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Durante il Regno d’Italia e fino allo scoppio della II Guerra Mondiale, Milano costruisce il proprio ruolo di città moderna, motore di uno sviluppo che interessa la città e l’industria, ma anche la politica e le arti. Milano cresce e si trasforma con il primo piano urbanistico (Beruto 1884-1889) e il centro della città diviene il luogo che rappresenta gli ideali e gli interessi della classe borghese che sta sviluppando la nuova industria italiana e consegna alla città una leadership indiscussa in campo economico e finanziario, anche favorendo la nascita della Scuola Politecnica (1863). L’itinerario tocca i luoghi e i manufatti del centro maggiormente rappresentativi della modernizzazione della città borghese, i suoi nuovi quartieri, l’architettura moderna del primo Novecento, i servizi urbani e di trasporto della prima armatura urbana.
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Negli anni in cui prende concretezza l’unificazione dello Stato italiano, Milano non ha ancora maturato lo slancio e la cultura per diventare la capitale economica del Paese e città di livello europeo. La sua classe dirigente, ancora divisa tra un radioso destino industriale e una più meneghina concretezza immobiliare, investe inizialmente la maggior parte dei propri capitali nello sfruttamento della città e nei relativi profitti fondiari, sottovalutando le ricadute economiche e imprenditoriali che l’unificazione offre nell’apertura di un mercato nazionale e nei legami con l’Europa occidentale (3). La grandeur di alcuni progetti di riforma del Centro troverà, così, un freno iniziale nelle disponibilità economiche ancora insufficienti di una borghesia prudente e poco moderna: gli interventi urbanistici realizzati, almeno nei primi due decenni postunitari, testimoniano il sostanziale provincialismo della borghesia milanese, dimentica della lezione e della visione europea di Carlo Cattaneo. L’itinerario tocca i luoghi e manufatti – alcuni veri e propri palinsesti urbani – della città storica, descritti negli specifici approfondimenti, nei quali si sono depositati idee e progetti che hanno accompagnato la modernizzazione borghese della città, restituiti con un’attenzione particolare verso avvenimenti più recenti che permettono di mettere in tensione quelle idee in una prospettiva più profonda.
Il Piano Beruto (1884-1889)
La città cresce e si trasforma accompagnata dal primo piano urbanistico generale: il suo centro, allora racchiuso all’interno delle mura spagnole (1549-1560), diviene il luogo che rappresenta gli ideali e gli interessi dell’emergente borghesia meneghina. Nonostante il giudizio tiepido se non negativo di Aldo Rossi, che lo definisce un piano caratterizzato da “mediocrità generale” (se paragonato in particolare al preferito piano Napoleonico del 1807), il piano di Cesare Beruto (architetto e ingegnere capo della città) propone una visione moderatamente internazionale per contenuti, scelte e tecniche utilizzate (un “piano cauto e modesto” (4)). Finalizzato a regolare lo sviluppo della città, il Piano struttura la crescita urbana al di fuori delle mura spagnole, delle quali prevede la quasi integrale demolizione, con l’eccezione del tratto fra Porta Venezia e Porta Nuova; quadruplicando gli attraversamenti fra la città storica e i nuovi quartieri e prevedendone la trasformazione da pubblico passeggio (allora sopraelevato e per tratti estesi alberato), a viale di circonvallazione interna: un ring viennese in versione attenuata, che disegna una città pubblica lineare (verde, servizi e attrezzature), drasticamente ridotto a seguito dell’approvazione definitiva del piano. Abbattute progressivamente fino al secondo dopoguerra, sul percorso delle mura o in loro prossimità sorsero fra la fine dell’Ottocento e nel primo Novecento molte delle nuove infrastrutture urbane: le prime stazioni ferroviarie (la Centrale nell’attuale piazza della Repubblica, quella funebre di Porta Romana, Porta Genova), attrezzature urbane (il Monumentale, il carcere di San Vittore), qualche modesto giardino pubblico (5). Milano contava allora poco più di 350 mila abitanti; il territorio comunale misurava, pur inglobando nel 1873 i Corpi Santi, poco meno di 7.500 ettari (rispetto ai 18 mila ettari attuali). E’ da questa data che la città muta significativamente, diventando la seconda città dello Stato unitario per ampiezza demografica, superata solo da Napoli ma assai più popolata di Roma.
La struttura che ordina i tessuti urbani è rappresentata dalla maglia della viabilità (da una prima dimensione degli isolati di circa 200 metri prevista nella prima versione del piano del 1884, si passa alla “dimensione immobiliare” dimezzata della versione approvata del 1889), che consolida la forma urbis ereditata dalla storia, fatta di radiali verso il centro città e da anelli concentrici di raccordo. Il contenuto più evidente del Piano è rappresentato dall’espansione della città, una ciambella compresa fra le mura spagnole e la nuova circonvallazione esterna (l’attuale “viale delle Regioni”, lungo quasi 20 km e con una sezione di 40 metri): circa 1.900 ettari complessivi (più del doppio dell’allora impronta urbana, poco superiore agli 800 ettari), in grado di accogliere 500 mila nuovi abitanti, non esistendo ancora la diversificazione funzionale introdotta nel secolo successivo dal Movimento Moderno. L’addizione urbana viene disposta a corona attorno alle mura spagnole, per una profondità variabile (compresa fra i 600 e i 1.500 metri), inglobando le poche zone cresciute fuori dalle mura(6). La città pubblica è rappresentata da strade e piazze (per circa 400 ettari), da parchi, giardini e altri spazi pubblici (per circa 250 ettari), assai limitati se paragonati alle previsioni di altri piani dell’epoca. Si pensi che la città contava solo sui Giardini pubblici, voluti da Giuseppe II d’Austria alla fine del Settecento sulle aree occupate da due conventi demoliti. Con una crescita isotropa ma più significativa a nord e a ovest, dove sono previste due grandi attrezzature, lo scalo ferroviario di smistamento e la nuova Piazza d’Armi; più stretta ad est e a sud, dove le condizioni naturali del suolo (falda affiorante e ricchezza d’acqua), hanno da sempre sconsigliato lo sviluppo. Il disegno che caratterizza il Piano è rappresentato dall’asse di sviluppo verso nord-ovest, che parte dalla zona del Castello e dalla previsione di un nuovo grande parco (Parco Sempione). Il Piano programma, rispetto a piani coevi, limitati sventramenti dei tessuti storici: l’intervento più significativo è rappresentato dalla formazione di via Dante, primo tratto dell’asse che partendo dal centro si sviluppa verso nord-ovest, attraversa il Castello e il Parco e prosegue oltre l’Arco della Pace, con l’attuale corso Sempione. L’intervento comporta la ristrutturazione di piazza Cordusio, che diventa il polo finanziario della città ottocentesca, collegata con piazza Duomo, già rivista nella forma attuale con il progetto della Galleria Vittorio Emanuele. L’asse prosegue a sud della nuova piazza del Duomo, con la direttrice di sud-est (corso di porta Romana) e l’apertura dell’attuale via Mazzini (e l’abbattimento della chiesa romanica di San Giovanni in Conca). Prima di questi interventi erano stati realizzati la “regolarizzazione” di via Torino, l’apertura di corso Genova e la sua prosecuzione verso la stazione (corso Colombo) e quella di via Mortara e Vigevano, per servire la nuova stazione di Porta Genova e riorganizzare il quartiere limitrofo.
La grande riforma del Centro
Nei trent’anni che trascorrono tra l’unificazione del Paese e l’approvazione del piano Beruto, Milano conosce un intenso sviluppo demografico e una significativa dinamica edilizia, con dei nuovi interventi e la trasformazione dei tessuti esistenti, con rifacimenti, sopralzi, sostituzioni, densificazioni. L’attività del Comune nei primi decenni postunitari è impegnata in più direzioni: nella costruzione di nuove vie che, sventrando i grandi isolati della città, forniscono ulteriori occasioni di rinnovamento urbano e architettonico; nel restauro di alcuni monumenti e nel riuso di beni ecclesiastici per nuove funzioni civiche; ma soprattutto nella grande riorganizzazione del centro urbano, di cui il progetto per la piazza del Duomo e la galleria costituisce forse l’elemento più ambizioso, anche sotto il profilo economico. Un progetto volto a dare un aspetto più rappresentativo a una scena urbana incompleta, a una piazza irregolare, priva di unitarietà e avvertita come spazio civico troppo modesto per celebrare la nuova grande città borghese. Già nella prima metà del secolo si succedono numerose proposte per il riassetto della piazza, ma il forte rilancio progettuale è nel 1859, con la proposta di intitolare a Vittorio Emanuele II il collegamento tra piazza del Duomo e piazza della Scala. In questi primi anni l’indisponibilità della zona del Castello vincolata ancora per finalità militari, aveva concentrato l’interesse sulla zona del Duomo: in particolare sul rifacimento della facciata e sulla realizzazione di una piazza monumentale, per realizzare la quale si demolirà un quartiere tra i più antichi della città. Mentre il concorso internazionale per la facciata del Duomo maturerà un vincitore (Brentano, 1888), ma avrà esiti incerti ancora per qualche decennio, i tre concorsi della piazza (1860, 1861, 1862) saranno accompagnati da estenuanti polemiche e infiniti ripensamenti, che vedranno emergere un programma realizzativo e un progettista vincitore. Il nome di Giuseppe Mengoni, infatti, si delinea nel 1861 dall’esito incerto del secondo concorso che non assegnerà ancora nessun premio, ma porterà il consiglio comunale a invitare una rosa ristretta di progettisti a un secondo grado di concorso, ma anch’esso non avrà luogo per il ritiro di un concorrente e per la tempestività di Mengoni nel produrre soluzioni che incontreranno il favore dei circoli economici e culturali milanesi.
L’affinamento del programma concorsuale porta alla realizzazione di una grande piazza rettangolare, coronata da portici lungo tre lati, collegata a piazza della Scala attraverso una galleria coperta cruciforme e collegata al Cordusio sventrando piazza dei Mercanti, originariamente chiusa su quattro lati, con un tracciato viario ottenuto con la demolizione di fabbricati secondari. Per la realizzazione della piazza vengono acquistati e demoliti 170 vecchi edifici davanti al Duomo e delle compensazioni necessarie a far fronte all’intervento si parlerà ancora a lungo, soprattutto con riferimento ai tentativi di lottizzazione della piazza d’Armi. Il progetto definitivo prende avvio nel 1865, proprio a partire dalla Galleria che due anni più tardi risulterà già quasi interamente completata e aperta al pubblico, mentre i lavori della piazza continueranno fino quasi il 1878, rallentati dal fallimento della società inglese che aveva in concessione la realizzazione della sua costruzione e dalla morte del progettista per un incidente di cantiere occorso un anno prima della conclusione dei lavori. La realizzazione parziale del progetto del Mengoni e la durezza dell’intarsio rispetto alle giaciture esistenti, genereranno conseguenze nel tessuto circostante che accompagneranno la vicenda del riassetto delle aree del centro fino al secondo dopoguerra. Con la ristrutturazione di piazza del Duomo inizia il processo di spopolamento del centro, assestato con interventi di demolizione delle parti più povere e fatiscenti. Parallelamente, a partire dagli anni Settanta, il centro si avvia verso un lento processo di riqualificazione direzionale (nuovi edifici per banche, assicurazioni, grandi imprese nazionali, e per il commercio) che interessa il rifacimento di piazza della Scala, la riorganizzazione della corsia del Giardino (oggi via Manzoni), il sistema Cordusio-via Dante e numerosi altri allargamenti e rifacimenti stradali (via Carlo Alberto – oggi via Mazzini e via Mengoni – e via Torino, Carrobbio, Cesare Correnti). Fino al 1884 Milano non si darà un piano regolatore per non ostacolare l’attività privata, su cui la borghesia milanese costruirà la propria ricchezza. Sarà il tentativo di lottizzazione della piazza d’Armi per la realizzazione di un quartiere alto borghese da parte della Società Fondiaria che porrà all’attenzione il varo di uno strumento urbanistico. Già nel 1877, quando i lavori per la nuova piazza del Duomo sono avanzati, si ricomincia a parlare della sistemazione del Castello e della piazza d’Armi con finalità dirette all’edificazione di un ambito assai prestigioso. Almeno cinque differenti soluzioni precedono il progetto Milano Nuova della Società Fondiaria, che propone l’edificazione intensiva di tutta la zona con ottanta isolati di case a cinque piani, nonché la demolizione di gran parte del Castello. Proprio quest’ultima sarà “la buccia di banana” sulla quale franerà la proposta, grazie all’intervento del Ministero della Pubblica Istruzione, che produrrà le dimissioni della giunta e del Sindaco Bellinzaghi, per l’esposizione che avevano dimostrato sul progetto.
La modernizzazione della città: infrastrutture e nuovi servizi
Il dinamismo economico che caratterizza Milano negli anni dopo l’Unità alimenta un forte aumento della domanda di mobilità locale e regionale, trovando risposta in un articolato sistema di trasporti collettivi che si articolerà e si potenzierà con l’affermarsi delle nuove tecnologie di trazione. Alle soglie dell’unificazione, Milano (in generale la Lombardia) non disponeva in fatto di ferrovie alcun collegamento diretto con i principali centri di scambio e di commercio nazionali (Torino, Genova, Bologna) ed esteri. La dominazione austriaca aveva concretizzato pochissimo in termini di ferrovie, ritardando il collegamento tra Milano e Venezia. Nello stesso periodo, il Piemonte si era rafforzato nei transiti col Mediterraneo e la Svizzera. Nel 1840, Milano aveva inaugurato la ferrovia per Monza, sei anni dopo la linea per Treviglio e nel 1958 la Milano-Magenta. Solo con l’unificazione, Milano vede prendere forma una rete ancora fatta di brevi tratte ferroviarie, che avrebbero prefigurato le future connessioni regionali e nazionali. Nel 1861 fu aperta al pubblico la linea per Piacenza, alla quale seguirono la Treviglio-Cremona e nel 1865 la Gallarate-Sesto Calende. Con il 1867, grazie ai lavori portati a compimento nel resto del Paese, da Milano già si poteva raggiungere Roma e Napoli sul versante tirrenico e Bari su quello adriatico. In pochi anni, Milano, quindi, da realtà emarginata sotto il profilo dei collegamenti su rotaia, diviene il maggior il centro ferroviario nazionale per merci e passeggeri, rafforzato dai trafori del Moncenisio e poi del Gottardo. La ferrovia in misura sempre crescente andrà a costituire l’ossatura del sistema di trasporto, rendendo progressivamente marginali le vie d’acqua, che fino alla metà dell’Ottocento avevano costituito un sistema complementare al trasporto delle merci via terra. E’ in questi anni che la città si pone il problema delle stazioni per passeggeri e merci. Milano prima dell’unificazione possedeva due stazioni: Porta Nuova aperta con la linea per Monza, la stazione di Porta Tosa per la tratta di Treviglio. Nel 1864, nei pressi di Porta Nuova, venne inaugurata la nuova stazione Centrale (nell’area dell’attuale piazza della Repubblica), a cui venivano convogliate tutte le ferrovie convergenti sulla città. La stazione è concepita come stazione passante, raccordata con le linee per Venezia, Piacenza e Pavia da un lato, con quelle per Torino, Como e Monza dall’altro. Nel 1870, con l’apertura della linea per Vigevano, fu realizzata la stazione a Porta Ticinese e il relativo scalo ferroviario (oggi Porta Genova). Ai traffici delle merci provvedevano gli scali di Porta Garibaldi e Sempione e più tardi gli scali di Rogoredo, Bovisa e Romana (con la realizzazione del tratto sud dell’anello ferroviario), luoghi dinamici dello sviluppo industriale. In questi anni, prende concretezza anche la realizzazione delle Ferrovie Nord, ipotizzate al principio per rafforzare le connessioni transfrontaliere (raccordo con il Gottardo) e trasformate nel collegamento di centri secondari di supporto allo sviluppo del Nord Milano. Aperte nel 1879, come autonomo sistema di linee ferroviarie, vedranno l’affermazione della stazione di Bovisa, stazione di scambio con la rete ferroviaria nazionale.
Alla rete ferroviaria si aggiunse una fitta rete di tramvie urbane o ferrovie economiche, suburbane e intercomunali, nate come tranvie a cavallo, trasformate in tramvie a vapore su rotaia e dal 1894 in elettriche, con la concessione alla società Edison, che introdusse la trazione elettrica aerea. La rete si consolidava su servizi di linea che avevano cominciato a svilupparsi durante il periodo napoleonico, con notevole successo economico e di traffici. Dalla metà degli anni Settanta si intensifica lo sviluppo di quelle suburbane e intercomunali, con la realizzazione delle tramvie per Saronno e Tradate (1876), per Monza, per Gongorzola-Vaprio, fino a raggiungere una ramificazione nella regione che nel 1890 raggiunge i 650 chilometri di sviluppo. Pur con la crescita e l’estensione dell’offerta, il centro di Milano non perderà mai il ruolo di perno della rete di trasporto pubblico. Allo sviluppo delle infrastrutture di trasporto, importanti innovazioni vengono maturate con riferimento alle reti tecnologiche, con la riforma organica del sistema fognario (a partire dal 1890), anticipata da un primo progetto comunale del 1868 per la zona centrale che aveva portato alla realizzazione di due dorsali principali collegate con il Seveso e rilanciata dopo l’epidemia di colera del 1884. La realizzazione della rete idraulica procederà con maggiore lentezza: solo nel 1879 sarà attivata la centrale di captazione dell’Arena e la relativa rete di distribuzione e negli anni seguenti saranno attivati nuove centrali e il serbatoio dell’acqua potabile nel torrione del Castello Sforzesco (1883), restaurato dal Beltrami. La fornitura del gas per l’illuminazione pubblica si diffonde soprattutto nella città dentro le mura, mentre l’alto costo ne deprime ancora l’uso domestico. Il centro della città diviene anche la scena per la sperimentazione dell’illuminazione elettrica, che si consoliderà con la costruzione della prima centrale elettrica in via Santa Redegonda (1883). Nei primi anni dopo l’Unità, si afferma quel robusto processo di potenziamento e riorganizzazione delle attrezzature urbane necessarie alla costruzione della città moderna borghese: i giardini pubblici (1856-1881), il cimitero Monumentale (1867), i caselli daziari (Porta Volta, Porta Genova, piazza Cinque giornate), il carcere di S.Vittore (1879), i mercati per l’approvvigionamento alimentare (il macello pubblico, il mercato di Foro Buonaparte, il mercato del pesce di piazza S. Stefano, il mercato di porta Ticinese), il sistema dei teatri (Dal Verme, Eden e Manzoni) e dei musei (Casa Poldi Pezzoli, Museo civico di storia naturale, Palazzo della Permanente), l’istruzione, la cultura e l’assistenza (Pio Albergo Trivulzio di via della Signora, Istituto Marchiondi di via Quadronno, Istituto dei Ciechi, Istituto di ricovero per musicisti di piazza Buonarroti), oltre al riassetto delle attrezzature militari. Con riferimento alla modernizzazione dell’edilizia scolastica, si ricordano il complesso scolastico di via Rugabella (1864-67), la scuola elementare di via Tadino (1885), la scuola di via Galvani (1889).
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(1) Nota: gli autori hanno di comune accordo strutturato il saggio: Paolo Galuzzi ha redatto la stesura dei paragrafi "La grande riforma del Centro" e "La modernizzazione della città"; Piergiorgio Vitillo Milano, "città moderna" e "Il Piano Beruto" (1884 – 1889).
(2) La Scuola Politecnica (fondata nel 1863 e allora denominata “Istituto Tecnico Superiore”), nasce per impulso della Società di incoraggiamento di arti e mestieri (Siam, 1838, su iniziativa della Camera di Commercio, con sede in piazza Mercanti). Ebbe un importante ruolo di accompagnamento del processo di industrializzazione e di perfezionamento tecnico-produttivo delle manifatture lombarde. La sua prima sede era al Collegio Elvetico: alla fondazione contribuiscono le Amministrazioni locali (Comune e Provincia di Milano), la Camera di Commercio, la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, nonché alcune associazioni culturali e imprenditori.
(3) In questi anni, Milano è seconda a Napoli per popolazione e inferiore a Torino per dinamismo economico, in ritardo ancora sulla Toscana e il Piemonte come centro finanziario: con circa 200.000 abitanti (1861), è lontana dalle capitali europee già milionarie e il territorio lombardo presenta una rete ferroviaria debole anche rispetto al vicino Piemonte.
(4) Per approfondire i contenuti e i temi del piano Beruto e più in generale della crescita e nella trasformazione urbanistica della città attraverso i suoi piani regolatori, si veda F. Oliva, L’urbanistica di Milano. Quel che resta dei piani urbanistici nella crescita e nella trasformazione della città, Ulrico Hoepli Editore, Milano 2002.
(5) Su questi aspetti si veda F. Repishti, La trasformazione dei Bastioni Spagnoli: da pubblico passeggio a percorso viario, in AA.VV, Milano città fortificata, vent’anni dopo, Quaderni del Castello Sforzesco, n.5/2005, Atti del Convegno, Milano, Castello Sforzesco 1 Ottobre 2003.
(6) Si tratta in particolare del Borgo degli Ortolani, in corrispondenza dell’attuale zona di via Canonica, della lottizzazione iniziata sull’area del Lazzaretto e di una modesta espansione a sud attorno a Porta Genova e lungo il Naviglio Pavese).
M. Grandi, A. Pracchi
Zanichelli, Bologna 1980
AA.VV
Clup, Milano 1986
A. C. Buratti, A. Cova, G. Rumi (a cura di)
Edizioni Cariplo, 1991
M. Boriani, A. Rossari, R. Rozzi
Guerini e Associati, Milano, 1993
C. Carozzi
in Storia illustrata di Milano, vol. 7, 1993
AA.VV
Touring 1998
G. Denti, A. Mauri
Alinea Editrice, Firenze 2000
G. De Finetti
Ulrico Hoepli Editore, Ristampa, Milano 2002
F. Oliva
Ulrico Hoepli Editore, Milano 2002
M. Boriani, C. Morandi, A. Rossari
Clup, Milano 2006
S. Paoli (a cura di)
Umberto Allemandi &C., Torino, 2010