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Giovanni Muzio (1893–1982) è stato un importante protagonista dell’architettura e dell'urbanistica Milanese. Negli anni Venti partecipa al “Novecento Milanese” sia nel gruppo artistico intorno a Margherita Sarfatti, sia in quello architettonico. Fonda con Giuseppe de Finetti, Gio Ponti e altri il “Club degli Architetti Urbanisti”, che studia lo sviluppo della città e dell’architettura cercando una mediazione tra modernità e tradizione. La sua prima opera, la Ca’ Brütta, diventa il manifesto del movimento e le opere che seguono dimostrano le tappe del percorso architettonico del gruppo: dalla negazione di decorazioni accademiche, attraverso un gusto raffinato e metafisico, fino alle strutture moderne con facciate di klinker come interpretazione contemporanea della cultura lombarda del mattone. Con una enorme produttività architettonica, le sue realizzazioni danno una notevole impronta alla città di Milano tra gli anni Venti e Quaranta.
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Importante protagonista tra le due guerre, Muzio dedicò a Milano la maggior parte della sua attività professionale, partecipando in prima fila al fertile clima culturale degli anni Venti e Trenta, realizzando una vasta quantità di opere di notevole interesse e contribuendo al dibattito sorto in merito alla pianificazione urbana della città. Nonostante questo, fu fuori dal capoluogo lombardo che egli acquisì gran parte della sua ricca formazione giovanile, fatta di una particolare combinazione di studi classici, artistici e tecnici, che caratterizzerà la sua opera. Prima di lavorare per quasi mezzo secolo a Milano, Muzio visse un’infanzia e una giovinezza inquiete e discontinue ma ricche di esperienze e impressioni. Fu a Bergamo, dove la famiglia si era trasferita nel 1902, due anni prima della morte del padre Virginio – anch’egli noto architetto – che il giovane Muzio iniziò a disegnare, frequentando anche un corso di disegno in parallelo ai suoi studi classici. Iscrittosi nel 1910 alla Facoltà di Ingegneria di Pavia, ebbe come professore Sebastiano Locati che lo incoraggiò ad approfondire, accanto al biennio di base in ingegneria, i suoi interessi per il mestiere del padre. Muzio cominciò a dedicarsi al rilievo architettonico dei monumenti sacri di Pavia, ponendo il fondamento per i suoi studi del romanico lombardo, riferimento continuo in molte delle sue opere. Tornato a Milano nel 1912, si iscrisse al corso superiore di architettura presso il R. Istituto Tecnico Superiore, dove conobbe Gaetano Moretti, in quegli anni preside della Facoltà di Architettura, sotto la cui guida proseguì i lavori di rilievo e presso il cui studio ebbe la possibilità di fare esperienze lavorative.
Quando si laureò nel 1915, Muzio poteva vantare una solida formazione, tecnica e architettonica, rara a quell’epoca e particolarmente inconsueta per l’indirizzo accademico dell’insegnamento di Milano. Con l’entrata dell’Italia in guerra Muzio si trova costretto “fortunatamente” – come disse anni dopo – a lasciare di nuovo la città. Fu inviato in Piemonte, nel Veneto, e infine in Francia, dove rimase dal 1917 fino alla fine del 1919, trascorrendo l’ultimo anno a Parigi come membro militare della Conferenza per la Pace. Dopo il rilascio, prima di tornare in patria, intraprese viaggi in Europa, con permanenze a Londra, Bruxelles e Berlino. Furono anni inquieti, di maturazione, ricchi di riflessione: “una lunga cesura quinquennale”, che aveva “spezzato l’ordinario svolgimento di una carriera” – scrive più tardi – e concesso “di meditare da un punto di vista più lontano e indipendente sulla condizione dell‘architettura” (1). Si svegliò quell’“istinto del giovane”, come scrisse l’amico C. Carrà, che le accademie e le università cercarono di “paralizzare” (2). Sono gli studi autodidattici, gli incontri diretti con le opere “fino ad allora (…) studiate sui libri”(3) e il contatto con i protagonisti della vita artistica di Parigi, che – paradossalmente in periodo di guerra – promuovevano inaspettatamente un indirizzo, nuovo e personale, per la formazione professionale.
Se la profonda conoscenza del romanico lombardo, a partire dal progetto dell’Università Cattolica, divenne per Muzio un imprescindibile riferimento – nella progettazione, nella straordinaria capacità di integrare o ampliare strutture storiche, ma anche nell’uso del cotto a vista – gli studi del gotico francese e dell’architettura moderna contribuirono, assieme alla sua formazione ingegneristica, allo strutturalismo costruttivo delle sue opere mature. Il sistema costruttivo di “ossa” e “pelle” costituisce il principio base che Muzio adotta per rendere chiaramente leggibile la struttura portante posta sotto il rivestimento della facciata. Ad incidere sulla sua formazione professionale furono, inoltre, sia il neoclassicismo lombardo, sia le teorie e le architetture classiche di Vitruvio, Alberti, Serlio, Vignola, Scamozzi e Palladio. Fu proprio alla conoscenza di Palladio che il giovane Muzio si appassionò particolarmente: iniziò con la frequentazione delle ville venete durante il servizio militare e proseguì nel 1920, quando tornò nel Veneto con l’amico T. Buzzi, per consultare archivi e biblioteche e per visitare le opere direttamente in situ. In Palladio Muzio trovò “qualche cosa di assoluto, che non è in nessun’altra architettura (…), qualcosa che non è databile” (4). Nelle epoche classiche – dall’antichità, al rinascimento fino al neoclassico – trovò quei valori durevoli e quella “estesa diffusione di omogenei caratteri estetici” (5), che ripropose con gli amici Novecentisti nelle opere milanesi. Sintesi di queste riflessioni sulle teorie classiche è il quadro di L. Filocamo del 1940 in cui “Giovanni Muzio dialoga con Vitruvio” (6) davanti a una città analoga composta da opere del maestro lombardo. Anche le citazioni riproposte nelle architetture realizzate – come quella ripresa nella facciata d’ingresso dell’Università Cattolica del portale di Serlio e Alessi del Palazzo Comunale di Bologna, oppure, nel Monumento ai Caduti, della doppia scala a chiocciola del Sangallo della fortezza di Orvieto e, nel tamburo con il fregio di Salvatore Saponaro dell’antica torre dei Venti ad Atene – testimoniano la vasta gamma di riferimenti classici adottati dal maestro.
Durante il primo periodo post-bellico, Muzio promosse a Milano l’ideale della vita culturale collettiva, ricca di stimoli e reciproci scambi. Con gli amici architetti G. de Finetti, E. Lancia, G. Ponti e M. Fiocchi inaugurò lo studio di via Sant’Orsola, “un vero cenacolo d’arte” (7) e – nel tentativo di liberarsi da ogni retorica accademica – anche un laboratorio d’architettura, in cui si svolgevano, oltre alla normale prassi di disegno e di progettazione, anche animate discussioni e sperimentazioni che indagavano orientamenti architettonici tra loro spesso diversi e contraddittori. Essendo entrato in contatto in prima persona con la vita artistica di Parigi, frequentando artisti e letterati come Malaparte, Ungaretti e il circolo di Max Jacob, Apollinaire e Cendras, Muzio si sensibilizzò consapevolmente anche al vivace clima culturale milanese, al quale partecipò stringendo contatti con Sironi, Carrà, Funi e Saponaro, ma anche conoscendo Ojetti e Cardarelli, e frequentando i circoli della Sarfatti. Insieme ai colleghi dello studio Sant’Orsola, progettò case per artisti, pensando addirittura di dare vita ad un vero e proprio quartiere per artisti presso la città di Milano. Sono idee di vita collettiva, che si ritrovano in alcuni progetti realizzati negli anni Trenta, come per esempio nei palazzi per i giornalisti. L’ideale di collaborazione tra architetti e artisti è perseguita da Muzio anche in ambito professionale: in occasione del concorso e della realizzazione del Monumento ai Caduti e, in particolar modo, nella lunga collaborazione con M. Sironi.
Con Sironi la collaborazione non avvenne solo per le sue architetture, ma – con maggiore libertà – anche per gli allestimenti espositivi: il Padiglione del Popolo d’Italia alla Fiera milanese (1928), i padiglioni della stampa italiana alla Mostra editoriale di Cologna (1928) e all’Esposizione Internazionale di Barcellona (1929), i suggestivi ambienti della Mostra Grafica alla Triennale di Monza (1930), gli interni e gli allestimenti della Triennale di Milano nel nuovo Palazzo dell’Arte (1933). Dall’inizio degli anni Venti Muzio si fece portavoce ideologico del Novecento Milanese, movimento che univa giovani architetti sotto il richiamo del “ritorno all’ordine” in senso formale e metodologico, in stretta vicinanza con le posizioni del Novecento artistico che ruotava intorno alla Sarfatti, della Pittura Metafisica e di riviste come “Valori Plastici” e “La Ronda”. Il suo impegno lo portò a scrivere articoli, organizzare mostre, intraprendere studi storici e a partecipare alla fondazione di nuovi raggruppamenti culturali. La Ca’ Brütta in via Moscova (1920-1922), che progettò per lo studio P. F. Barelli / V. Colonnese, divenne non solo la sua opera giovanile più significativa, ma sopratutto il manifesto del primo Novecento Milanese. Questo moderno condominio, destinato ad una grande città, nacque da una straordinaria invenzione tipologica e iconografica strettamente radicata al luogo: il grande asse di collegamento tra la nuova stazione e il centro città. Inoltre, tale opera fu contemporaneamente una critica fondamentale e provocatoria all’abuso ripetitivo, banale e retorico dell’applicazione ornamentale.
La Ca’ Brütta destò notevole scandalo, tanto da conferire immediatamente enorme notorietà al giovane Muzio. Nell’architettura della Ca’ Brütta riecheggia, inoltre, uno spirito metafisico, riscontrabile anche in altre opere del primo periodo, come nella palazzina in via Giuriati (1930-1931) o nell’allestimento della Mostra Grafica alla Triennale di Monza (1930). Verso la metà degli anni Venti, Muzio si rivolse anche alla progettazione e alla divulgazione di temi di carattere urbanistico. Nel 1924 fondò con G. de Finetti e A. Alpago Novello il Club degli Architetti Urbanisti, all’interno del quale partecipò con il progetto “Forma Urbis Mediolanum” al concorso per il Piano Regolatore (1926-1927) e all’intensa opposizione contro i piani comunali. Nel 1926 inaugurò assieme ad A. Alpago Novello e G. Ponti la “Associazione tra i Cultori di Architettura”, rivolta soprattutto alla cura dei monumenti e alla storia della città, ma anche a temi attuali di progettazione urbana. Nel decennio seguente Muzio lavorò, in parte partecipando a concorsi e collaborando con altri Novecentisti, a progetti per piani regolatori di varie città, come Bolzano, Pisa, Verona e Oporto. È però il volto della città di Milano che egli riesce a caratterizzare con le sue architetture. A fianco degli innumerevoli edifici d’abitazione, perfezionati progressivamente dal punto di vista tipologico e tecnologico, egli realizzò un’ampia quantità di edifici pubblici e sacri, tra cui alcuni tra i più significativi della città: l’Università Cattolica (1927-1938), il Palazzo dell’Arte (1933), il convento Sant’Angelo con il centro culturale Angelicum (1939), la sede dell’Amministrazione Provinciale (1940) o, dopo la guerra, l’Università Bocconi.
L’interesse di Muzio nei confronti del clima culturale a lui contemporaneo era rivolto alle moderne tendenze europee più moderate: invitò Berlage a tenere una conferenza a Milano, si ispirò a D. Böhm per la progettazione del convento di Sant’Angelo e introdusse a Milano il clinker, un materiale moderno impiegato nel nord Europa e conosciuto da Muzio presso i cantieri di Amburgo. Accogliendo “gli ultimi ritrovati tecnici” nelle sue costruzioni ma “senza ricopiarne le forme estetiche” (8), Muzio fu un autentico architetto del Moderno, che riscoprì un profondo legame con la tradizione italiana e lombarda. Dopo essere stato ingiustamente escluso dalla storiografia ufficiale a partire dal secondo dopoguerra, perché accusato di passatismo e vicinanza al fascismo, ebbe la soddisfazione di notare negli ultimi anni di vita un rinato interesse verso la sua opera. Muzio morì a Milano il 21 maggio 1982.
(1) G. Muzio, “Alcuni architetti d’oggi in Lombardia”, in “Dedalo”, ago. 1931. Ora (senza illustrazioni) anche in L. Patetta, “L’architettura in Italia, 1919-1943: le polemiche”, Clup, Milano, 1972, e in “Giovanni Muzio. Opere e scritti”, a cura di G. Gambirasio e B. Minardi, Milano, 1982, p. 254.
(2) C. Carrà, “La mia vita”, Milano 1981, p. 47.
(3) G. Muzio, in “Professore nel ‘900 lei era…”, intervista di G. Gambirasio e B. Minardi con G. Muzio, in “Modo”, novembre 1980, n. 4; ora anche in: “Giovanni Muzio. Opere e scritti”, cit., p. 33.
(4) ibidem, p. 33.
(5) G. Muzio, “Alcuni architetti d’oggi in Lombardia”, cit., in “Giovanni Muzio. Opere e scritti”, cit., p. 255.
(6) Si tratta di un consapevole riferimento a quadri rinascimentali, come quello che rappresenta Rucellai davanti alle architetture di Alberti o Daniele Barbaro rappresentato con la sua riedizione in italiano del Vitruvio sul tavolo.
(7) P. Mezzanotte, “La prima mostra d’architettura promossa dalla Famiglia Artistica di Milano”, in “Architettura e Arti decorative”, 1921, p. 299.
(8) G. Muzio, “Alcuni architetti d’oggi in Lombardia”, cit., in “Giovanni Muzio. Opere e scritti”, cit., p. 258.
P. Torriano
Casa editrice “Maestri dell`architettura”, Ginevra 1931
G. Mezzanotte
Eris stampa, Milano 1974
L. Fiori, M. P. Belski (a cura di)
Abitare Segesta, progetto grafico di Italo Lupi, Milano 1982
G. Gambirasio, B. Minardi (a cura di)
Franco Angeli, Milano 1982
F. Irace
Officina Edizioni, Roma 1982
A. Burg
Federico Motta, Milano 1991
A. Burg
Basel 1992
F. Irace
Electa, Milano 1994
Abitare Segesta Cataloghi, Milano, 1994