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Architetture d'acqua: le piscine milanesi nel Novecento

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A cura di Paolo Brambilla

Il presente itinerario ha lo scopo di diffondere e riconoscere la capacità di alcuni architetti capaci di firmare decine di opere pubbliche – prevalentemente scuole e piscine, ma non solo – mantenendo sempre alto il livello di qualità e contribuendo in modo sostanziale alla costruzione della Milano moderna. Nei primi anni Venti del XX secolo le poche strutture sportive esistenti nella città di Milano erano prevalentemente private. Divenuta operativa la conquista sociale della riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore nel 1923, si iniziò a manifestare l’esigenza di organizzare il tempo libero a disposizione dei lavoratori: le attività sportive, fino ad allora riservate ad una fascia molto ristretta della popolazione, iniziarono ad essere praticate anche dagli impiegati e dagli operai. È così che sul finire degli anni Venti si moltiplicarono i progetti pilota di stadi, palestre e piscine, si realizzarono grandi arene da un lato e una rete di piccoli impianti diffusi sul territorio dall’altro.

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Nei primi anni Venti del XX secolo le poche strutture sportive esistenti nella città di Milano erano prevalentemente private: la più nota è il Tennis Club Milano, progettato da Giovanni Muzio su incarico del Conte Alberto Bonacossa.

 

Divenuta operativa la conquista sociale della riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore nel 1923, si iniziò a manifestare l’esigenza di organizzare il tempo libero a disposizione dei lavoratori: le attività sportive, fino ad allora riservate ad una fascia molto ristretta della popolazione, iniziarono ad essere praticate anche dagli impiegati e dagli operai. All’inizio si trattava di discipline povere che richiedevano un’attrezzatura minima: il gioco del calcio sopra tutti, ma anche le bocce o, al massimo, il ciclismo.

 

La necessità di grandi attrezzature s’impose soltanto con la nascita del cosiddetto sport spettacolo e con la regolare organizzazione di manifestazioni agonistiche da parte delle varie associazioni di base, riunite nel CONI già nel 1914. Lo sport di massa da un lato e lo sport come evento spettacolare dall’altro erano entrambi sostenuti dalle grandi industrie del Nord, organizzate con circoli e impianti sportivi collocati nei pressi dei luoghi di lavoro.

 

Questa concezione paternalista, naturalmente, intendeva il tempo libero dei lavoratori come spazio di evasione ma preferiva incentivare l’attività fisica anziché l’istruzione, vista come potenzialmente eversiva, o gli spettacoli d’intrattenimento, considerati poco consoni ad un comportamento moralmente integro.

 

Se le organizzazioni di sinistra non compresero come lo sport potesse essere uno strumento educativo per l’emancipazione dei lavoratori, il nascente regime fascista, al contrario, assunse l’attività sportiva come veicolo per incanalare le energie di una popolazione sottoposta a forti pressioni sociali ed esposta ad un clima di grande conflittualità. Al tempo stesso la diffusione delle discipline sportive dal punto di vista del partito consentiva di diffondere capillarmente l’attitudine ad un inquadramento di tipo paramilitare.  Il CONI stesso nel 1928 divenne un organo alle dirette dipendenze di Augusto Turati, segretario del partito fascista, e i risultati degli atleti italiani nel mondo diventarono uno strumento per la propaganda che intendeva diffondere l’immagine di un Paese moderno ed efficiente.

 

È così che sul finire degli anni Venti si moltiplicano i progetti-pilota di stadi, palestre e piscine, si realizzano grandi arene da un lato e una rete di piccoli impianti diffusi sul territorio dall’altro. Per accelerare ulteriormente questa vasta operazione di costruzione di infrastrutture sportive vennero fondate l’ONB (Organizzazione Nazionale Ballilla) e l’OND (Organizzazione Nazionale Dopolavoro) che erano dotate di attrezzature di ogni tipo, palestre e piscine all’interno delle rispettive sedi. Tale dispiegamento di energie si accompagna all’adozione di tipi architettonici aggiornati secondo le più recenti tendenze europee e all’uso di tecnologie decisamente d’avanguardia, considerata l’arretratezza del settore edilizio italiano.

Il risultato più noto è certamente lo stadio di Firenze di Pier Luigi Nervi, con le ardite scale elicoidali proiettate a sbalzo verso l’esterno, ma in generale tutte le maggiori città italiane vennero dotate di un moderno stadio per gli sport all’aperto. Per quanto riguarda la città di Milano – dove cresceva in maniera esponenziale il numero degli addetti nel terziario e quindi la fame di attrezzature – sorsero lo stadio di San Siro, il Trotter e il velodromo Vigorelli.

 

Soltanto nel 1929 l’Ufficio Tecnico del Comune adottò un piano organico di diffusione degli sport acquatici che avrebbe dovuto concretizzarsi nella realizzazione di una decina d’impianti. Non tutti quelli previsti vennero effettivamente costruiti, ma quelli portati a compimento costituiscono ancora oggi una parte importante delle piscine pubbliche gestite dal Comune di Milano. In particolare la Piscina Romano in via Ponzio (attualmente accessibile da via Ampére) con i suoi 4000 metri quadri di vasca e la Piscina Cozzi in viale Tunisia erano rispettivamente, all’epoca dell’inaugurazione, la più rende vasca d’Europa e la più grande piscina coperta d’Europa insieme a quella realizzata a Berlino.

 

L’esperimento del Lido, anzi del Luna Park Lido, realizzato su iniziativa di una società privata miseramente fallita dopo pochi anni dall’inaugurazione del complesso, era più che altro quello che oggi chiameremmo un parco tematico, una ricostruzione artificiosa di un ambiente di sapore vacanziero e lagunare. Quando il comune ne assunse la gestione a metà anni Trenta lo convertì progressivamente in un complesso articolato, anticipando uno schema di campo sportivo in cui sono integrate diverse strutture dedicate all’attività fisica ma anche al tempo libero: un tipo che  si diffonderà soltanto alcuni decenni più tardi.

 

Nel periodo della ricostruzione, dopo la seconda guerra mondiale, le grandi masse di lavoratori provenienti in particolare dal Sud del Paese impongono la costruzione di nuovi quartieri d’espansione e la relativa realizzazione di servizi di quartiere, tra cui alcune piscine.

 

Lo spirito di questi progetti, tuttavia, è assai cambiato, è maggiormente finalizzato al benessere e alla salute dei cittadini che non all’attività agonistica in sé: le piscine hanno angoli arrotondati e grandi vetrate, vasche per i bambini e grandi solarium: la piscina Scarioni prevede addirittura un bacino dedicato ai tuffatori e ai sommozzatori.

 

Il capolavoro di questo periodo è probabilmente il piccolo ma raffinato padiglione della piscina Solari, all’interno del parco omonimo, una costruzione che unisce il virtuosismo strutturale alla piacevolezza dello spazio interno aperto verso il verde circostante.

Nel corso degli anni Settanta ed Ottanta, in concomitanza con il fenomeno dell’urbanizzazione diffusa dell’hinterland, si assiste alla realizzazione di strutture distribuite sul territorio – e quindi fuori dai confini comunali – secondo uno schema che prevede una vasca da 25 metri, una vasca principianti e, talvolta, anche una vasca ricreativa. Appartengono a questo periodo gli impianti progettati da Pino Zoppini in alcune città minori della Lombardia tra cui le piscine coperte comunali di Seregno (1975) Lecco (1978) Crema (1979) Voghera (1986) e il Centro Natatorio Snam a San Donato Milanese (1988).

 

Molti degli edifici destinati al nuoto realizzati durante il Ventennio quanto quelli costruiti negli anni successivi sono particolarmente raffinati dal punto di vista tecnologico ed assolutamente pregevoli dal punto di vista architettonico, per quanto siano stati disegnati da progettisti relativamente poco conosciuti, che spesso hanno lavorato all’interno di enti pubblici, ma che meriterebbero un spazio assai maggiore rispetto ai pochi studi e alle scarsissime pubblicazioni che gli sono stati dedicati.

 

Le figure di maggior spicco sono Luigi Lorenzo Secchi, direttore dell’ufficio tecnico comunale durante il Ventennio fascista, e Arrigo Arrighetti, impegnato nello stesso ruolo durante gli anni Sessanta.

 

Il presente itinerario ha lo scopo di diffondere e riconoscere la capacità di questi architetti che sono stati capaci di firmare decine di opere pubbliche – prevalentemente scuole e piscine, ma non solo – mantenendo sempre alto il livello di qualità e contribuendo in modo sostanziale alla costruzione della Milano moderna.

 

PAOLO BRAMBILLA

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SULLE PISCINE:

 

E. Del Debbio

Piscine

F.lli Palombi, Roma 1933

 

R. Campanini, B. Del Marco

Architettura e tecnica degli impianti sportivi. Sport spettacolari. Sport medi. Sport particolari

Antonio Vallardi Editore, Milano 1950

 

O. Selvafolta (a cura di)

Costruire in Lombardia 1880-1990. Impianti sportivi, parchi e giardini

Electa, Milano 1990

 

S. Rochè-Souliè, S. Roulet (ed. it. a cura di M. Albini)

Piscine

Tecniche Nuove, Milano 1992

 

E. Bartolucci

Progettare la piscina: pianificazione, tipologia, tecnologie, normativa

Alinea, Firenze 1999

 

V. Dell'Aquila

Manuale delle piscine: progettazione costruzione manutenzione e gestione

Maggioli, Rimini, 1986

 

D. Benvenuti, V. Del Giacco, F. Zurlo

Le piscine: tipologie, progettazione, manutenzione per impianti pubblici e privati

Maggioli, Rimini, 2000

 

M. Genghini, P. Solomita (a cura di)

Piscine

Motta architettura, Milano, 2006

 

S. San Pietro, P. Gallo

Pools

L'archivolto, Milano, 2003