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L'architetto dello spazio assoluto

From 03.11.2011 to 10.12.2011

Alvaro Siza Vieira a dialogo col pubblico presso la nostra sede di via Solferino, a Milano in occasione dell’inaugurazione della sua mostra di disegni alla Galleria Jannone

Presentiamo qui alcuni estratti della conversazione di Alvaro Siza Vieira svoltasi giovedì 27 ottobre 2011 presso la nostra sede di via Solferino, in occasione dell’inaugurazione della mostra dedicata ai suoi disegni presso la Galleria Jannone, aperta fino al 30 novembre.
Poco dopo le ore 16 prendevano posto al tavolo accanto al Maestro portoghese Fulvio Irace, docente di storia dell'architettura del Politecnico di Milano, e Franco Raggi, ubiquo vicepresidente del nostro Ordine, che lo hanno sollecitato come vedremo con alcune domande legate ai suoi scritti ed al suo lavoro (N.d.R.)


F.Raggi:Tu hai scritto che l'Architettura è ricerca di autenticità, di bisogno e di espressione: cosa significa?

A.Siza: Per fare qualcosa di solido c’è bisogno di convinzione e non solo di idee personali. 
Per me il lavoro è fatto a partire dai dubbi. Esiste un programma, e poi tanti dubbi.
Quando inizio un progetto, per non crearmi inibizioni molte volte  inizio senza avere tutte le informazioni, ma giusto quelle sufficienti per permettermi di fare una ipotesi, subito. Via via che si approfondiscono le informazioni, queste bozze assumono un valore critico. L’intento è non essere impressionato da troppe informazioni, di cui la sintesi è impossibile.
Se per esempio inizio un progetto per una città che non conosco, prima di visitarla cerco delle informazioni, anche superficiali, dalle guide turistiche, oppure parlo con amici che conoscono i luoghi dove devo lavorare. Poi quando faccio il viaggio porto con me un quaderno con queste bozze, che poi probabilmente saranno completamente sbagliate. Non va male: è un problema mio, mi serve per cominciare. Quando poi si incomincia a mettere sotto critica quanto fatto, il processo incomincia.

F.Irace: il catalogo della Galleria Jannone per la mostra, accosta a ciascun disegno dei pensieri scritti. Il rapporto tra scrittura del pensiero  e calligrafia del disegno è un tema che spesso affiora nel tuo pensiero. Disegnare è come scrivere, e il rapporto con la letteratura e la poesia è molto profondo.

Io non volevo diventare architetto, ma scultore. Ma da parte della mia famiglia era considerato una cosa non conveniente, e per non entrare in conflitto con mio padre -mai avuto conflitti con lui- sono entrato ad Architettura, che veniva insegnata insieme a pittura e scultura, pensando che successivamente si sarebbe potuto cambiare senza particolari problemi.
Iniziava allora nella scuola di Porto un periodo interessante, in cui il nuovo direttore aveva chiamato ad insegnare giovani e bravi architetti. Così mi sono coinvolto e sono rimasto ad architettura. Ma ho continuato a fare pittura, soprattutto l'acquarello, e scultura.

...Pittura, architettura, scultura, cinema, musica sono in fondo la stessa famiglia. Molti oggi pensano sia necessario specializzarsi, rendere tutto specializzato, e non si ammette che un architetto faccia una buona scultura. Va bene, non siamo nel Rinascimento, dove l’artista faceva tutto, ma sono comunque attività molto vicine, simili per certa misura.
ma ho dimenticato la domanda…

Irace: non importa... c’è una frase dei tuoi scritti, che io vedo come immagine di un film: "Il progetto sta all’architetto come il personaggio di un romanzo sta all’autore, cioè, lo supera costantemente. E' necessario non perderlo, il disegno lo incalza."
Io mi immagino Siza con la bic, come uno spadaccino che incalza il progetto che si nasconde: la matita è un pungolo per far venir fuori il progetto.

Durante il processo di progetto, ci sono periodi di grande entusiasmo e altri di grande depressione. Sono entrambi molto utili, ma anche molto pericolosi.
Perché i diversi strumenti che si utilizzano possono ingannare.
Noi lavoriamo facendo molti schizzi -io, non tutti credo. Per me è un modo rapido di fare proposte critiche, e di registrare. Ma lavoro anche con i modelli, e il disegno rigoroso. Per fare questo è molto importante il lavoro di equipe.
Se per esempio la maquette di un lavoro può entusiasmare, bisogna che parallelamente vi siano altri approcci che verifichino gli eventuali sbagli che possono esserci nella sua bellezza.
Io non mi fido degli schizzi , molte volte sembrano bellissimi, specie quando vengono di notte. Ma il giorno dopo, quando verifico facendone un disegno rigoroso, scopro che le proporzioni fanno di questo schizzo una cosa terribile.
Bisogna lavorare sempre in parallelo...
Tutti questi strumenti sono fondamentali, ma possono provocare sbagli, non si può credere ciecamente al singolo strumento.

riguardo l'uso della penna bic: ha molte qualità. Non è strumento nobile, ma è molto pratico, anche perché se si perde non c’è nessun  problema. Se invece perdi una Parker 51 ci rimani male... E poi tutti rubiamo la bic ad altri.
Ma c'è un’altra ragione che mi fa usare la bic.
Anni fa, Souto de Moura mi aveva chiesto dei disegni da mettere nelle stanze  per la posada a Bouro (Recupero e trasformazione in posada del convento di Santa Maria do Bouro, Amares, 1989/97, ndr). 40 o 50 diverse abitazioni.
Senza pensare troppo, ho iniziato a disegnare con la bic. Ma qualcuno ha pensato che non fosse degno, per un monumento così, fare disegni con la bic. Allora hanno preso una Pelikan, bella, con una tinta di qualità e ho finito il lavoro.
Dopo 2 anni alcuni disegni cominciarono a scomparire. ma quelli fatti a bic sono rimasti perfetti. Ho una grande ammirazione per la bic.

F.Raggi: Cosa intendi quando scrivi “nell’intorno perfetto, la perfezione dell’architettura deve affinarsi fino alla apparente irrilevanza…”

Quando uso la parola irrilevanza, mi riferisco a qualcosa che considero nella città molto importante: ciò che è pattern del tessuto della città, non deve emergere, cosa che deve essere invece dell’edificio pubblico. Di natura, per il suo uso, l'edificio pubblico in mezzo all’architettura deve seguire questo principio, anche se sarà forzato, anche senza volontà, verrà fuori del tessuto.
Ma se è una cellula, una parte del tessuto della città, è ridicolo trasformarlo in un pezzo fantastico che richiama particolare attenzione.
A meno che si tratti di un edificio speciale nell'evoluzione dell’architettura. Per esempio l’avanguardia europea quando faceva una semplice casa, le dava una carica espressiva molto forte, dunque emergeva per forza dal tessuto anche se era dentro il tessuto. Ma quella era un’altra spiegazione.

L’autenticità. Quando una tendenza espressiva molto significativa lotta per un linguaggio diverso, corrispondente a una nuova forma di vita, il disegno prende forza, che non è invenzione individuale, o un capriccio, ma qualcosa che farà parte dell’evoluzione del corso della storia.
È curioso come alcuni degli esempi più noti di casa moderna, non siano mai stati utilizzati come abitazione. Avevano un’autenticità di manifesto. Per esempio villa Savoye non è mai stata una casa di famiglia, ma venne fatta per un proprietario che aveva gli stessi obbiettivi dell’architetto: un programma di vita nuova, l’uomo nuovo, una cosa fortissima, la vita moderna, anche se non è mai servita come casa.

F.Irace : Che significa essere originali in architettura? Hai detto che è un atteggiamento incolto e superficiale voler essere originali...

Io lego molto originalità ad autenticità.
Le città oggi sono piene di cose originali, e c’è una tendenza a che molto di ciò che si fa debba essere originale. Succede anche per edifici che non hanno una vita forte nella città.  Alla fine diventano ripetizioni.
In un periodo del passato, chiamato in modo poco rigoroso Architettura post modern, c’era una forte ansietà ad essere originali, ma con presupposti deboli. In questa lotta per l’originalità, appaiono molte originalità che sono quasi sempre le stesse.  Se si vede quanto fatto in questi anni si vedono tante cose ripetute: e così non si arriva all’originalità.
L’originalità deve avere dietro di se una ragione molto importante, anche se incosciente, comunque esiste ed è molto importante.

F.Irace: Stamattina sei stato in giro per Milano, hai visto queste cose originali?

Vicino alla Fiera ho visto dall'automobile alcuni grattacieli in costruzione.  Ma non posso dire... C’è una componente di diplomazia... per fare una critica o un'analisi di quanto visto... ho visto solo qualche immagine.
Le torri che mi  sono piaciute –non sono torri, ma edifici grandi, di Gino Valle.
Non sono i casi più strani.
Ho visto anche le maquette dei grandi architetti alla Fiera. Sono rimasto deluso dall’impegno di originalità, che viene da persone di grande qualità, da questi grandi architetti, che per me non hanno bisogno di cercare tanto originalità. E quando lo fanno succede quello che dicevo…

C’è una bellissima torre che ha fatto Gehry a New York, qualcosa di speciale, ma non è questa cosa capricciosa… si deve dire anche che c’è una grande pressione del mercato in questa direzione.

F.Irace: Se ci sono domande dal pubblico…
F.Raggi: leggo da qualche parte che non riesci a progettare una casa, o meglio a vivere una casa, perche tutto si rompe. Come se tu avessi un rapporto difficile con tecnologie e meccanismi. Vale anche per la costruzione della tua architettura?
Penso per esempio che La facciata strutturale in vetro dell’edificio che si vede volgendo lo sguardo a sinistra (edificio Pelli in Garibaldi ndr) non ti piaccia, mentre ti piace di più fare un muro, la solidità semplice, l’assenza di meccanismi apparente.
La mia domanda è sul rapporto con la tecnica.

Più che del rapporto con la tecnica, nello scritto che hai citato si parla del rapporto con le trasformazioni della vita, quello che era la famiglia, quello che è oggi, in termini generali. Questo scritto è anche un omaggio ad amici che mi hanno aiutato molto... Sono stato 3 o 4 giorni in convalescenza ospite a casa loro. E in quei giorni ho potuto osservare il movimento che avveniva in quella casa.
La famiglia è oggi molto più piccola di quando ero bambino. In una famiglia di classe media, tutto era più semplice, non c’erano elettrodomestici ma persone che facevano ogni cosa. In casa c’erano 2 persone di servizio, c’era meno varietà di attività e molta più gente. E poi le famiglie erano molto più grandi, e c’erano le zie non sposate… A casa mia c'era anche uno zio, molto simpatico. Eravamo in 13 a tavola.
E si continuano a fare case con grande disponibilità, ma i mezzi sono più difficili.

Io vivo in un appartamento molto semplice. E ho un rapporto con le macchine difficile. Io non uso telefoni cellulari, e se anche ne prendo uno, non funziona. Oppure le lampade speciali, tipo alogene: io non ho il coraggio di montarle, io chiamo l'ingegnere… è tutto più complicato... il gas, la televisione: era nero/bianco, 3 canali, bisognava muoversi per cambiare, oggi è molto più complicato. Io sono riuscito ad avere solo una manovra, prima non sai quanti pezzi, tutti uguali. Complicato e anche un po’ pregiudiziale.

Quando vado a casa da studio lungo il fiume vedo una quantità di persone che fanno esercizio. Uomini che muoiono a 40 anni facendo esercizio. Oppure prima c’èra un esercizio fantastico:  aprire e chiudere i finestrini della macchina …finito. E come questo tutto quello che facciamo oggi, e dopo c’è bisogno di correre…

F. Raggi: Hai detto che è difficile disegnare un mobile. Hai disegnato una lampada per Fontana arte molti anni fa, quasi un esercizio sado maso di riduzione calvinistica, un filo con in fondo una lampada alogena. Questo rapporto col design è così difficile perché ti sembra che non ci siano le stesse ragioni intime che guidano il processo del progetto di architettura?

Esatto, è quello. Mi chiedono di disegnare una sedia, per esempio: ma ci sono miliardi di sedie, fatte nei secoli, e anche contemporanee: allora perché farne altre? E dopo chiedono che siano originali, per avere un successo commerciale.
Qualche volta ne faccio, ma non credo che premino per originalità. Quello che ho fatto praticamente è stato prendere dei modelli tradizionali e ottimizzarne l’aspetto del confort: le misure per il confort, il rispetto della comodità o l'utilizzo di alcuni materiali nuovi. Non credo di aver fatto mai mobili innovativi o speciali. Perché non sento il bisogno e il gusto per farlo. Ho fatto recentemente pezzi sanitari per Roca, un lavoro interessante e complicato. Si lavora con esperti della fabbrica, e si fa design. Io ho tentato di fare dei sanitari che sembrano sanitari. Molti non sembrano sanitari, e riconoscere il bidet è una cosa utile… Non sento il bisogno di disegnare per il design

F.Irace: mentre parlavi vedevo questa strana contraddizione: tu sei uno di quei 2 o 3 Maestri che veramente si possono chiamare Maestri dell’Architettura del secolo scorso e anche di questo. Ed hai anche successo internazionale,  anche mediatico, riconosciuto, vedi il Pritzker prize del 1992. Però è come se tu fossi un uomo di un altro secolo, fai l’elogio del fare le cose bene, della lentenzza, quasi dell’austerità, che oggi nel nostro frenetico consumismo viene costantemente disilluso, ogni giorno c’è un telefono un i pod nuovo, qualcosa di nuovo. Un successo il tuo come se ci fosse un senso di colpa nella società….

Ben, in quanto al grado di maestro è il primo sbaglio tuo, in questo

F. Irace: e vabè, certo, i discepoli sbagliano sempre, però …

Anche perché non ci sono 3, 4, 10 maestri o grandi architetti, ma molti di più.
Io penso di essere conosciuto perché sono –dico esattamente quello che penso-  un po’ antico. E' normale perchè sono nato nel ’33, e da una parte molte cose sono venute troppo tardi per me.
Per esempio io non lavoro col computer, perché mi snerva. Ma quasi tutti nello studio hanno il computer: da molta potenzialità allo studio, ed è anche richiesto. Per me non funziona bene.
È uno strumento fantastico, l’uso dell’informatica è ancora una cosa molto piccola rispetto a quello che sarà.
C’è un bilancio –penso io- tra le persone che guardano il mio lavoro e che dicono, diciamo una metà, questo è un antico. E altri, o L’altra metà di ciascuno, dice: questo mette il dito proprio in quello che del’uso delle nuove tecnologie è sbagliato, dove non arriva.

Dal pubblico - Sul disegno: come ha imparato a disegnare, se qualcuno le ha insegnato, e come insegnerebbe l’uso della bic ad un neofita?

Ho imparato seduto sulle ginocchia di uno zio, che non disegnava niente. Dopo cena, rimanevamo nella sala, e lui ha incominciato a insegnarmi a disegnare i cavalli. Si è impegnato molto nell’attività.
Quando avevo 8 anni, con i miei fratelli e altri amici abbiamo fatto un giornale, loro facevano la parte letteraria, io facevo i disegni. Così succedeva che tutti andavano a giocare, e io dovevo continuare, perché erano 10 esemplari,  ma non c’era la copiatrice…
E poi c’è stato un periodo in cui volevo essere scultore, visitavo i musei, quando si viaggiava, ero un disegnatore autodidatta, ero convinto di fare bene. Compravo l’argilla per fare scultura. Per entrare a scuola ho dovuto fare l'esame con il modello, i busti a carboncino. Ho avuto un professore allora che faceva disegni molto rigorosi, con linea, doppia linea con le ombre, e gomma pane, e mi sono impegnato molto con lui, 2 mesi, anche se poi sono entrato con una classificazione non buona.

Dopo, il primo professore era un Impressionista molto bravo, in quel tempo di isolamento di Porto, era rimasto Impressionista. I moderni erano a Lisbona, e si insultavano tra loro.
Lui con il carboncino faceva una lamina molto sottile. Quando veniva a lezione la prima cosa che faceva era spezzarti il carboncino. Entrai in confusione. Poi ho capito che il suo uso del carboncino era opposto all'altro: il primo era la linea anche di una forma fine, al modo dei modernisti: fare per superfici. E l’altro era impressionista, disegnava straordinariamente bene.

Poi ho avuto il disegno dal vero. La cosa più divertente erano le ragazze che entravano col modello nudo, e noi guardavamo la loro reazione… e poi è continuato, è importante il disegno nella scuola di Porto, e non solo: il modello, il disegno dal vero, o l’interpretazione della fotografia. Credo sia molto buono questo. In molte scuole il disegno non c’è più.

F. Raggi: metterei il disegno del quaderno di viaggio.

Dentro la scuola di Porto nel 1° e 2° anno si da preparazione gli studenti disegnano tutti molto. Ma c’è anche qui il pericolo che il disegno diventi un vizio. Come quando vedi presentare un progetto con molti schizzi, e a colpo d’occhio si vede che non dicono nulla, che non è una ricerca, ma che sono fatti per gli occhi.

Mi hanno chiesto di scrivere rispetto al disegno. Io ho scritto una frase che aveva 3 proposte: una di queste  ricordo che diceva: “il disegno è il disagio dell’intelligenza”.
Poco tempo fa ho visto un libro, in cui si diceva: “ il disegno a schizzo impedisce l’intelligenza”.
Io credo che le due cose, così contraddittorie, siano giuste entrambe. Perché se lo schizzo diventa un godere estetico non è più ricerca vera. Può impedire il pensiero. Il disegno è bene quando promuove o è appoggio al pensiero. Ma può essere invece -e in molti casi succede- può impedire l’intelligenza.

Dal pubblico – lei è un Maestro che si collega con un epoca precedente agli ultimi anni. Se penso alla storia dell’architettura, quella moderna, molto ha fatto il tema dell’abitazione. Questo mi sembra ultimamente scomparso o passato di moda. Lei in un suo scritto diceva che costruire una casa è diventata un’avventura. Siccome io come lavoro mi occupo di case, ci racconta il valore che ha per lei pensare e costruire abitazioni e qual è il significato nell’ambito dell’architettura fare una casa?

La casa è insostituibile, per la sua dimensione, e per l'esperienza che permette di fare. Una casa normale nasce dal rapporto che si crea con il cliente, che normalmente ha cercato un architetto che vuole, di cui ha già visto quello che ha fatto. Pertanto il rapporto è più semplice, senza il carico burocratico che c'è per  edifici di grande dimensione, dove sono coinvolte molte persone.
Pertanto come campo di esperienza è il più valido possibile, così come lo è stato nella storia dell’architettura moderna: basta pensare, come abbiamo già detto di villa Savoye, o la casa di Rietveld Schröder, le case di Loos. Si può fare La storia dell’architettura moderna attraverso le case. Sembra riduttivo ma è così. E' un campo di esperienza molto importante.

Un altra cosa che io penso è che l’architetto nella sua formazione e nella sua esperienza, ha bisogno di lavorare alle diverse scale presenti nella città, ed una di queste è sicuramente la casa.
Uno che non ha mai fatto una casa non può fare assolutamente bene un grande edifico pubblico.
E lo stesso l’inverso, uno che lavora solo su grandi edifici, è difficile che poi sappia fare la casa nella scala giusta.
Sono cose complementari nella città.
Pertanto io sento il bisogno e continuo a fare progetti di case. In studio in questo momento stiamo lavorando al progetto di 3 case.
Per la vita, l’economia e le finanze dello studio è un disastro mantenere questi due tipi di attività. Perché con una casa si perdono soldi, anche se si possono aumentare le tariffe degli onorari. Ma la Comunità Europea ha ordinato che non ci siano tariffe, e la concorrenza che c’è è impossibile.
Anche per i concorsi pubblici è così. Ci sono concorsi in Portogallo, in cui il criterio unico per classificazione è il costo del progetto: il progetto che cosa meno, il costruttore che costa meno… Ma la costruzione in realtà costa tantissimo per fare queste due cose insieme!

Un'altro aspetto che mi interessa nel progetto della casa monofamiliare è che si fa  per una famiglia, e il progetto è discusso con molta autenticità. Perché parli con i diversi componenti, il rapporto col vicino.. è un progetto partecipato.

In Portogallo ho potuto avere una esperienza di progettazione partecipata per le abitazioni collettive. E' stato molto interessante. Oggi tutto questo è finito, a causa della mutazione politica.
Io lamento che sia così, perché per dare la risposta giusta alle domande, alle circostanze, alle condizioni, c’è bisogno di questo rapporto molto diretto, come si continua ad avere per una casa privata.
Permettere di esprimersi a chi non ha i soldi per fare la casa. E' un aspetto didattico, utile per imparare a fare interventi nella città. Anche se qualche volta ci sono conflitti: ma senza conflitti non si fa questo processo, sarebbe ipocrisia. Quello era un momento politicamente speciale.
All'inizio pensavamo che la discussione si sarebbe fermata al rapporto tra cucina e sala. Ma alla fine, dopo alcuni mesi, la gente discuteva e decideva della città, e l’importanza della città dipendeva da quelle decisione, molto importante, e così anche pericolosa, pertanto tutto finito…

Dal Pubblico interviene il prof. Emilio Battisti: volevo ricordare ad Alvaro Siza, che tanti anni fa lui fece il viaggio delle università occupate, che organizzammo, lui era con Alves Costa e Nunos Porta, ricordo che da Milano partirono in macchina. In quel momento tutte le facoltà erano occupate, fase storica di grandi conflitti, e la dialettica faceva parte dei riferimenti che gli architetti assumevano per il loro lavoro.
A Porto mi accompagnò a vedere un intervento che stava facendo, per comunità povere, basato sul recupero di elementi già costruiti integrati attraverso in modo raffinato e nello stesso tempo economico, nei mezzi.
Hai detto che è finita quella fase storica, e che quindi non c’è possibilità di recuperare quei contenuti e valori. però io mi sto interrogando per certi versi, se questa situazione di crisi che sta sconvolgendo i rapporti sociali e i rapporti economici etc, non ci indichi in qualche modo che bisogna ritornare a farsi carico di queste tematiche, e credo che l’esperienza passata, anche se che non può essere riproposta in quanto tale, può essere un elemento che ci aiuta a capire che questa necessità vada affrontata.
Vorrei che in qualche modo ci dicesse qual è la sua valutazione.

Bon. Io ho detto che questo processo di lavoro è finito, ma pensando che non doveva essere finito.
C’è un bisogno permanente, proprio perché per non commettere errori nella città è insostituibile l’esperienza diretta.
È finito perché le decisioni politiche hanno decretato questa fine.
Oggi ci sono il 20% di disoccupati in Spagna, il 12% in Portogallo: c’è bisogno di volontà politica, è più che mai necessaria.
Io sono molto pessimista, perché in Portogallo di nuovo si vive in una dittatura, e la peggiore è la dittatura senza dittatore. Perché se c’è, si può abbattere.
Oggi non esiste spazio di mediazione, non credo vi sia possibilità di prendere politicamente questo spazio.
Ma la situazione va così male, che voglio credere che la crisi prenderà il significato della parola greca che dice: trasformazione/purificazione.

Ultima domanda dal pubblico – penso si possa dire che le sue opere vivono essenzialmente delle qualità intrinseche dell’architettura. Volevo conoscere il suo pensiero viceversa su un approccio differente, che vede l’architettura metafora di significati altri, extra architettonici

Non ho capito...

F.Irace: dice: la tua architettura ha un valore in sè, lui chiede quale sia la tua opinione  nei confronti di un architettura metafora di altre cose, non so: la società, l’arte etc.

Si, in certa misura questa componente esiste, se il lavoro è impegnato qualcosa si riflette per forza, e qualche forma di questo tipo esiste nell’architettura di qualità.
Adesso non lo sai, ma visita i miei progetti, e dopo mi dirai se ci hai visto qualche cosa in questo senso.

 


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