stata ritratta da Basilico, mentre io avrei fatto Lisbona."
"Come altre volte, l'emozione di esporre con lui è stata molto grande, ma con la sua curiosità verso il lavoro di tutti e la sua passione per la fotografia riusciva a metterti a tuo agio"
Francesco de Agostini