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In ricordo di Vincenzo Consolo. INU

From 30.01.2012 to 01.03.2012

In ricordo di Vincenzo Consolo, recentemente scomparso, si riporta il suo scritto del 2003 sul terzo condono edilizio che sarà ripubblicato sul sito dell'INU

E’ purtroppo scomparso Vincenzo Consolo.

Per l’Istituto Nazionale di Urbanistica, nel 2003, in occasione della Giornata Nazionale INU contro il condono, aveva redatto il seguente appassionato ed accorato scritto che poi era stato oggetto di diverse pubblicazioni.
Ancora grazie.


Il terzo condono edilizio.

“Italia mia, benché il parlar sia indarno / a le piaghe mortali/ che nel bel corpo tuo si spesse veggio …”. Sembra che Petrarca, in questa Canzone all’Italia, non dica delle guerre tra i signori medioevali che assoldavano mercenari calati d’oltralpe, ma parti delle “piaghe mortali”, inflitte nel “bel corpo” di quello che era detto una volta il Belpaese, da mercenari nostri d’oggi, dai cinici e protervi protagonisti d’ogni speculazione edilizia, dai topeschi costruttori abusivi, da “famiglie” d’imprese cementizie, da laide e feroci cosche di mafiosi e camorristi. I quali, a giri vorticosi d’impastatrice, a colpi di badile e di cazzuola, a colpi di lupara, dal Dopoguerra a oggi, hanno esteso sul corpo bellissimo e fragile della Penisola, sul giardino d’Europa, un sudario grigio di cemento, quel cemento selvaggio “ch’al corpo sano à procurato scabbia”. Conosciamo tutti la storia della speculazione edilizia italica da sessant’anni a questa parte. La conosciamo per averla vista svolgersi sotto i nostri occhi o per averla letta o vista rappresentata. Abbiamo visto “sanare” gli atroci squarci, le ferite della guerra su città e paesi d’Italia dai peggiori speculatori, visto mettere “le mani sulla città”, su Palermo dalla onorata società Valigio, formata dal famigerato trio Vassallo, Lima e Gioia, la quale ha sfregiato, degradato una delle più belle città del Mediterraneo, ha coperto di cemento la verde Conca d’oro, spegnendo così una “luce del mondo”, come ha detto Rosario Assunto. Il cemento mafioso avanzava in quegli anni in città a colpi di Kalashnikov, con una strage dopo l’altra. Hanno messo le mani sulla città di Napoli, come ci ha documentato Francesco Rosi nel suo famoso film. Messo le mani, gli speculatori, anche su Torino, su Milano e su Genova nel momento del grande esodo di massa di braccianti meridionali verso le città del triangolo industriale, costruendo “coree”, squallide, atroci periferie, tristi e depressivi dormitori per i nuovi operai. E tutto questo avveniva, a Palermo e a Napoli, a Torino, a Milano e a Genova, con l’assenso o avallo, con la complicità o compromissione del cosiddetto potere politico. Era sorto così un grigio, anonimo, miserevole assetto urbanistico e architettonico “democristiano” in confronto al quale Per Paolo Pasolini era stato portato ad elogiare paradossalmente quello del periodo fascista, portando ad esempio la città di Sabaudia.
“Alzare gli occhi dal libro (leggeva sempre, in treno) e ritrovare pezzo per pezzo il paesaggio (…). Però ogni volta c’era qualcosa che gli interrompeva il piacere di quest’esercizio e lo faceva tornare alle righe del libro, un fastidio che non sapeva bene neanche lui. Erano le case: tutti questi fabbricati che tiravano su, casamenti cittadini di sei otto piani, a biancheggiare massicci come barriere di rincalzo a franante digradare della costa, affacciando più finestre e balconi che potevano verso il mare. La febbre del cemento s’era impadronita della Riviera…” questo scriveva Italo Calvino nel 1057, scriveva il racconto La speculazione edilizia. Ed eravamo allora ancora ai progromi, agli albori del nostro “miracolo economico”, della gande trasformazione (antropologica, culturale, linguistica, urbanistica …), trasformazione che aveva fatto scrivere a Pasolini l’articolo delle lucciole (1975), della mutazione, del passaggio epocale del nostro Paese, simboleggiato dalla “scomparsa delle lucciole”. E ancora, tra gli anni Cinquanta e Settanta, non un narratore o un poeta, ma uno studioso, un intellettuale come Antonio Cederna, voce clamante nel deserto, pubblicava i suoi libri-accusa sulla distruzione del Belpaese: I vandali in casa, Mirabile Urbis, La distruzione della natura in Italia …
Si cercò di mettere ordine nel caos con leggi e decreti, si cercò di arginare l’anarchia, la violenza costruttiva o meglio distruttiva che s’era dispiegata nel Paese. Ma con quelle leggi, con quegli argini, rigoglioso fiorì l’abusivismo edilizio. La piccola borghesia italiana miracolata, affluente, spocchiosa e ignorante, non contenta più di avere la prima casa, volle anche la seconda, se non la terza casa, costruendola dove e come voleva, al mare o in campagna, in luoghi di rispetto ambientale, artistico o archeologico. Si diffuse così l’abusivismo selvaggio, nella cecità e nel silenzio delle autorità. Così le coste dell’Adriatico e del Tirreno furono coperte da ville abusive, dai condomini di sei otto piani di cui parlava Calvino riferendosi alla Riviera Ligure. Con l’abusivismo diffuso, i Governi compiacenti e conniventi, “inventarono” il Condono. Il quale è l’escamotage più italico e più vergognoso per premiare i furbastri che infrangono le leggi e punire i cittadini onesti rispettosi delle leggi. Il Condono, come l’indulgenza o l’assoluzione, in questo nostro “cattolicissimo” Paese, si può affiancare ad altre categorie legislative: Deroga, Proroga, Rinvio, Sanatoria … E’ un modo ipocrita e tutto italiano di vanificare, cancellare ogni punibile trasgressione. Fanno pensare, quelle categorie dilazionatorie o assolutorie, a quello che consigliava, o ordinava, il conte zio a fra Cristoforo nel romanzo disperatamente italiano che è I promessi sposi: “Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire”. Sappiamo del primo e secondo condono edilizio, di Nicolazzi-Craxi dell’’85 e di Berlusconi del ’94, condoni che hanno incoraggiato un più aggressivo e selvaggio abusivismo.
Con l’attuale ultimo condono del secondo Governo Berlusconi e del ministro Tremonti, condono promosso per “fare cassa”, siamo alla vergogna più sfacciata, all’indecenza. Si è giunti all’incostituzionalità, all’abidicazione dello Stato, ala concessione del patrimonio demaniale ai più aggressivi interessi criminali.
La mia Sicilia, dove sulla speculazione edilizia e sull’abusivismo, come su tant’altro impera la mafia e il potere molitico-mafioso, è stata ed è la regione portabandiera di ogni illegalità edilizia e urbanistica. Percorrere i tre lati dell’isola è fare un percorso di orrore, di mostruosità, di pena, di vergogna. Interi, miserabili paesi, o ammassi di casacce, sono sorti, con case finite e non finite, costruite sulla spiaggia, sulla sabbia. Esemplare è il paese di Triscina (che in italiano significa Poseidonia o Alga), a ridosso delle rovine di Selinunte.
Emblematica – emblema di arroganza e di disprezzo di ogni regola e decenza – è
l’abusivismo nell’agrigentina Valle dei Templi. Nel gennaio del 2001, quando arrivò lì il Genio Militare per abbattere le case abusive su ordine dell’autorità giudiziaria, si arrivò al paradosso, a dramma pirandelliano: le ruspe dei militari si sono bloccate perché dentro quelle case c’erano asserragliati i proprietari abusivi  con le famiglie. E si arrivò così alle verità differenti e contrapposte: allo Stato che aveva il dovere di ripristinare finalmente, dopo trent’anni, la legalità violata e che appare ingiusto, impietoso, e dei violatori della legge che apparivano povere vittime di un sopruso. Dov’era più, in quella penosa, torturante dialettica, la ragione? La ragione, quella, cozzando contro il duro cemento della case abusive, si era frantumata e, tra i suoi cocci, come sempre, era fiorita l’emozione, la commozione. Gli abusivi, rifugiatisi poi nella chiesa, anch’essa abusiva, di Santa Rosa, cominciarono a pregare e a invocare il soccorso di Padre Pio, portarono poi fuori in processione la sua statua: che vedesse e intercedesse almeno lui dal Cielo, il Santo, che facesse il miracolo d’allontanare dalle loro case abusive, fra mezzo ai templi greci le ruspe, i bulldozer, quelle crudeli macchine della ragione dello Stato. “noi non siamo abusivi, urlò in quel frangente uno dei proprietari – siamo costruttori spontanei”.
Ecco, questa è l’Italia di sempre, di ieri e di oggi, l’Italia priva di ogni senso del valore della legge, dello Stato, l’Italia di Padre Pio e dei costruttori spontanei.

Vincenzo Consolo

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