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Ampliamento Sede del Politecnico di Milano

Anno: 1970 - 1983

Località: Milano, Città Studi

Indirizzo: via Ampère 2, via Bonardi 3

Destinazione d'uso: Edifici per l'istruzione

Progettista: Vittoriano Viganò

L’autonomia della Facoltà di Architettura rispetto a quella d’Ingegneria risale al 1936, ma solo col secondo dopoguerra si provvede alla realizzazione di una sede indipendente. Diversi professionisti, professori dell’ateneo, si susseguono nella stesura dei piani di edificazione e sviluppo: il primo, che viene approfondito e realizzato dal 1956 da Giò Ponti e Giordano Forti, porta la firma di Piero Portaluppi, allora preside della Facoltà. Realizzato solo in parte, si rivela insufficiente negli anni ’70 per l’aumento incontrollato degli iscritti: Vittoriano Viganò è quindi chiamato a progettarne l’ampliamento, realizzato anch’esso in tempi lunghi, quasi quindici anni, e solo nella parte in prossimità di via Ampère.

 

Dell’intervento precedente si conserva la logica funzionale, che prevede la scansione per aree omogenee e la loro accessibilità ad utenze urbane: sono chiaramente leggibili le aree per la didattica, per la ricerca e la direzione, quelle di rappresentanza e per servizi culturali (biblioteca e archivi), quelle di servizio (portineria) e infine quelle tecniche e per il parcheggio. Sovrapposte su livelli successivi, sono raggiungibili attraverso percorsi indipendenti che a partire dall’unico ingresso pedonale, su via Ampére, permettono di articolare i flussi evidenziando aree private e semipubbliche. Fulcro dell’intervento e della sua logica distributiva è il patio, che si sviluppa parallelo a via Ampère con un’altezza libera di tre livelli: Vittoriano Viganò riconosce nel progetto «due modalità operative, apparentemente antitetiche: lo stacco da terra e lo scavo», che qui trovano relazione. Esso si trova ad un livello ribassato rispetto a quello della strada, consente continuità visiva per tutto l’intervento ed è attraversato dalla maglia modulare della struttura portante metallica, di pilastri cruciformi neri con un’altezza massima di 22 m e una luce libera di 8 m. Essi denunciano la propria logica costruttiva: sono tenute a vista sia le fondazioni grazie allo scavo attorno ai plinti, protetto da parapetti in tubolare quadro nero, che il coronamento, con l’uso di lucernari piramidali. La parte abitabile vi è appesa, e presenta estesi tamponamenti verticali vetrati su maglia quadrata che ne dicono il ruolo.

 

Lo spazio è articolato dagli elementi tecnici lasciati a vista e dalla presenza di attraversamenti in quota, connessi da scale a forte valenza plastica: la prima, rettilinea e con sezione ad U in cemento armato, corre lungo la facciata collegandone tutti i livelli, la seconda, elicoidale, porta al livello più basso. Il linguaggio, tecnologico, caratterizzato dagli elementi costruttivi a vista e dai colori netti, il nero e il rosso principalmente, si relaziona con quello dei precedenti interventi con un rapporto “di contrapposizione controllata dentro l’unità spaziale”, logico e didattico più che formale (negli anni ’50 Ponti scrive del proprio intervento «sarà un edificio insegnante»).

 

Marta Averna