From 21.11.2011 to 22.12.2011
Report dell'incontro di presentazione del volume monografico dedicato all'opera di Angelo Monti. Tanti i temi trattati tra professione, centralità del progetto e attualità di un metodo
Mercoledì 9 novembre, presso la Sala della Biblioteca dell'Ordine degli Architetti di Milano, si è svolta la presentazione del libro dedicato all'opera di Angelo Monti, intitolato “Il progetto tra intuizione e concretezza” edito dalla casa editrice Librìa. Presenti all'incontro, oltre allo stesso Monti, Maurizio Carones, Adalberto Del Bo e Marco Ortalli.
Osservando il lavoro di Angelo Monti risulta evidente sin da subito il principio di razionalità a cui si ispirano le sue forme, frutto di una visione schietta e onesta del mestiere dell'architetto. Citando Franco Albini, si potrebbe dire che egli si serva della tradizione come contraltare all'arbitrio e alla provvisorietà delle mode. Anche nelle opere di committenza privata, non viene mai meno la concezione dell’architettura come disciplina civile, come fatto collettivo, dove il progettista rimane saldamente ancorato alle esigenze del proprio tempo e sfugge alle tentazioni formalistiche; non a caso parliamo di un architetto nato a Milano e attivo per gran parte della sua carriera a Como, città fortemente connotata dall'esperienza razionalista.
Il progetto come centralità – sottolinea Maurizio Carones nell'introduzione all'incontro – che genera architettura lontana dall'essere “evento” o manifestazione di una soggettività superiore, dove la qualità sta spesso nella cura artigianale del dettaglio, nei materiali e nelle proporzioni; un approccio che si prefigge di dare ordine allo spazio costruito, nel rapporto tra edificio e città, come sottolinea Adalberto Del Bo utilizzando la metafora della foresta e dell'albero, dove il significato dei singoli elementi si arricchisce dal reciproco rapporto. E non sorprende, dunque, che si citino le esperienze di ricerca tipologica di Gianfranco Caniggia, personaggio piuttosto lontano dalla sensibilità di Monti che tuttavia ha avuto una profonda influenza sul suo lavoro, approfondendo uno strumento – la tipologia – che possa servire per un confronto tra edificio e città. Nella piena integrazione tra architettura e design, Monti passa agilmente tra la scala dell'oggetto a quella del disegno urbano, rievocando un modo di intendere la professione, oggi frantumata in ambiti disciplinari ristretti e non comunicanti, sempre più raro.
Nella parte conclusiva dell’incontro, si è cercato di aprire uno scenario più generale sulle difficoltà che sta attraversando attualmente la professione, in un'epoca in cui mancano riferimenti condivisi non solo tra gli stessi architetti ma anche presso la committenza, sempre meno in grado di misurare la qualità nel lavoro del progettista.
Negli anni Cinquanta e Sessanta operavano quegli architetti che Vittorio Gregotti, in un famoso saggio sulla rivista Casabella, aveva chiamato “naturalmente moderni” in quanto avevano adottato il linguaggio razionalista come un postulato e non più qualcosa da conquistare, come fu per i maestri Albini, BBPR e Gardella; e soprattutto, avevano il vantaggio di interloquire con una committenza borghese che aveva analogamente adottato quella stessa modernità come propria personale peculiarità.
Oggi, invece, quella razionalità delle forme – che ha qualcosa a che fare con l'onestà nel progettare di cui parla Monti – pare una scelta da difendere costantemente ad ogni passo, non solo presso gli architetti ma nei confronti della stessa società civile, in un percorso accidentato dove il rischio di “cedimenti” è sempre presente. E' qui forse che sta molto dell’attualità dell'opera di Angelo Monti: perchè dimostra che, pur nelle difficoltà, è possibile non cedere.