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XXIII Congresso Mondiale dell’Architettura: prima giornata, lunedì 30 giugno

Dal 09.07.2008 al 09.07.2009

Una sintesi della giornata tipo del volenteroso redattore al Congresso, tra sessioni di dibattito e la Fiera degli Ordini



Bisogna premettere che la cronaca di questo congresso è composta come da frammenti che non appartengono tuttavia ad un unico oggetto, ma sono come molteplici spunti spesso non corrispondenti in cui cercare di orientare il pensiero al futuro.

L’ambizioso programma di intitolare le tre giornate di lavoro del Congresso rispettivamente a Cultura (passato), Democrazia (presente), Speranza (futuro), se da una parte ha permesso di avere uno larghissimo spettro di contributi –dei più variegati spessori-, dall’altra tale varietà ha costretto a non poche fatiche i circa 10.000 visitatori dichiarati dall’organizzazione, divisi fra eventi spesso contemporanei fra loro e localizzazioni diverse, con oltre 600 relatori per più di 100 sessioni suddivise in tre giornate, delegazioni da 117 paesi e diverse mostre in giro per la città –mitica quella dedicata a Sambonet a Palazzo Madama.

Tali giornate poi sono state anticipate la sera di domenica 29 giugno da un ricevimento nella prestigiosa cornice della da poco rinnovata reggia di Venaria Reale, mentre in chiusura giovedì 3 luglio vi sono state le considerazioni finali da parte dell’organizzazione internazionale UIA, il cui relatore generale è stato il nostro iscritto arch. Leopoldo Freyrie.

Parallelamente poi alle sessioni congressuali vi era una ingente presenza di delegazioni dei vari ordini, sia italiani che stranieri, organizzate in propri singoli stand di presentazione delle proprie attività, nella più classica delle tradizioni fieristiche, che ci ha costretto ad un tour de force di relazioni con i nostri ‘coscritti’ con l’obiettivo di arricchire quanto più possibile i contenuti delle diverse attività dell’Ordine.

In questa cornice il grande lavoro fatto dall’Ordine di Milano, il cui padiglione emergeva tra gli altri per eleganza e funzionalità, oltre che per simpatia e contenuti, essendo inesorabilmente presidiato dalle infaticabili coordinatrici di ordine e fondazione, coadiuvate dall’agile ufficio stampa, ed in cui si sono alternati numerosi consiglieri, la cui presenza è culminata nella giornata di martedi 1 luglio in occasione della premiazione e presentazione del libro dedicato al concorso intitolato alla memoria di Ugo Rivolta.
Giornate insomma in cui il confronto tra noi e con le altre realtà ha prodotto spunti per nuove attività e collaborazioni.

Ma procediamo con ordine.
Quella che segue è la cronaca della giornata tipo del volenteroso redattore al congresso, quindi parziale sia nelle opinioni che nella selezione delle sessioni cui ha partecipato.
Di questa inevitabile parzialità ci scusiamo in anticipo con i nostri lettori.




Lunedì 30 Giugno
La prima giornata di lavori, dedicata alla linea della ‘Cultura’, in mattinata vedeva l’avvio dei lavori di Congresso, presenti le varie autorità del caso, tra le quali spiccava il ministro Bondi, di cui altrove si riportano cronache e contenuti.

Dopo essermi occupato del nostro padiglione, nelle mani delle sue aitanti coordinatrici, sono riuscito a seguire la sessione presieduta da Carlo Olmo intitolata a ‘le culture dell’architettura’. Che seguiva una dedicata a alla città industriale di cui ho assistito, in coda, alla presentazione di Jean Pierre Buffi (Gianpiero per gli amici, essendo italiano di nascita e formazione, ma sono dettagli) di una quantità straordinaria di lavori di dimensioni appunto ‘industriali’: Biblioteca di Tolosa, il mercato di Lione, uffici Siemens, il concorso –perso- di Milano-fiera.

La sessione presieduta dal prof. Carlo Olmo, già direttore del Giornale dell’Architettura, vedeva tra gli altri la presenza di critici del calibro di Croiset, Rykwert, Sambriscio e Liernur. Già sulla carta si annunciava quindi, a dispetto della prima, di levatura teorica-critica piuttosto che militante.

Joseph Rykwert è l’uomo forte di questa sessione.
Decano della Penn University, dove per anni si è confrontato con personaggi del calibro del grande Ivan Illich. Già curatore della Mostra sull’Alberti a Palazzo Te del 2000, da poco è uscita la versione italiana de ‘la seduzione dei luoghi’ in cui fa la storia delle grandi città del mondo. Il suo intervento prende spunto dalla figura dell’architetto nella tradizione europea, arrivando alla Francia fine ‘800, descritto come uomo colto, in una società dove chi era colto sapeva di Architettura. Ovvero, al pari dell’arte, l’architettura è materia di raffinata conversazione.
All’opposto invece nella cultura anglosassone l’architetto è considerato un tecnico, a mezza via tra un affarista e uno scienziato, dove la coscienza è il denaro, e la cultura è flebile di fronte alla fabbrica, all’incedere inesorabile e massiccio della città fisica inglese e americana, dove essere colti è al margine del reale.
Dove l’incosciente che governa la città –i servizi nel sottosuolo- non appare rispetto al cosciente che è il denaro, nella figura della costruzione in verticale in proporzione diretta al crescere del capitale.

Eric Mumford ricorda il ruolo centrale di Tafuri nella storiografia contemporanea, intesa come scienza.

Carlos Sambricio, della Escuela Tecnica Superior de Arquitectura di Madrid, attraverso la figura di Krakauer, allievo di Benjamin, che nel 1926 scrivendo ‘sugli impiegati’ indaga e inquadra un nuovo fenomeno sociale, con propri modi e forme di espressione nuovi, in cui la ripetizione diventa forma di qualità prevalente. Anticipa insomma ciò che poi col Bauhaus diventerà ideologia rispetto al più faticoso processo individuale della storia.

Jorge Francisco Liernur, Direttore del Centro de Estudios de Arquitectura Contemporanea de la Universitad Torquato Di Tella, di Buenos Aires, descrivendo l’architettura moderna come un ossimoro, in cui la forma fisica immanente si oppone al transitorio del contemporaneo –forse un po’ riduttiva come definizione di moderno.
Ricorda con efficacia quanto le idee siano processi che si radicano su basi materiali: libri, ricerca, studi, stabilità politica, e quanto quindi la storia sia diversa tra nord e sud.

Pier Alain Croiset parla del livore degli ultimi 30 anni di storia, tra scuola di Venezia e produzione collettiva di sapere. La sua esperienza come redattore della Casabella di Gregotti, il cui editoriale di esordio nell’82 ci ricorda essere titolato proprio ‘l’ossessione della storia’, è posta a confronto con quanto invece oggi la figura del critico sia subordinata al giornalista –le archistar non cercano la firma del critico ma del giornalista o dello scrittore affermato. Ciò riduce la conoscenza del presente, per cui sappiamo tutto di Villa Savoye e nulla del fatto che Koolhas abbia grande consenso negli apparati cinesi. Il progetto urbano e la crisi della città vede il passaggio del testimone dall’urbanista al paesaggista, finendo con l’ignorare la richiesta sociale.

In questo senso Dian Girardo ci parla del disastro Ghery all’Università di Los Angeles, in cui la performatività dell’edificio è subordinata alla figura, al punto da rendersi inutilizzabile.

A riguardo Rykwert ricorda quanto la storia sia piena di fallimenti, uno per tutti, in onore dei padroni di casa, l’Antonelli a Torino e la Mole, appunto Antonelliana, primo edificio che prende il nome dell’architetto –archistar ante litteram...

Olmo infine -e giustamente- riflette sull’intreccio tra storia e storiografia, di quanto la storiografia sia in crisi –non si restituisce più il senso delle opere- e la storia si sia 'proletarizzata'.
Ci ricorda quanto già Gramsci diceva nel ’36, ovvero che la Società industriale è fatta da persone che dipendono, e che l’intellettuale è necessario se sa interpretare il sociale in cui vive, altrimenti per la produzione ci sono cicli di migliore resa che, traslando il fatto nel magico mondo dell’architettura, si identifica facilmente con le società di ingengneria…
bella lezione.

Rientro verso il nostro padiglione e mi imbatto in quello dei romani, dove è in corso una videoconferenza con Parigi. Mi intrattengo con Stefano Panunzi, direttore del sito, che mi affabula con i nuovi orizzonti del network, futuro di internet sempre più attuale riguardo l’interazione tra utenti. A riguardo è in corso un progetto pilota in collegamento proprio con i colleghi parigini.

Arrivo così al nostro stand che oramai è chiuso, e con esso la mia borsa. Me ne vado in albergo e poi a cena con i consiglieri e coordinatori presenti… urca, come si mangia bene a Torino!
Resistiamo solo in tre al dopocena che prevede tra i numerosi eventi fuori Congresso una intervista fiume al noto intervistatore Hans Ulrich Obrist, in un bellissimo bar lungo i murazzi del Po, alle spalle della centrale piazza Vittorio. A dire il vero anche noi non resistiamo a lungo: dopo 10 minuti di approfondimento del suo cimento col metodo di vita ‘Da Vinci’, ovvero 3 ore di studio e 15 minuti di sonno, nell’arco di tutta la giornata per tutte le giornate, con l'inconveniente di sconvolgere la vita delle persone al suo intorno, capiamo che invece per noi forse è ora di andare a dormire.

Da Torino, senza camicia pulita, il vostro inviato Francesco de Agostini

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