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Produrre_muoversi_abitare, struttura e forma nell’architettura milanese

tecniche

A cura di Giulio Barazzetta Martina Landsberger

Si abita la città, la città si percorre e nella città si lavora. Spesso senza rendersi conto della forma di luoghi e delle architetture che sono consuetudine quotidiana. Eppure proprio l’ordinario quotidiano se osservato con attenzione e secondo un punto di vista particolare si rivela straordinario. L’itinerario illustra quattro opere per ognuno dei temi individuati: abitare, muoversi e produrre, ponendo l’attenzione sul rapporto costruzione/forma nella relazione che lega l’idea alla realizzazione, osservando in particolar modo il rapporto fra forma costruita e struttura portante piuttosto che tecnica e procedimento della costruzione fissati nell’architettura. Gli esempi scelti, realizzati dalla ricostruzione ai giorni nostri, sono emblematici di questo nesso e lo palesano in un progetto coerente in cui l’idea architettonica è esaltata dalla scelta costruttiva, e in cui la figura dell’architetto e quella dell’ingegnere si confondono nella costruzione, tanto da rendere difficile l’individuazione del contributo dell’uno e dell’altro.

(Materiale protetto da copyright, vietata la riproduzione)

Produrre, muoversi e abitare sono tre paradigmi che, meglio di altri, sintetizzano la città contemporanea come forma di vita associata, costituendo nessi essenziali alla forma sociale della metropoli del nostro tempo cristallizzata nelle forme della costruzione che le sono proprie. L’itinerario illustra quattro opere per ognuno dei temi individuati ponendo l’attenzione sul rapporto costruzione/forma nella relazione che lega l’idea alla realizzazione, osservando in particolar modo il rapporto fra forma edificata e struttura portante piuttosto che tecnica e procedimento fissati nell’architettura costruita.

Gli esempi scelti, realizzati dalla ricostruzione ai giorni nostri, sono emblematici di questa relazione e la palesano in architetture in cui l’idea è esaltata dalla scelta costruttiva, e in cui la figura dell’architetto e quella dell’ingegnere si confondono nella costruzione, tanto da rendere difficile l’individuazione del contributo dell’uno e dell’altro. In tutti gli esempi la struttura e la tecnica costruttiva sono la radice stessa della forma dell’edificio che si presta agli usi più diversi mostrando la possibilità di essere esso stesso un’infrastruttura. Il repertorio delle tecniche edilizie della nuova costruzione si dispiega dalla metà degli anni Cinquanta principalmente nella costruzione d’impianti industriali, nelle grandi coperture per gli spazi collettivi e nelle infrastrutture della mobilità. Settori in cui ha grande importanza la programmazione della produzione e l’economia di scala che il controllo dei processi produttivi garantisce, in cui la previsione tipica della progettazione avanzata, della prefabbricazione e della produzione dei componenti riescono ad affermarsi come tecniche proprie all’industrializzazione edilizia. Si tratta di un periodo esemplare della costruzione italiana, in cui costruttori, ingegneri e architetti hanno prodotto insieme i migliori edifici della costruzione industriale. 

Produrre

Gli spazi della produzione industriale della società di massa hanno caratterizzato la scena della periferia urbana degli anni Sessanta e Settanta nella ripetizione di edifici che sono contenitori monoplanari in cui il rivestimento esterno racchiude un tema squisitamente architettonico sostanziato dalla necessità di isolare gli elementi costruttivi per poterli tipizzare e produrre industrialmente. La chiesa di Baranzate – Angelo Mangiarotti, Bruno Morassutti, Aldo Favini (1958) nel programma per le nuove chiese della periferia della metropoli milanese – è esemplare delle tecniche consentite dal cemento armato precompresso, per la realizzazione con cura artigianale di un modello di esecuzione interamente predisposto nella progettazione in cui il montaggio dei conci prefabbricati della copertura, precompressi in opera, procede con il rivestimento di ferro e vetro dell’aula liturgica e prelude alla produzione dello spazio modulare dell’impianto industriale, anche con le tecniche di montaggio a secco della prefabbricazione industriale. Questo rigoroso indirizzo verso l’essenzialità elementare del gioco costruttivo e la ripetizione modulata della costruzione si è arricchita a fronte della necessità di integrare gli impianti nel fornire gli elementi base della costruzione alle diverse opportunità della produzione. Il processo di affinamento delle tecniche di produzione, trasporto e montaggio, svoltosi nel mondo dei progettisti e produttori della precompressione porta a isolare gli elementi della campata (copertura, pilastro, trave e rivestimento) ed è rintracciabile dalla ricerca della campata ripetuta su pilastri sempre più distanziati nei sistemi prefabbricati, come il magazzino Max Market a Trezzano sul Naviglio, per concludersi in edifici come gli stabilimenti costruiti con il raffinato disegno dei sistemi prefabbricati disegnati da Mangiarotti. Infine la necessità di spazio libero indifferenziato per lo stoccaggio segna una certa divaricazione fra gli edifici di produzione e quelli destinati a magazzino e ai grandi spazi per la logistica come le tipiche grandi aule voltate degli ex-magazzini Gondrand a Segrate o come il grande deposito e officina MM2 a Famagosta di Magistretti, un capannone senza dettagli espandibile all’infinito contestualizzato dai suoi caratteri architettonici.

Muoversi

In grandi edifici, come quelli della logistica, sono state reinterpretate le forme delle capriate e delle volte tipici della definizione della ‘grande sala’ come tema architettonico costruttivo dello spazio moderno, che ha trovato luogo negli impianti sportivi al coperto o nel nostro caso nelle grandi coperture delle stazioni. Le infrastrutture ferroviarie metropolitane mostrano le possibilità dello scarno uso dei soli elementi strutturali industriali nelle reti dei trasporti quotidiani. Nella Stazione Garibaldi la disposizione della grande copertura a sbalzo estende simmetricamente lo spazio dei viaggiatori e pendolari a comprendere l’atrio di accesso con la distribuzione delle banchine. Lo stesso tema viene ridotto al minimo dell’elemento ben disegnato e ripetibile della pensilina, ritrovabile sulle fermate di tutta la linea, che garantisce lo spazio temporaneo ed essenziale agli utenti ma, integrato con gli edifici di servizio, è in grado di estendersi allo spazio degli atri come nelle stazioni Certosa e Rogoredo. Il disegno delle infrastrutture della mobilità urbana ha significato nel nostro paese l’identificazione del movimento individuale con la società di massa e l’idea della città come intreccio di flussi, di percorsi e di velocità differenti. Nella loro esemplarità il cavalcavia Scarampo, il viadotto Monteceneri, e il Viadotto dei Parchi della Tangenziale Est, fissano nel mondo contemporaneo gli archetipi della forma tecnica dei moderni manufatti autostradali che attraversano il paesaggio, dando rappresentazione del lavoro di Silvano Zorzi e della tradizione della grande ingegneria italiana.
 

Abitare
 

Nell’apparente banalità della ‘casa’ ci si trova a constatare che gli edifici che esemplifichiamo sono stati progettati come infrastrutture per l’abitazione contemporanea. Telai, campate e piastre vengono sperimentati in queste architetture per la loro possibilità dell’abitare molteplice in cui l’identificazione individuale di un ruolo sociale si realizza nell’alloggio in proprietà. In queste case si dimostrano il gioco della struttura, del rivestimento e della distribuzione degli alloggi tipica della concezione moderna e contemporanea delle abitazioni: con il traliccio di carpenteria metallica della casa in via Coari, il telaio in cemento armato della stecca in via Dessiè, le piastre a sbalzo in via Gavirate per disposizioni dei corpi di edilizia aperta; piuttosto che le campate di solaio su appoggi essenziali come in via Cimarosa, in un lotto della città compatta. In tutti questi edifici d’abitazione il tema della pianta dell’alloggio viene predisposto nelle soluzioni rappresentate. Ma questa è solo una possibilità, che a ogni piano o a ogni appartamento si presta ad altre possibili suddivisioni piuttosto che a modifiche interne limitate solo dalla struttura, dalla distribuzione generale e dalla forma dell’involucro dell’edificio. Nel caso di via Gavirate lo stesso rivestimento di facciata è suscettibile di diversi montaggi dei suoi pochi elementi, senza mutare la sua configurazione essenziale.

 

Giulio Barazzetta
Martina Landsberger