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Milano: quel che resta dei Piani Urbanistici

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A cura di Federico Oliva, Paolo Galuzzi Piergiorgio Vitillo

Il percorso dell’itinerario si svolge in buona parte lungo la direttrice nord-sud rappresentata dall’asse di viale Campania, che struttura la crescita della città prevista dal Piano Pavia-Masera (1912), nella zona orientale della città. Con due deviazioni: una verso est per osservare il Palazzo del Ghiaccio e i Frigoriferi milanesi; e una verso ovest, per visitare il nuovo quartiere Spadolini (ex OM via Pompeo Leoni). Lungo l’itinerario sono inanellati alcuni progetti: il quartiere IFCP Fabio Filzi; il PII ex Motta; il Palazzo del Ghiaccio-Frigoriferi Milanesi; il Progetto Passante e Porta Vittoria, il quartiere Molise; il quartiere Ettore Ponti; lo scalo di Porta Romana; il PRU ex OM; i quartieri INA Casa e IACP di via Omero

(Materiale protetto da copyright, vietata la riproduzione)

I quartieri razionalisti sull’asse del Piano Pavia-Masera (1912) Quartieri moderni e trasformazioni contemporanee (1)

Forma e struttura della città contemporanea

 

Mentre il Piano Beruto (1889) è generalmente apprezzato da studiosi della città, storici e urbanisti, non altrettanto si può dire per il piano (del 1912), firmato dagli ingegneri comunali Angelo Pavia e Giovanni Masera, considerato un ampliamento (una fascia circolare attorno alla città con strade radiali e nuove circonvallazioni) banalizzato del Piano Beruto (2). Pur essendo un piano di matrice ancora ottocentesca, che amplia la città senza specificarne le funzioni, limitandosi a prescrivere la rete stradale e le regole di costruzione degli edifici, il Piano del 1912 ha dato l’attuale assetto urbano alla città, non tanto nella parte centrale (per la quale prevede limitate trasformazioni e manomissioni, se si eccettua la copertura dei Navigli), ma per quasi tutto il resto dell’area urbana, le cui dimensioni odierne (reticolo stradale in particolare), sono pressappoco quelle previste dal Piano Pavia-Masera. Milano aveva allora poco più di 600 mila abitanti (con un territorio di 7.700 ettari (3)). Il carattere industriale della città è già sostanzialmente definito, con un ruolo rilevante della nuova circonvallazione esterna (come la localizzazione dell’Alfa Romeo al Portello), anche se diverse industrie sono cresciute nei comuni limitrofi, lungo la direttrice del Sempione e della Brianza. Quando il piano è approvato, l’attuazione del Piano Beruto non è ancora completata (4), anche se una notevole attività edilizia si era sviluppata fuori dal piano (5). Il rapporto con la ferrovia è l’elemento che caratterizza il Piano Pavia-Masera.

Ma la città non sfrutta il patrimonio infrastrutturale della prima industrializzazione, anzi lo cancella quasi completamente, non riutilizzandolo per lo sviluppo del trasporto collettivo, come hanno fatto diverse altre città europee (Berlino, ma anche Londra, Madrid e Parigi), facendolo diventare parte essenziale e integrante del sistema di accessibilità e mobilità urbana. La nuova fascia di espansione prevista è ancora una “ciambella”, ma più estesa della precedente (circa 2.200 ettari), con una previsione d’insediamento venticinquennale per 560 mila nuovi abitanti. A differenza del Piano Beruto, il limite dell’espansione è costituito da un asse stradale solo ad ovest, mentre a nord e ad est è la nuova cintura ferroviaria che fa da barriera (nella configurazione attuale), mentre a sud i confini sono rappresentati dal Canale navigabile (che avrebbe dovuto collegare Milano con Venezia, una volta raggiunto il Po), derivato dal Naviglio Grande a Ronchetto, fino al previsto porto commerciale a Porto di Mare, che avrebbe dovuto sostituire il porto interno, la Darsena (realizzata dagli spagnoli nel 1603). A fianco del Canale navigabile, verso la città, il piano prevedeva una sorta di circonvallazione meridionale, che da piazzale Corvetto, terminale del grande asse nord-sud che innervava la crescita orientale (gli attuali viali Lombardia, Romagna, Campania, Mugello, Molise, Puglie e Basilicata), raggiunge piazzale Tirana, da cui partiva la circonvallazione ovest. La mancanza del tratto settentrionale dell’anello viabilistico, più esterno rispetto a quello previsto dal Piano Beruto, verrà pagata a caro prezzo dalla città negli anni a seguire (si pensi ai tentativi non riusciti rappresentati dalla stessa Gronda nord, prevista dal PRG 1976-80, o successivamente dalla Strada interquartieri), anche perché nella parte nord del territorio comunale avverrà l’espansione più densa e compatta, saldata con quella dei comuni limitrofi.

L’attuazione del piano Pavia-Masera

Dalla fine della grande guerra al fascismo, gli anni della crisi economica, fu prevalentemente il Comune a guida socialista (1918-22) a sostenere lo sviluppo urbano, con interventi su aree comunali realizzate dall’Istituto Case Popolari, sia su aree centrali e semi-centrali (Campo dei Fiori, Baravalle, Tiepolo e Gran Sasso con tipologie a schiera; ma anche i più densi Vittoria, Genova e Magenta), che su aree esterne e periferiche (fra gli altri, Stadera, Villapizzone, Calvairate, Canaletto). Dal 1923 in poi, l’abolizione del blocco degli affitti imposto durante la Guerra, unitamente a incentivi di natura fiscale, rilancia l’edilizia e quindi l’attuazione del piano, che rimarrà in vigore fino alla metà degli anni Trenta. Nel settore orientale, l’attuazione del piano appare la più completa, sia per la rete stradale che per gli interventi edilizi. Qui i tessuti del piano sono paragonabili, per caratteristiche morfologiche e tipologiche, a quelli del Piano Beruto. Si tratta in particolare della zona di Città Studi, attraversata dall’asse nord-sud più esterno, costituito dalle vie Teodorico, Ponzio (che divide la nuova sede del Politecnico dalle sedi decentrate dell’Università Statale), Anelli e Lombardia: un asse che, nonostante molti interventi edilizi recenti, ricorda molto l’impianto del Piano del 1889. Altrettanto significativo è l’asse nord-sud più interno (i ricordati viali Lombardia, Romagna, Campania, Mugello, Molise, Puglie e Basilicata). Nonostante la grande ampiezza della strada (50 metri, tranne che nel tratto di via Lombardia), predomina l’architettura moderna realizzata a cavallo della seconda guerra mondiale e anche se la tipologia urbanistica non cambia (edifici allineati sul filo stradale con isolati a blocco chiuso), non appare più percepibile l’omogeneità del tessuto originario. Rispetto al Piano Beruto viene maggiormente utilizzata la tipologia della casa a schiera a 2 piani (individuale o bifamiliare), destinata alla piccola borghesia, presente per esempio nelle piccole vie trasversali di viale Corsica e via Piranesi o attorno a piazza Aspromonte.

Oltre ai due assi nord-sud principali, sono da ricordare alcune piazze significative previste dal Piano del 1912: alcune con carattere più di nodo della grande maglia urbana: le piazze Durante, Piola, Susa (la cui forma singolare è determinata dal nodo ferroviario della diramazione della ferrovia per Venezia ormai dismessa), Bologna. Altre sono pensate invece come luoghi centrali dei nuovi tessuti urbani: le piazze Aspromonte, Grandi, Martini, Insubria. In generale sono tutte di ampie dimensioni, molto più ampie degli spazi pubblici che la città fino allora conosceva (a parte piazza del Duomo), ma salvo le eccezioni delle piazze Grandi e Martini, prive della qualità progettuale di quelle del piano ottocentesco. Nel settore occidentale l’espansione presenta invece in maniera assai ridotta i caratteri originari del piano per quanto riguarda i tessuti e la forma della città. Prevale, rispetto al settore orientale, l’edificio isolato, secondo la concezione ridotta e addomesticata del plan libre razionalista con altezze e densità maggiori rispetto a quelle previste dal piano; anche se, confrontando le planimetrie originarie con la situazione di oggi, l’attuazione della rete stradale appare pressoché completa. La carenza di spazi pubblici (soprattutto del verde), la monofunzionalità pressoché totale, accentuata da grandi complessi di edilizia pubblica, definiscono tuttavia un tessuto urbano sostanzialmente privo di qualità.

Non dissimile la situazione del settore meridionale, dove i tessuti originari sono riconoscibili solo in alcuni brandelli (lungo le vie Meda e Montegani). Nella circonvallazione meridionale, che doveva affiancare il nuovo canale navigabile, solo via Giovanni da Cermenate conserva la dimensione originaria, ma su di essa si affaccia un’edilizia moderna priva di qualità, in particolare nella parte più occidentale. Ancora meno riconoscibile appare il piano nel settore nord. La localizzazione della nuova Stazione Centrale nel cuore dei tessuti berutiani ne aveva già provocato la sostanziale sostituzione, che prosegue anche nei decenni successivi, anche grazie alle grandi realizzazioni come il nuovo Centro Direzionale previsto dal Piano del 1953. In questa parte della città, appena a nord di piazza Carbonari, si trova il quartiere della Maggiolina, esterno al Piano Beruto, esito di un progetto del 1909 (promosso da alcuni grandi imprenditori milanesi tra i quali Carlo Feltrinelli, Ettore Conti, Piero Pirelli), per un “Quartiere industriale nord Milano”, imperniato sull’asse di viale Monza (l’attuale viale Zara), il cui primo tratto era già previsto dal Piano Beruto e che il Piano del 1912 prolunga fino alla cintura ferroviaria. Il progetto prevedeva la realizzazione di diverse tipologie residenziali lungo il “vialone”, la più vicina delle quali una città giardino (a cui si ispira la Maggiolina, unico tessuto sopravvissuto del grande progetto del “Quartiere industriale nord Milano”) e la più lontana destinata all’industria. Il progetto del viale verso la Brianza verrà ripreso da tutti i piani successivi e completamente realizzato alla fine degli anni Cinquanta.

Le dimensioni della città contemporanea

Perché il Piano Pavia-Masera è così importante per la definizione della forma urbana attuale e le dimensioni della città contemporanea? Per due ragioni sostanziali. La prima, di natura quantitativa: l’attuale impronta al suolo della città (eccetto alcuni interventi di edilizia pubblica degli anni Sessanta e gli insediamenti del Progetto casa degli anni Ottanta, che si configurano come interventi isolati), è sostanzialmente quella del Piano del 1912. Anche un semplice dato dimensionale risulta esemplificativo: se sommiamo gli abitanti di Milano nel 1889 (350 mila), a quelli previsti dal Piano Beruto (500 mila), a quelli previsti dal Piano Pavia-Masera (560 mila), si ottiene una cifra di poco superiore agli abitanti attuali. La seconda di natura funzionale. Anche se il Piano del 1912 non prevedeva nessuna grande attrezzatura e in particolare nessun nuovo grande parco (l’unico realizzato nel corso dell’attuazione è il piccolo Parco Solari), all’interno delle sue maglie la città localizza e costruisce, dalla fine della grande guerra alla metà degli anni Trenta, l’insieme delle grandi funzioni e attrezzature urbane che ancora la caratterizzano. Si tratta in particolare del sistema ferroviario già ricordato (progetto del 1905, recepito integralmente nel Piano del 1912); di Città Studi (Statale e Politecnico, inaugurato nel 1927, modificando leggermente la maglia del piano, con la soppressione del proseguimento di via Spinoza e utilizzando i terreni donati gratuitamente da una società immobiliare che voleva valorizzare le limitrofe aree di proprietà); la nuova sede della Fiera Campionaria (poi Fiera di Milano), utilizzando il quadrilatero della nuova piazza d’Armi prevista dal Piano Beruto, ma la cui trasformazione è prevista dal Piano del 1912; la dislocazione all’estremo limite nord-ovest della città, oltre la Fiera, dei grandi impianti per lo spettacolo sportivo (nei pressi dell’ippodromo allora esistente, adiacente piazzale Lotto, il piano prevede attrezzature e verde: il nuovo ippodromo-galoppatoio, la pista di allenamento, le scuderie e lo stadio per il trotto, accanto al quale, nel 1926, viene realizzato il nuovo stadio per il calcio, ampliato e ristrutturato due volte, negli anni Cinquanta e per i Mondiali del 1990); i grandi impianti annonari nel settore orientale della città (Mercato delle carni, Macello pubblico, Mercato del bestiame, messi in funzione nel 1929, mentre nel 1938, sulla stessa area comunale, verrà realizzato il deposito dell’azienda tranviaria; è invece del 1965 la realizzazione dell’Ortomercato, in una zona più esterna ma in adiacenza ai mercati delle carni); il Cimitero di Musocco (che integra il Cimitero Monumentale ultimato nel 1866).

Insomma, il Piano del 1912 prevede e realizza il sistema infrastrutturale della città attuale, sia le principali attrezzature urbane che si aggiungono a quelle già esistenti, sia buona parte degli insediamenti della città consolidata, in particolare di quella pubblica. I piani successivi, con l’eccezione del Piano Albertini del 1933 la cui efficacia è stata, fortunatamente, assai limitata, aggiungono e trasformano parti marginali di questa città, il cui carattere e la cui forma è tuttavia ascrivibile a questo piano assai poco considerato.

 

Federico Oliva

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(1) Gli autori hanno congiuntamente definito l’impostazione dell’itinerario e la selezione delle architetture e dei progetti di trasformazione urbana. In particolare, Federico Oliva ha scritto la descrizione dell’itinerario. Paolo Galuzzi ha redatto gli approfondimenti sul Palazzo del Ghiaccio – Frigoriferi Milanesi, sul Progetto Passante – Porta Vittoria – Giardini Marinai d’Italia, sul quartiere Ettore Ponti, sul quartiere INA Casa e IACP via Omero. Piergiorgio Vitillo ha composto gli approfondimenti sul quartiere IFCP Fabio Filzi, sul PII ex Motta, sul quartiere Maurilio Bossi, sullo Scalo di Porta Romana. Paolo Galuzzi e Piergiorgio Vitillo hanno congiuntamente lavorato alla redazione del testo sul PRU ex OM – Pompeo Leoni.

(2) Per la trattazione puntuale del Piano Pavia-Masera ma anche per la trattazione generale della storia dei piani milanesi, si veda in particolare F.Oliva, L’urbanistica di Milano. Quel che resta dei piani urbanistici nella crescita e nella trasformazione della città, Hoepli, Milano 2002. La descrizione dell’itinerario è profondamente debitrice nei confronti del testo della Hoepli, storica casa editrice milanese.

(3) Per arrivare agli attuali 18.000 ettari occorre attendere il 1923, quando verranno incorporati 11 piccoli Comuni adiacenti (Ronchetto, Lorenteggio, Baggio, Trenno, Musocco, Affori, Niguarda, Precotto, Crescenzago, Lambrate, Vigentino).

(4) Dei circa 1.900 ettari di espansione del Piano Beruto, ne erano stati attuati circa 700, con circa la metà degli edifici residenziali attuati. Nella cerchia dei Navigli scorreva ancora l’acqua, le mura spagnole non erano state ancora abbattute, la circonvallazione esterna non era ancora completata.

(5) Il motivo prevalente, oltre alla tradizionale rendita fondiaria, è la realizzazione della nuova cintura ferroviaria, con la costruzione di tre stazioni di testa (Porta Nuova, Porta Vittoria e Stazione Centrale), un progetto complessivo avviato nel 1905 e terminato nel 1932 con l’apertura della Stazione Centrale. La cintura ferroviaria viene ampliata a nord e a est, diventando il nuovo limite per la crescita della città. A sud il tracciato, adiacente all’anello viario esterno, viene mantenuto, mentre è soppresso quello occidentale con la trasformazione di Porta Genova da stazione di corsa a stazione di testa. Le aree occupate dal tratto ferroviario dismesso a nord, con al centro la vecchia stazione di corsa di piazza della Repubblica, diventano città (strade e palazzi). Sessant’anni dopo, la città riproporrà lo stesso tracciato, questa volta sotterraneo, per la realizzazione del passante ferroviario, di collegamento fra la stazione di Rogoredo e la stazione di Porta Garibaldi. Il tracciato curvo delle vie dell’Ongaro e Battistotti Sassi (fuori piazzale Susa), rappresenta la memoria della ferrovia che piegava a sud, verso Bologna e Pavia.

L’espansione è più ampia a est e a ovest, considerato che a nord lo spazio interno alla ferrovia è limitato; mentre la crescita meridionale non è stata favorita dai fattori ambientali, quali la presenza di un’agricoltura ancora fiorente e la presenza di una falda assai superficiale, riaffiorante dopo la linea delle risorgive assorbite dai fontanili. All’interno della “ciambella” dell’espansione, il piano disegna una maglia che completa e continua quella del Beruto, irrobustendo le radiali storiche e quelle nuove previste da quel piano. Anche se i Regolamenti edilizi e le tipologie del nuovo piano sono simili a quelle del Piano Beruto ma con le altezze degli edifici sempre maggiori di un piano, è difficili riconoscere i tessuti originari, sia per il rallentamento della crescita dovuto alla grande guerra, sia soprattutto per gli esiti del Regolamento Edilizio del 1921 e del contemporaneo Regolamento d’Igiene, che consentivano quasi ovunque di sopralzare gli edifici e di modificare la forma della città.

BIBLIOGRAFIA GENERALE SULL'ITINERARIO:

 

Urbanistica, n.19/20, 1964

Numero monografico sul Piano Regolatore del 1953

 

M. Grandi, A. Pracchi

Milano. Guida all'architettura moderna

Zanichelli, Bologna 1980

 

M. Boriani, R. Dorigati, V. Erba

La costruzione di Milano Moderna

Clup, Milano 1982

 

G. Campos Venuti, A. Boatti, A. Canevari, V. Erba

Un secolo di urbanistica a Milano

Clup, Milano 1986

 

P. Sica

Storia dell'urbanistica, vol. I e II

Laterza, Bari 1992

 

AA. VV.

Milano

Touring club, Milano 1994

 

A. Balzani

La fantasia negata. Urbanistica a Milano negli anni Ottanta

Marsilio, Venezia 1995

 

F.Oliva

L'Urbanistica di Milano.

Hoepli, Milano 2007