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Dall'idea della città alla città costruita: l'area di Garibaldi-Repubblica

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A cura di Patrizio Antonio Cimino

Sono la complessità della sua storia e la particolarità del suo sviluppo che rendono l’area Garibaldi Repubblica un luogo unico, simbolo e sintesi della storia di Milano, protagonista fra le altre di quel quadro di frenetico sviluppo che interessa la città a partire dalla prima metà dell’‘800. Quello che si cerca di restituire pertanto è un quadro, seppure sintetico, del processo di trasformazione di questa porzione così significativa di città, non solo attraverso la descrizione di quelli che sono i nuovi interventi nell’area, emblemi della nuova immagine globalizzata della città, ma anche quali sono stati i passaggi che hanno portato a concretizzare tale idea, a partire dalla stretta correlazione con le infrastrutture che l’ha contraddistinta, passando per le previsioni dei piani regolatori e approfondendo il legame con le architetture che hanno caratterizzato “l’idea di città” e che disegnano oggi la “città costruita”.

(Materiale protetto da copyright, vietata la riproduzione)

Leggere storicamente la zona “Garibaldi-Repubblica”, significa ripercorrere la storia di Milano e quella dell’idea di città, nell’arco di due secoli. Proprio in questo luogo è evidente il fondamentale rapporto tra nuove localizzazioni urbane e infrastrutturazioni di trasporto, localizzazioni dapprima produttive, lungo tutto l’Ottocento e fino alla metà del Novecento, e poi informazionali di servizio, dalla seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri. Tale rapporto ha generato, nell’arco di due secoli, la forte contrapposizione tra la città costruita e l’idea di città. Ricostruire e rileggere tale contrapposizione, che a volte si fonda e a volte si nega, è importante per comprendere il nuovo disegno urbano che oggi va completandosi; solo attraverso questa lettura critica si possono intendere gli attuali interventi che concludono un percorso urbanistico durato due secoli.

Mantenendo il focus sull’idea di città dell’Ottocento, sulla città costruita del Novecento, sulla forte vocazione policentrica della Lombardia – e la continua negazione di essa attraverso la forzatura della costruzione della città metropoli – sul dibattito dell’idea di città attraverso il disegno dei diversi piani regolatori, sull’idea innovativa del dopoguerra, sulla rottura di una centralità urbana a favore di una visione di città come sistema principale delle stratificate relazioni regionali, sul passaggio da una visione di città produttiva a una città di servizio fino alla visione ultima di una città del consumo intesa come unica città globale, troviamo la chiave di lettura imprescindibile per comprendere l’evoluzione di questa parte di città dove, nell’arco di due secoli, tutto si concentra, tutto si struttura prospetticamente sull’immagine della città che sarà. Questa parte della città di Milano si forma e acquista visibilità con l’avvento della rete ferroviaria. La nascente industrializzazione del territorio lombardo, verso la prima metà dell’Ottocento, accelera il processo di inurbamento del territorio, fenomeno correlato alla forte crescita della popolazione che avviene in questi anni. Milano, che nella prima metà dell’Ottocento conta circa 150.000 persone, nel 1861 assiste ad un amento del 60% passando a 243.000 abitanti e, a distanza di soli 20 anni, nel 1881, conta circa 350.000 abitanti. Lo sviluppo urbano, come nuovo approccio economico capitalistico della fine dell’Ottocento, si struttura su un’idea di città fondata sulla produzione e le relazioni a grande scala cambiano i tempi della città. Milano, sino alla prima metà dell’Ottocento, vede il suo sviluppo solo all’interno della città spagnola; le uniche eccezioni di sviluppo esterno erano localizzate lungo le direttrici storiche dove si assisteva, appena fuori dalle mura, alla presenza di un tessuto urbano consolidato (il Borgo degli Ortolani lungo la strada varesina che costeggiava il limite nord-est della vecchia piazza d’armi e il borgo di San Gottardo che si sviluppava lungo il corso omonimo grazie alla presenza dei navigli), mentre la restante parte del territorio fuori dalle mura era totalmente agricola. “L’inurbamento massiccio del territorio Lombardo innesca un processo sempre più frenetico di espansione e di nuove necessità alla quale la città non è preparata”(1).

La storia e la costruzione dell’area Garibaldi-Repubblica si inserisce all’interno di questo quadro frenetico di sviluppo. La conformazione urbana di questa parte della città di Milano si genera intorno alla costruzione delle infrastrutture ferroviarie. Siamo verso la metà dell’Ottocento quando questa porzione di territorio vive la sua prima urbanizzazione. Nel 1840 viene inaugurata la linea ferroviaria Milano-Monza (seconda ferrovia italiana dopo la Napoli-Portici), ma già nel 1838 inizia la realizzazione del progetto della linea Milano-Venezia, contemporaneo al progetto della Milano-Como che costituirà il secondo tratto ferroviario Lombardo. “Con la costruzione di queste prime linee si darà impulso decisivo al rapporto biunivoco tra infrastrutture e strutture produttive. Infatti la Milano Monza e la Milano-Como andranno a costituire l’ossatura portante di un sistema di produzione che avrà nel capoluogo milanese il proprio fulcro e nella direttrice verso il mare adriatico, tramite la Milano- Venezia, il proprio sbocco naturale”(2). Con la costruzione della prima linea ferroviaria Milano-Monza viene inaugurata la prima stazione di testa situata fuori Porta Nuova, ancora oggi visibile all’inizio di via Melchiorre Gioia. Nel 1857, in corrispondenza dell’attuale piazza della Repubblica, si dà avvio alla grande costruzione della nuova stazione centrale passante di Milano, infrastruttura funzionale a raccogliere le linee di diversa provenienza. Tale scelta localizzativa, oltre a determinare una sorta di “chiusura” della città, imprimendone uno sviluppo poco organico, provoca continue frammentazioni urbane, ancora oggi ben riconoscibili, e interrompe il reticolo di strade storiche che costituivano l’ossatura di questa parte di territorio. “Solo il corso di Loreto – oggi corso Buenos Aires – fu scavalcato dalla ferrovia in guisa opportuna; ma l’antica strada Postale per Sesto e per Monza, fuori porta Nuova, fu soffocata da un manufatto di luce insufficiente, che dura tuttora, e la strada di Como venne troncata alla scalo Garibaldi e deviata sulla via Farini che in origine si chiamava per l’appunto la “Comasina Nuova” e tutte le altre arterie regionali vennero intersecate da passaggi a livello. Ma un danno ben maggiore, incancellabile, venne dall’economia fondiaria, in quanto la ferrovia dette origine ad una fascia di bruttezza e di disordine lungo il margine urbano, umiliando tutto quanto stava al di là”(3).

Il primo tentativo di regolarizzare ed indirizzare il disegno di questa parte di città avviene con la stesura del Piano Regolatore di Milano di Cesare Beruto del 1889. Il disegno Berutiano tenta di organizzare, attraverso grandi isolati urbani ricompresi tra la citta dei bastioni e il limite più esterno – immaginato da Beruto in un grande asse stradale (attuale circonvallazione esterna) – il disegno della nascente città, che cosi immaginato, si sovrappone e insiste su un sistema di infrastrutture che ne recide la continuità degli ideali assi stradali. Il disegno stesso della connessione della linea ferroviaria di Monza con le linee ferroviarie afferenti alla nuova stazione centrale in Piazza della Repubblica, definisce inequivocabilmente la contraddizione dei due disegni: la città costruita e la città immaginata. La formazione delle due lunette (raccordo ferroviario delle linee provenienti da Venezia con quelle in direzione Monza-Como e il secondo raccordo proveniente dalle linee direzione Torino sempre con quelle in direzione Monza-Como) così costruite ne determineranno, in modo inconfondibile, il disegno futuro. Con il Piano Regolatore di Angelo Pavia e Giovanni Masera del 1911 si attiva il processo di ridisegno complessivo delle infrastrutture in ambito cittadino, ma è solo con l’arretramento della stazione centrale da piazza della Repubblica all’attuale sede in piazzale Duca d’Aosta che ha inizio un processo di rivisitazione urbanistica di questa parte di città. “Nel 1906 e il 1908 il movimento immigratorio verso la città di Milano tocca le sue punte più alte. La superficie fabbricata in attuazione del piano Beruto era di 6,6 milioni di metri quadrati, che raggiungono i 9,7 nel 1901 e i 14 nel 1911”(4).

Già sul finire dell’Ottocento al forte dibattito culturale, innescato dai diversi congressi avuti proprio in concomitanza con l’Esposizione Universale del 1881, si somma la questione operaia. Il fermento socioculturale che ne scaturisce crea una vera e propria questione sociale. E’ del 1886 la costruzione delle nuove cucine economiche presso il vecchio Ponte delle Gabelle sul Naviglio della Martesana, progettate dall’architetto Luigi Broggi, nate per sopperire ad un arretrato bisogno primario del sottoproletariato e della classe operaia (5). In questi anni, proprio in ragione delle nuove esigenze sociali dettate dalla forte immigrazione verso la città, assistiamo ai primi esempi di filantropia sociale: le cooperative sociali, le società di mutuo soccorso e le cooperative di consumo per la formazione di spacci alimentari. Tali associazioni creano i presupposti per la realizzazione delle costruzioni edilizie destinate ai loro associati: non a caso è del 1908 la fondazione dell’Istituto Case Popolari. In questo quadro di forte sviluppo edilizio pubblico e privato, con una crescente domanda abitativa, si colloca il nuovo piano regolatore Pavia Masera del 1911. Oltre a rispondere ad una domanda sempre crescente di nuove abitazioni, il piano si caratterizza come il piano di riassetto delle infrastrutture di trasporto, definito da molti studiosi come “la carta infrastrutturale della città”, dove sono presenti l’arretramento della stazione centrale, l’introduzione del nuovo scalo ferroviario Farini, l’eliminazione dello scalo del Sempione e altri interventi che contraddistingueranno definitivamente il sistema del nodo ferroviario di Milano. E’ rappresentativo – a ragione della tesi di una rincorsa frenetica della costruzione della città quale emblema del capitalismo emergente, sempre più legato al rapporto diretto tra sistema produttivo e infrastrutturale – l’esempio della costruzione della nuova stazione centrale in piazza Duca d’Aosta, ma anche lo sfacelo del Lazzaretto, diviso prima dalla ferrovia e poi distrutto totalmente con la costruzione degli edifici residenziali ancora oggi presenti. L’errore emblematico di via Vittor Pisani e della giacitura della nuova stazione centrale fuori asse rispetto al viale, descritto in maniera inequivocabile dal de Finetti in “Milano, costruzione di una città”, ci dà il senso del procedere senza una attenzione al disegno della città. “[…] Esso dimostra inoltre che in Milano l’elaborazione del piano urbano avvenne sistematicamente per frammenti e che la civiltà che commise quegli errori mancava dell’attitudine galileiana di condurre i singoli problemi alla sintesi unitaria: riprova dell’irrazionalità moderna, errore che condanna inappellabilmente tutta la disciplina scolastica di un secolo”(6).

Anche se questa forte, frenetica e a volte senza regole, concentrazione edilizia e produttiva trova il suo sviluppo maggiore nella città e nel suo immediato intorno, Milano non si caratterizzerà mai come esempio tipico di metropoli industriale per eccellenza, tipo Londra o Parigi, strutturate nel deserto urbano. La rete urbana regionale (Ferrovie Nord) costruita tra l’Ottocento e il Novecento in Lombardia garantisce un uso di città policentrica. “La crescita di Milano e dei comuni del suo immediato intorno è equivalente alla crescita complessiva di tutta la regione e il massimo incremento (che evidenzia una più intensa industrializzazione) si verifica nel decennio 1901/1911: circa 260.000 abitanti per la città e il suo intorno, mentre la Lombardia passa complessivamente da 4,3 a 4,9 milioni di abitanti […]. La rete urbana policentrica era già millenaria e l’industrializzazione della regione individuerà quella “città Lombardia”, la “città policentrica regionale” che nessun desiderio o azione volta a trasformarla in metropoli industriale con epicentro Milano riuscirà mai a modificare. Bastino a dimostrare i fatti, i dati registrati nel censimento del 1911: mentre Milano sono allocate 8.238 imprese con (153.165 addetti) nei rimanenti principali comuni (23) che ospitano attività industriali sono allocate 8.574 imprese con 172.000 addetti”(7). Sono gli anni in cui si dibatte sul destino di una città, notevoli sono i progetti di reti metropolitane urbane e possibili connessioni ferroviarie che si sviluppano in questo periodo. È del 1903 il progetto di Candiani e Castiglioni, ingegneri, che definiscono una proposta di collegamento diretto sotterraneo tra le ipotizzate stazioni ferroviarie Mediterranea (direttrice per Venezia) e Adriatica (direttrice per Torino). Tale proposta si inserisce nel dibattito dell’epoca, ovvero se dotare Milano di un’unica stazione di testa, ma soprattutto irrompe in antitesi alla scelta del tipo di sviluppo urbano per la città. L’idea fondante della proposta era rompere lo sviluppo della città monocentrica, perseguita, invece, con la soluzione adottata dell’unica stazione di testa, basando lo sviluppo della città che si andava costruendo su due polarità infrastrutturali, che avrebbero innescato una trasformazione completamente diversa da quella che poi è avvenuta. Tale volontà urbanistica di rottura dello schema di sviluppo urbano la ritroveremo poi, anche se con ragionamenti e proposte infrastrutturali diverse, nel Piano AR (Architetti Riuniti) elaborato nel 1944-1945 da un gruppo di architetti razionalisti formato da Albini, Bottoni, Gardella, Mucchi, Peressutti, Pucci, Putelli, Rogers, Belgiojoso e Cerutti.

Riassumendo, il periodo che va dal 1888, anno di estensione del piano Beruto, sino al 1911, estensione del piano Pavia Masera, si conclude con quest’ultimo che sancisce la fine del dibattito sul futuro sviluppo urbano di Milano, definendo nelle sue linee programmatiche lo sviluppo in continuità con il disegno Berutiano e definendo l’assetto della rete infrastrutturale come risposta alla città monocentrica, in controtendenza rispetto a quella che era e resta la specificità policentrica di una regione. Tale discordanza si ritroverà qualche anno più tardi, nel 1927, con il nuovo concorso per il Piano Regolatore di Milano. Nel progetto vincitore, firmato dall’arch. Piero Portaluppi e dall’ing. Marco Semenza(8), si evince la tesi della costruzione di una rete infrastrutturale regionale atta a soddisfare l’esigenza di una forte città policentrica, insieme ad una rete di metropolitane urbane sull’esempio di altre realtà urbane europee. Di notevole importanza è la rappresentazione nei “limiti della zona d’influenza” dove viene raffigurata l’intera regione Lombardia comprendente tutte le località raggiungibili in un’ora dal centro di Milano, “modo originale di affrontare la specificità Lombarda nella cultura, diremmo oggi, della città policentrica regionale”(9). La crisi del 1929 porterà, però, in tutt’altra direzione, anche se poi, qualche anno più tardi, tutte le previsioni quantitative previste da Portaluppi e Semenza si concretizzeranno. In questo scenario e con l’apertura della nuova Stazione Centrale in piazza Duca d’Aosta e la demolizione della vecchia Stazione Centrale passante di piazza della Repubblica, le aree tra la stazione di Garibaldi e piazza della Repubblica resteranno per decenni prive di un concreto disegno urbano. La soluzione della stazione di testa innesca un insieme di interventi e ipotesi progettuali sull’area che la caratterizzerà e porterà alla definizione dell’attuale disegno: la formazione della via Vittor Pisani con le incongruenze descritte precedentemente; la formazione di piazza della Repubblica; il viale Fulvio Testi (già rappresentato nelle visioni dell’epoca, anche se ancora non attuato) che passa per la via Volturno e si attesta sui Bastioni; la proposta di allargamento di Melchiorre Gioia, con la copertura del naviglio della Martesana; il mantenimento delle due lunette simmetriche. Se da un lato si dà un concreto, ma discutibile, disegno urbano e una diffusa monumentalità alla parte più in diretta connessione con la nuova stazione ferroviaria, la restante parte dell’area evidenzia un insieme di elementi disarmonici, frutto ancora della sovrapposizione del disegno Berutiano al sistema delle infrastrutture presenti nell’ottocento e di nuova formazione all’inizio del secolo.

Tale contraddizione e frammentazione urbana viene rivisitata nel nuovo Piano Regolatore Albertini del 1934. Il Piano Albertini è la risposta in negativo al piano Portaluppi Semenza. La città è vista come una “grande metropoli”, la previsione della città di 2 milioni di abitanti si sviluppa fino al suo confine amministrativo senza interruzione alcuna. “La città mastodontica, fitta, omogenea era vista adunque così, senza direttrici fondamentali senza una norma chiara, senza alcune di quelle specializzazioni dei suoi elementi e di quei principi di sana organizzazione che l’urbanistica aveva oramai proclamato indispensabili e che lo stesso autore del piano andava ripetendo nei suoi scritti”(10). Il Piano, specificamente sulle aree Garibaldi-Repubblica, conferma l’arretramento delle ferrovie in Carlo Farini; il disegno complessivo dell’area si struttura sul nuovo disegno stradale che comporta il prolungamento del viale Tunisia sino alla connessione con la via Carlo Farini mentre il viale Fulvio Testi, attraverso la via Volturno, si attesta sul prolungamento del viale Tunisia fino al raggiungimento dei bastioni. Altro tracciato stradale introdotto dall’Albertini è quello che dalla piazza della stazione si prolunga sino alla Porta Volta e che, nei presupposti dell’Albertini, doveva costituire il naturale prolungamento della via Palmanova attraverso la via Andrea Doria. Tali tracciati generavano una sorta di seconda piazza della Repubblica all’altezza dell’incrocio con la strada Melchiorre Gioia, rappresentando la riproposizione, con qualche secolo di ritardo, del disegno Haussmaniano. A prescindere ora dal disegno della rete stradale di Albertini, che non troverà poi attuazione nello sviluppo futuro della città, l’attenzione che esso pone, pur con le sue contraddizioni urbanistiche, sull’arretramento del sistema ferroviario in corrispondenza dell’attuale stazione di Porta Garibaldi, diventerà la questione principale che alimenterà il dibattito su cui poi si incentrerà tutta la politica urbanistica nel dopoguerra, specificamente per questa parte di Milano, e porterà alla redazione del Piano del ’53 dove saranno poste le basi per la costruzione del nuovo centro direzionale.

In un certo senso è solo dopo la guerra che per la prima volta, con la definizione del Piano del 1953, cambia il rapporto storico tra rete infrastrutturale e sistema produttivo, per passare ad un rapporto strategico tra accessibilità e localizzazione dei nuovi servizi informazionali, direzionali e funzionali alla crescente domanda della città. Per la prima volta si definisce, o meglio si concretizza, la vera specificità dell’area in chiave regionale, delle accessibilità intese come possibile scambio di servizi e informazioni tra la città di Milano e il resto della Lombardia. Si rompe definitivamente la concezione delle reti di trasporto legate alla produzione: non è più la città dell’Ottocento dove le infrastrutture erano legate quasi naturalmente al tessuto di produzione; tutte le attività produttive sono già state riposizionate. Il sistema di trasporto privato e pubblico garantisce una maggiore libertà di movimento e quindi una maggiore autonomia localizzativa. Siamo ancora agli inizi degli anni ’50, ma si assiste già a quella che poi diventerà la vera rivoluzione in termini di trasporto: l’automobile è il mezzo della libertà di movimento per eccellenza e tutto si struttura e si definisce solo in funzione del mezzo privato, segno di una raggiunta libertà individuale, che genera una nuova visione dello spazio urbano e nuovi modi di uso del tempo, o dei tempi, della città. Il Piano del ‘53 nasce sulla spinta innovativa di una visione di crescita economica e urbana esponenziale, dettata dalla voglia di ricostruzione. Siamo nel primo periodo del dopoguerra, per la prima volta un piano viene redatto sulla scorta di una legge urbanistica nazionale, la n° 1150 approvata nel 1942, la quale definisce norme e disciplina funzionalmente (con il concetto di zonizzazione) l’intero territorio comunale. Non a caso le prime commissioni di studio sulle indicazioni normative della legge urbanistica vengono istituite a Milano proprio per la redazione del nuovo Piano Regolatore. “I criteri fondamentali che informano il nuovo Piano regolatore di Milano e ne determinano le caratteristiche più salienti vanno ricercati nell’inserimento del piano urbano in uno schema di Piano Regionale nel decentramento industriale nella creazione di un centro direzionale regionale nella zonizzazione dell’intero territorio comunale nella costruzione di grandi assi attrezzati di penetrazione della città […]. Il Centro in cui dovranno essere ubicate le sedi di quasi tutte le industrie e attività regionali, si trova all’incrocio degli assi attrezzati, funzionanti da collettori di tutte le arterie di penetrazione provenienti dalla Lombardia oltre che dal traffico cittadino, in modo da rompere il tradizionale sistema circolatorio, conservato da tutti i piani precedenti senza che mai vi fossero proposti di modificare sostanzialmente la struttura originariamente concentrica della città romana, della città medievale, delle mura e dei bastioni spagnoli”(11). Emblematico quanto espresso nella relazione di accompagnamento al PRG: la città viene vista come insieme degli spostamenti individuali attraverso un sistema di relazioni incentrate sullo sviluppo esclusivo della rete stradale e sull’uso del mezzo privato e le grandi funzioni urbane quindi si localizzano all’incrocio dei nuovi ipotizzati assi attrezzati. Con la risolta questione dell’arretramento delle ferrovie Varesine e sulla base dei principi espressi dal piano del 1953, viene redatto dagli uffici comunali il primo piano particolareggiato del nuovo centro direzionale.

L’impostazione del disegno nasce e si struttura sulla costruzione dell’asse attrezzato che partendo da piazzale Lagosta – terminale dell’asse stradale di Fulvio Testi – ridisegna il quartiere Isola, scavalca il nuovo fascio di binari(12) con l’ipotizzata nuova stazione di Garibaldi(13), per poi proseguire, ridisegnando tutta la parte urbana attraversata, verso i Bastioni di Porta Volta e connettersi al proseguimento del previsto asse stradale a sud-ovest verso Genova. Il piano Particolareggiato verrà più volte cambiato nel corso degli anni, proprio a sottolineare la forte impossibilità tecnica amministrativa a dare un assetto definitivo a questa parte di città. Gli ambiti urbani prossimi all’area Garibaldi-Repubblica hanno visto esattamente dalla seconda metà degli anni ‘50 fino agli inizi degli anni ’70, un forte sviluppo. Sono gli anni del definito assetto del sistema di piazza della Repubblica-via Vittor Pisani, ove si insediano i primi grattacieli, in rappresentanza delle grandi industrie lombarde, edifici che vogliono esprimere la nuova immagine del capitalismo Lombardo. Milano e la sua area metropolitana vivono il maggiore incremento di popolazione. “Dal dopoguerra a tutti gli anni Settanta si forma la nuova geografia umana lombarda sulla scorta di un aumento della popolazione di due milioni di unità (da 6.574.000 nel 1951 a 8.552.000 del 1971, la dimensione attuale) […] Nello stesso periodo la popolazione dell’area metropolitana Milanese che aveva 1.860.000 abitanti nel 1951 sale a 2.460.000 nel 1961 (con un incremento del 32% corrispondente a più del 70% dell’incremento che si verifica nella Regione) e a 3.120.000 nel 1971”(14). Lo sviluppo edilizio residenziale, produttivo e terziario si estende sempre di più su tutto il territorio; l’area che nelle intenzioni degli estensori prima del PRG e poi del Piano Particolareggiato doveva diventare il motore informazionale e di servizio della città e della Regione non riesce a decollare e darsi un disegno compiuto. Tale inerzia nel definire l’assetto urbano di questa parte di città va forse ricercata nella rigidità del modello imposto di centro direzionale e nella, sempre presente, contraddizione che si protrae dall’origine della storia di questo luogo ovvero la sovrapposizione di un’idea di città alla città costruita, che non ha permesso di cogliere e interpretare la vera essenza della struttura urbana presente. Ad eccezione di alcuni interventi sporadici come i nuovi grattacieli delle ferrovie, che meriterebbero una storia a parte, e poche meritevoli iniziative a livello accademico e culturale, che si preoccupano di proporre un nuovo approccio alla definizione urbana di queste aree riviste in una logica di riproposizione dello spazio pubblico (basti ricordare i progetti redatti a seguito dell’iniziativa della rivista “Casabella” insieme al Comune di Milano), per riattualizzare il dibattito sul destino urbanistico di questa parte di città bisogna attendere i primi anni ’90, con il concorso di Garibaldi-Repubblica e, poco prima, con la predisposizione del Documento Direttore del Passante Ferroviario 1983 e con i relativi progetti d’area.

E’ importante sottolineare che qualche anno prima, nel 1980, veniva definitivamente approvato il Piano Regolatore di Milano, dopo una gestazione durata decenni. L’innovazione introdotta dalle linee di indirizzo del piano è il demandare ad una fase più attuativa e di programmazione (Piani Complessi) la risoluzione di problematiche urbane e di partecipazione. Collegato al PRG, un altro strumento di pianificazione, il Piano Comunale dei Trasporti, crea una forte integrazione tra tendenza insediativa e previsioni infrastrutturali. All’interno del Piano Comunale dei Trasporti viene inserito il Passante ferroviario, infrastruttura nodale per tutto il sistema ferroviario Lombardo: una struttura passante che mette in connessione il sistema di Bovisa e Porta Vittoria. Tale integrazione, connettendo le linee ferroviarie FS e Ferrovie Nord, detta le basi per la costruzione dell’attuale servizio ferroviario regionale, che in Milano vede il suo polo passante. Una nuova logica urbanistica, anche se storicamente consolidata, si struttura e prende avvio con una nuova gestione del territorio: si pensa a governare la complessità non attraverso semplici previsioni di piano, ma con strumenti capaci di programmare le diverse problematiche urbanistiche anche con il concorso dei privati. L’infrastruttura del passante ferroviario, come si ricordava prima, detta l’avvio dello studio dei grandi progetti d’area promuovendo anche un processo di dismissione funzionale e rivisitazione di parti di città. Sono di questo periodo i grandi studi per il nuovo Portello, per la nuova Bicocca e le stesse aree di Garibaldi-Repubblica che, con l’introduzione della nuova infrastruttura, divengono un luogo di massima accessibilità sia a livello regionale che nazionale. La connessione del sistema passante con tutto il sistema aeroportuale e il sistema ormai strutturato delle metropolitane urbane lo candidano a luogo di eccellenza per le relazioni territoriali regionali e oltre.

Rimane in essere, anche alla luce delle nuove infrastrutture, l’idea riattualizzata del centro direzionale. Si prevede la possibilità di insediare funzioni legate al mondo delle assicurazioni, della finanza e al sistema informazionale regionale con l’insediamento di grandi strutture commerciali e poli culturali. Un mix funzionale che costituirà la base del nuovo concorso degli anni Novanta. Il processo di trasformazione che ha portato a realizzare quanto è possibile vedere oggi nell’area si è sviluppato per tappe intermedie, che hanno inizio, appunto, con il concorso internazionale del 1991- 1992, promosso da AIM (Associazione Interessi Metropolitani) e dall’Amministrazione Comunale, vinto da Pierluigi Nicolin, a cui è però seguita una sentenza di annullamento su ricorso di alcuni residenti. Questo concorso segna lo strappo con la tradizione architettonica: attraverso le proposte presentate si evince una forte internazionalizzazione dell’architettura, un momento di rottura con tutta una tradizione architettonica che si era omologata e perpetuata fino agli anni Ottanta. Il progetto vincitore dell’architetto Pierluigi Nicolin è strutturato su una accurata lettura delle infrastrutturazioni stradali, reinterpretando attentamente le diverse esigenze pubbliche e private, anticipando in maniera inequivocabile il futuro della città, ponendo le basi sia urbanistiche sia architettoniche al definitivo disegno, che oggi trova il suo completamento in maniera quasi profetica. “Il progetto cerca di interagire con i diversi “livelli di realtà” ormai rinvenibili in loco storici, infrastrutturali, sociali, territoriali e urbani, cercando non soltanto di imporre una nuova forma al sito quanto anche derivarla dalla situazione […]. Una scelta che potrà favorire la realizzazione delle opere per stralci successivi entro una città che dovrà continuare a funzionare”(15). Questa continuità stilistica si può leggere sia da un punto di vista del disegno urbano sia da quello del linguaggio architettonico. L’attenzione che il vincitore del concorso pone nel disegno e nei segni della città, la si può ritrovare – seppure con le dovute differenze stilistiche maturate in seguito all’attualizzazione delle diverse esigenze, pubbliche e private sorte nel tempo – negli interventi che oggi si mostrano nella loro interezza. L’idea di città che anticipa quello che poi avverrà è già tutta scritta e disegnata nell’attenzione dell’orchestrazione volumetrica, attuabile per parti e in un tempo diverso, ma sempre all’interno di un disegno stratificato nella città. “[...] Da questo punto di vista il progetto vincente esprime non solo distanza critica dalla realtà in cui viviamo ma persino un non so quanto giustificato ottimismo. Nel Progetto di Nicolin c’è la rappresentazione della speranza che Milano sappia esprimersi ancora in termini moderni e questo è un valore che si può rifiutare, ma non considerare come rispecchiamento di una realtà che è assai più penosa”(16). La complessità dell’intervento avrà poi una travagliata storia amministrativa che, dopo lunghe vicissitudini, ci porterà ai giorni nostri. Le funzioni previste dal documento direttore del passante, fatte proprie dal bando di concorso, saranno oggetto di complesse trattative, che trasformeranno quel luogo da città informazionale a città del consumo. In seguito al concorso del ’91 e all’annullamento su ricorso dei residenti, il Comune di Milano ha avviato uno studio urbanistico dell’area che ha portato alla definizione di un PII elaborato con la consulenza dello stesso Nicolin e basato su una disposizione attorno ad un parco centrale.

Solo nel 1999, su iniziativa di privati insieme al Comune di Milano e alla Regione Lombardia, si è avviato concretamente il processo di trasformazione che ha portato nel 2003 al bando di concorso per la sede della Regione Lombardia vinto da Pei Cobb Freed Partners, Caputo Partnership e Sistema Duemila e nel 2004 a quello per il parco centrale, i giardini di Porta Nuova, vinto da Petra Balisse dello studio Inside/Outside con il progetto della “Biblioteca degli alberi”. Nello stesso anno viene effettuato lo studio di fattibilità per la progettazione della torre per gli uffici comunali su via Melchiorre Gioia, affidato a Raffaello Cecchi e Vincenza Lima, il cui progetto però al momento è sospeso. Nel 2005 Nicolin vince il concorso per la progettazione del MOdAM, laboratorio multidisciplinare della moda, dell’arte, della comunicazione, posto a sud dei giardini di Porta Nuova, altro progetto attualmente sospeso in seguito alla valutazione delle nuove esigenze per l’area. Sempre nel 2005 il Comune di Milano e Hines, il principale soggetto privato promotore dell’intervento insieme al Comune, stipulano la convenzione attuativa del PII Garibaldi- Repubblica; l’anno successivo Hines acquisisce Le Varesine srl e rileva le aree del PII Isola Lunetta, affidando il progetto del planivolumetrico di Città della Moda a Cesar Pelli, il progetto di massima delle ex Varesine a Lee Polisano dello studio Kohn Pedersen Fox e il nuovo studio planivolumetrico Isola-Lunetta a Studio Boeri. Nel 2007 l’attuatore del PII presenta istanza di variante a seguito della realizzazione della nuova fiera di Rho-Pero, che ridimensiona la necessità di nuovi spazi espositivi e fa sì che venga meno l’idea di creare un nuovo comparto dedicato esclusivamente alla moda. Con i suoi 350.000 mq di edificazione e 160.000 mq di aree verdi e pedonali, l’intervento PII Porta Nuova rappresenta la più grande operazione di riqualificazione urbana in corso. In particolare gli interventi che fanno parte del progetto Porta Nuova possono essere suddivisi nelle aree: Porta Nuova Garibaldi-Repubblica, caratterizzato dal masterplan redatto da Cesar Pelli e basato sulla realizzazione di un podio centrale che si pone come nuova piazza urbana, che persegue i criteri di connessione, pedonalità, l’accessibilità e l’idea di centralità dell’area come nuovo centro direzionale; aree porta Nuova Varesine, con il rappresentativo edificio per uffici in acciaio e vetro, la Torre Varesina B, ovvero il Diamantone; aree Porta Nuova Isola, il cui masterplan è stato redatto dallo Studio Boeri, che ha progettato anche le due torri residenziali denominate Bosco Verticale, caratterizzate dalla fitta presenza della vegetazione su tutta l’altezza degli edifici (17). Con l’attuazione degli interventi sopra descritti, si conclude la travagliata storia di un luogo, durata circa due secoli, dalla sua origine, con la costruzione della prima ferrovia Milano-Monza, ad oggi.

Durante tutto il percorso di ricostruzione della storia dell’area Garibaldi-Repubblica ci siamo imbattuti nelle diverse visioni di città, dalla città Berutiana, alla città immaginata da Portaluppi- Semenza, alla città dell’Albertini, al piano AR del 1944-1945, ai diversi disegni urbani che hanno immaginato il destino futuro per questa parte di città. E’ a mio giudizio, con il concorso del ‘91 e con il progetto vincitore dell’arch. Pierluigi Nicolin, che si conclude un ciclo storico, incentrato tutto sulla ricerca progettuale del destino urbanistico-architettonico dell’area. Cito proprio a conclusione di questo cammino storico un estratto di uno scritto dell’autore di quel progetto, Pierluigi Nicolin, pubblicato su Lotus International n°131, 2007 “Milano Boom”: “I grandi interventi in corso di realizzazione stimolati dalle ambizioni della classe politica e resi operanti da investitori locali e internazionali riflettono il proposito di conseguire per Milano il rango di città globale puntando anche sulla presenza della nuova architettura internazionale […] Abbandonata la continuità delle vecchie relazioni urbane svalutate dallo sviluppo dei nuovi stili di vita, i nuovi insediamenti tendono a costituire degli ecosistemi autonomi che anticipano l’idea di una metropoli arcipelago. Vorrei rispondere a chi si dispera di questa prospettiva che la cosa non è di per sé negativa e, se non per l’evidente aspetto classista, essa rientra nella lunga storia della ricerca di soluzioni per i mali tradizionali della metropoli”(18).

 

Patrizio Antonio Cimino

 

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(1) Guido Canella, Il sistema teatrale di Milano, Dedalo libri, Milano 1966.
(2) Virgilio Vercelloni, Atlante Storico di Milano, Città di Lombardia, Officina d’arti grafiche Lucini, Milano
1987.
(3) Giuseppe de Finetti, Milano Costruzione di una Città, Ulrico Hoepli Milano, Milano 2002.
(4) Virgilio Vercelloni, Atlante Storico di Milano, Città di Lombardia, cit.
(5) Vedi scheda.
(6) Giuseppe de Finetti, Milano Costruzione di una Città, cit.
(7) ”Milano nell’Italia Liberale 1898-1922” in Virgilio Vercelloni, La città e l’idea di città, Cariplo 1993.
(8) Piero Portaluppi, Marco Semenza, Milano com’è ora come sarà, Bestetti e Tumminelli, Milano-Roma
1927.
(9) Virgilio Vercelloni, Atlante Storico di Milano, Città di Lombardia, cit.
(10) Milano. Il Piano Regolatore Generale 1953, Urbanistica, Torino 1956.
(11) Dalla “Relazione tecnica illustrativa, del progetto di nuovo Piano Regolatore Generale della città di
Milano” Deliberazione del Consiglio Comunale del 12 luglio 1950.
(12) Lo scavalco stradale del fascio di binari, unico elemento dell’asse attrezzato costruito, ancora oggi
e visibile nella sua sezione, esso doveva costituire il tratto di asse stradale di connessione tra piazzale
Lagosta e i Bastioni di Porta Volta.
(13) Vedi scheda.
(14) Virgilio Vercelloni, Atlante Storico di Milano, Città di Lombardia, cit.
(15) Pierluigi Nicolin, “Relazione allegata al progetto” in Progetti per Milano, Abitare Segesta Cataloghi
1992.
(16) Intervista con Gigi Mazza componente Giuria del Concorso in “Casabella” n° 590 maggio 1992.
(17) Per i nuovi interventi si vedano le schede di approfondimento degli edifici.
(18) Pierluigi Nicolin, Milano Boom in “Lotus International” n°131, 2007.

L’espansione è più ampia a est e a ovest, considerato che a nord lo spazio interno alla ferrovia è limitato; mentre la crescita meridionale non è stata favorita dai fattori ambientali, quali la presenza di un’agricoltura ancora fiorente e la presenza di una falda assai superficiale, riaffiorante dopo la linea delle risorgive assorbite dai fontanili. All’interno della “ciambella” dell’espansione, il piano disegna una maglia che completa e continua quella del Beruto, irrobustendo le radiali storiche e quelle nuove previste da quel piano. Anche se i Regolamenti edilizi e le tipologie del nuovo piano sono simili a quelle del Piano Beruto ma con le altezze degli edifici sempre maggiori di un piano, è difficili riconoscere i tessuti originari, sia per il rallentamento della crescita dovuto alla grande guerra, sia soprattutto per gli esiti del Regolamento Edilizio del 1921 e del contemporaneo Regolamento d’Igiene, che consentivano quasi ovunque di sopralzare gli edifici e di modificare la forma della città.

BIBLIOGRAFIA GENERALE SUL TEMA

 

Piero Portaluppi Marco Semenza

Milano com’è ora come sarà

Besetti e Tumminelli, Milano-Roma 1927

 

Relazione tecnica illustrativa del progetto di nuovo Piano Regolatore Generale della città di Milano

Deliberazione del Consiglio Comunale del 12 luglio 1950

 

Milano, il Piano Regolatore Generale 1953

Urbanistica, Torino 1956

 

Guido Canella

Il Sistema Teatrale di Milano

Dedalo libri, Milano 1966

 

Virgilio Vercelloni

Atlante Storico di Milano, Città di Lombardia

Officina d’arti grafiche Lucini, Milano 1987

 

Virgilio Vercelloni

La storia del paesaggio urbano di Milano

Officina d’arte grafica Lucini, Milano 1988

 

Pierluigi Nicolin

Relazione allegata al progetto

in Progetti per Milano, Abitare Segesta Cataloghi 1992

 

Intervista con Gigi Mazza componente Giuria del Concorso

in "Casabella" n° 590, maggio, 1992

 

Virgilio Vercelloni,

Milano nell’Italia Liberale 1898-1922

in “La città e l’idea di città” Cariplo 1993

 

Giuseppe de Finetti

Milano: costruzione di una città

Hoepli, Milano 2002

 

Pierluigi Nicolin

Milano Boom

in "Lotus International" n°131, 2007