From 20.02.2012 to 22.03.2012
Un divertente incontro con Mario Piazza, Pierluigi Cerri, Silvia Sfligiotti e Vanni Pasca alla sede dell'ADI dedicato alla storia eroica del graphic design dagli anni '50 agli anni '80
Raccontiamo qui dell'incontro svoltosi il 15 febbraio presso l’ADI -Associazione per il Disegno Industriale-, in via Bramante 29, secondo del ciclo “Design da leggere”, dedicato in questa occasione alla grafica.
Coordinato da un sornione Vanni Pasca, l'incontro prende spunto dal libro a
cura di Mario Piazza, già titolare dello studio 46xy, docente alla
Scuola del Design del Politecnico di Milano e direttore di “Abitare”, che veniva editato in occasione della mostra allestita a Milano nel 2010, ideata dall’AIAP
-Associazione Italiana Progettazione per la Comunicazione Visiva- e
sempre da lui curata, dedicati alla grafica italiana e le aziende che
l’hanno commissionata, utilizzata e promossa.
Un
avvicinamento alla storia del design grafico a partire dal periodo glorioso del dopoguerra in cui l’ottimismo
del progetto e della sua estetica si riversa sia negli oggetti
prodotti che nella immagine che li promuove.
“Un carotaggio
nello stile” dei comunicatori, come dice Mario Piazza, concentrati non solo nella mera
promozione, quanto nel progetto per l’industria che crede nel progetto del
prodotto. È così che nasce lo “stile milanese” dei primi Enrico Ciuti,
di cui ricorda la collaborazione come pittore insieme a Gio Ponti per Ideal
Standard; il marchio Boffi di Giulio Confalonieri; la plastica “utile e
bella” insegnata oltre che rappresentata da Michele Provinciali per
Colombini.
Via via fino al Pop di Franco Maria Ricci per Scic degli anni ’70.
Silvia
Sfligiotti, graphic designer, critica della comunicazione visiva,
partner dello studio Alizarina e condirettore di “Progetto Grafico”,
ricorda l’importanza della mostra del 2010 e della riscoperta di questi
grandi autori –cita Dante Bighi e il suo archivio di Copparo. Una grande
varietà contraddistinta da percorsi eclettici, in cui si legge il
distinguo di vocabolario tra graphic design e designer (di oggetti), e
per questo sottolinea la difficoltà a destreggiarsi in un mondo
immateriale di densità pazzesca e senza visibilità al futuro.
Pierluigi
Cerri, architetto e graphic designer, partner dello studio Cerri &
Associati, decano del magico mondo che ha avuto l’opportunità di conoscere
tutti gli autori citati, amplia lo sguardo.
Invita a guardare
oltralpe. Ricorda
come in molti si rifacevano all’Arte Concreta, gli svizzeri della neue
graphic e un po’ più frivolamente gli italiani.
E poi a Josef
Muller-Brockmann, i suoi bellissimi cartelloni di Musica Viva, e
dall’altra parte la tipografia che diventa letteratura nel ‘Compendium
for alphabet’ del ’72.
La storia del salone del mobile è in questo
senso piuttosto eloquente: il transito dei cataloghi dal grafico-autore
all’editoria più sofisticata.
ricorda come ‘Edilizia Moderna’ nasca
sponsorizzata da fabbrica di Linoleum,o ‘Rassegna’ di fatto come organo di presentazione di alcune ditte di produzione industriale.
Per lui il migliore rimane Michele Provinciali.
Ricorda infine il Centro della Pirelli: tutti passavano di la.
Vanni
Pasca passa alle domande: quali i parametri di selezione? Quando
avviene il passaggio tra grafica/design e comunicazione complessiva del
prodotto e sua immagine? E quale autonomia della disciplina o quale
correlazione tra discipline?
Mario Piazza: riguardo la scelta
c’è poco da fare, l’indagine sui grandi marchi fa emergere alcuni
autori, il cui sorprendente lavoro è leggibile sia in termini
disciplinari che di regia riguardo l'immagine complessiva. Basti vedere Michele Provinciali per Zanotta;
o i contatti trasversali attivati da Enrico Ciuti con l’arte e il
teatro.
Interviene Giovanni Anceschi ricordando come il catalogo
dei prodotti del design diventi in quel periodo sempre più un catalogo d’arte che non tecnico
commerciale da bulloni.
Per Mario Piazza gli esempi sono ancora
illuminanti: le foto della superleggera per Cassina di Giulio
Confalonieri e Ilio Negri, e la totale diversità dai Bob Noorda e
Salvatore Gregoretti.
Del resto l’empatia tra mondi diversi ha
fatto lo spessore dei soggetti. E ricorda l’amicizia tra Michele
Provinciali e il poeta romagnolo Raffaello Boldrini, o con Fortini.
Dal
pubblico interviene Piero Bassetti, anch’egli ricco degli anni per aver
conosciuto tutti. Tiene a sottolineare il ruolo determinante della
committenza, di cui per altro faceva parte, dove lo scambio con il
designer -grafico o di oggetti- era diretto e di grande influsso reciproco.
La logica del compasso d’oro di quegli anni era con uno sguardo preciso verso i settori innovativo tecnologici.
“La grafica come disciplina
dell’ascolto”, risponde Mario Piazza. Un abito fatto su misura del committente. Basti guardare
il lavoro di Giulio Confalonieri per Boffi e Cassina: un opposto
comportamento. Allora si trattava di progettare la relazione, oggi è
tutto performativo, e si presume misurabile il risultato.
Per questo oggi molta più fotografia e meno astrazione, per una forma di appiattimento senza rischio.
Pierluigi
Cerri ricorda il rapporto tra Peter Behrens e Walther Rathenau,
riguardo l’immagine della AEG, Allgemeine Elektrizitäts-Gesellschaft,
come gioiello di famiglia ma anche emblema del nuovo razionalismo.
O
il rapporto di Pintori con Olivetti. O di Marcello Dudovich, altro
insigne pittore, “che faceva una bella signora e poi ci scriveva sotto
Rinascente…”
Oggi con il web nasce un nuovo mondo, di cui non si sente parte.
Giovanni Anceschi lo esorta a non essere negativo. il committente oggi è rappresentato da un finanziario che non si diverte a fare gang con il graphic designer, a far conflitto, mentre questo rapporto umano era la cosa più divertente.
Piero Bassetti
torna a sottolineare il basso profilo della committenza contemporanea: cita
il discorso di Ernesto Rogers in cui dipinge il progettista come madre e il committente come padre del progetto, sostenendo che non regge più.
Anche per questa ragione si deve tornare a
distinguere tra design e styling: Mendini non ha aggiunto nulla, afferma, e la
forma e il suo scopo devono tornare a essere la ragione delle cose.
Chiosa Pierluigi Cerri, citando l'anonimo saggio che dice che anche far l’amore ha uno scopo, ma non sempre si fa per quello…
Design da leggere
La grafica del Made in Italy
15 febbraio, ore 18
ADI Associazione per il Disegno Industriale
via Bramante 29, Milano
Prossimi appuntamenti:
7 marzo:
Domus presentata dal suo direttore Joseph Grima
28
marzo:
De Pas-D’Urbino-Lomazzi, Ricerche Design Editrice, presentato da Donato D’Urbino e Paolo Lomazzi, con Giampiero Bosoni,
Vanni Pasca e Ornella Selvafolta.
2 maggio:
Venticinque modi per piantare un chiodo, Mondadori, presentato dall'autore Enzo Mari
23
maggio:
Il Verri n.43 - New Basic, presentata da Giovanni
Anceschi, che ne discute con Stefano Mirti e Nunzia Coco.
7
giugno:
l’esperienza “Olivetti”, forse
la più significativa case history nella storia del design italiano,
oggetto ora di nuova attenzione per una serie di articoli e libri che ne
arricchiscono la conoscenza alla luce di una serie di approfondimenti.