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Il Segreto dell'Assoluto: lo scultore Francesco Somaini e Milano
L’attività di Francesco Somaini in collaborazione con gli architetti è precoce e s’innesta nel dibattito di sintesi delle arti postbellico. L'itinerario milanese delle opere dello scultore comasco nelle architetture del capoluogo lombardo testimonia le differenti fasi della sua parabola creativa, dalle prime opere postcubiste (come "il Grande Motivo" al Padiglione Soggiorno del 1954), ai numerosi mosaici pavimentali realizzati negli edifici di Luigi Caccia Dominioni, fino all'evoluzione in senso naturalistico della seconda metà degli anni Sessanta esemplificata dal Monumento ai Marinai d'Italia del 1967.
(Materiale protetto da copyright, vietata la riproduzione)
L’attività di Francesco Somaini in collaborazione con gli architetti è precoce e s’innesta nel dibattito di sintesi delle arti postbellico, in particolare attraverso la figura di Ico Parisi, vivace assertore della necessità di pittura e scultura nella casa moderna e legato all’astrattismo comasco. Quando ancora la sua arte, nel 1950, appariva sperimentare quella che Crispolti ha definito poi una costante dell’approccio del giovane alla scultura, ovvero una “vocazione ambientale”, gli architetti Ico Parisi e Gianpaolo Allevi lo coinvolgevano con Mario Radice nel cantiere della Villa Bini a Monte Olimpino (1950): qui per la prima volta la sua Danzatrice (1950) in cemento bianco viveva nello spazio architettonico, determinando un punto d’attrazione all’ingresso della villa; e subito l’adozione di una tecnica, quale il cemento bianco, appariva funzionale alle proprie esigenze espressive, tese a un astrattismo che conservava nella forma tensioni post-futuriste mascherate da una levigatezza di curve alla Arp (visto alla Biennale di Venezia del 1950), già in senso postcubista, ma anche in linea con l’adozione del cemento armato in chiave modernista nell’architettura.
E’ vero, il giovane era informato nei primi anni Cinquanta sul dibattito in corso nel contesto milanese o parigino e non dovette sfuggirgli l’evento della IX Triennale (1951) in cui, nella regia voluta da Luciano Baldessari e Marcello Grisotti, fin dall’ingresso le bianche forme astratte di Umberto Milani, sul soffitto a luce indiretta, o le ampie curve disegnate da Lucio Fontana, accoglievano il visitatore per condurlo all’apparizione del grande neon fontaniano sullo scalone, elogio all’immaterialità, sotto il quale, invece, gravava al primo piano la grande scultura astratta in gesso di Vittorio Tavernari, così vicina alle prime prove dello scultore comasco per il comune riferimento all’astrattismo internazionale. Eventi, questi, che, insieme a una maturazione in chiave di “cubismo vivacemente violato”, secondo le parole dello scultore, consapevole del dibattito promosso da André Bloc sulla rivista “Art d’Aujourd’hui” nel 1954, lo conducono alla prima opera milanese di “collaborazione”, nel Padiglione Soggiorno, oggi Biblioteca del Parco degli architetti Ico Parisi, Silvia Longhi, Luigi Antonietti (architettura meritevole della medaglia d’oro alla X Triennale di Milano). Il galasspavillon milanese, secondo una celebre defi nizione di Irace, si presentava lindo nella struttura a “origami” del tetto, vero protagonista dell’intero organismo, eppure grezzo nelle superfici in cemento armato: nella scultura Grande motivo, anch’essa in cemento, l’artista rimedita sull’esperienza cubista di Lipchitz, iniziando a verificare le potenzialità delle armature, che lasciano a vista i segni dei casseri. La scultura si innesta nella corrente postcubista italiana, nell’esplicito richiamo al soggetto della “lettrice”, quindi già in una dimensione di “racconto”, tema caro al Somaini della fine degli anni Cinquanta e poi dei Sessanta. A conferma della singolare affinità di Parisi con l’astrattismo del M.A.C., l’intervento dello scultore era affiancato da quello di Bruno Munari, nel disegno delle piastrelle pavimentali interne, a Mauro Reggiani e Mario Radice, nelle composizioni di marmi all’esterno, e soprattutto del giovanissimo Umberto Milani, qui in una composizione in cemento, a parete, di natura informale, connessa alla tecnica dell’impronta: l’opera di Milani, nella medesima Triennale trovava più compiuta espressione nella grande Composizione parietale in gesso e sabbia dell’atrio di ingresso del Palazzo dell’Arte. Un possibile itinerario milanese delle presenze dello scultore comasco nelle architetture del capoluogo lombardo non può che prendere le mosse dalla Lettrice (1954) del Padiglione Soggiorno, oggi biblioteca del Parco Sempione, così come non può prescindere dalle numerosissime e successive occasioni musive che vedono impegnato Francesco Somaini come geniale creatore di pavimenti d’eccezione nelle architetture di Luigi Caccia Dominioni.
Curiosa convergenza, quella di Somaini e Caccia, un sodalizio nato nel 1955 quando l’architetto è chiamato a ristrutturare la villa di Lomazzo appartenente alla famiglia dello scultore (casa Rosales, 1955-57) e interrotto solo dal trasferimento dell’architetto all’estero (1975 -1982). Da quel primo incontro la ricerca di Somaini in collaborazione con Caccia Dominioni si caratterizzerà soprattutto nell’ideazione dei mosaici pavimentali (a tarsie marmoree o a graniglia) che insinuano motivi spiazzanti nelle architetture del maestro, secondo una tipologia originale, unica nel panorama milanese (1). Noti sono i pavimenti per l’atrio di ingresso dei due edifi ci per abitazioni di Caccia in via Nievo (al 28/1 e al 10), rispettivamente del 1956 e del 1964, in cui appare evidente che il motivo disegnato dello scultore, di linee sinuose e avvitate, di gorghi, con una tensione postfuturista e quasi neo-liberty, tende a sbilanciare quell’uniformità tonale tanto ricercata nelle cromie “dai toni abbassati” dell’architetto milanese, pur sottolineando le rotondità e il sapiente gioco delle curve nei vani scala. Vorticista appare così il pavimento per la Galleria Strasburgo, un passage nella migliore tradizione architettonica metropolitana ideato da Caccia Dominioni per agevolare lo svincolo tra corso Europa e via Durini, nell’ambito dell’importante cantiere degli edifi ci per uffici, abitazioni e negozi chiamati ironicamente da Rogers “gli armigeri neri” di Caccia (1953- 1959): anche nel pavimento di Somaini (1957) l’accensione dei segni, seppure con un uso sapiente dei marmi di toni affini, evidenzia, senza enfasi cromatica, i percorsi, qui debordanti verso gli atrii degli edifici, e poi verso le vetrine dei negozi; vi è da parte dell’architetto la consapevolezza di lasciare spazio a una forma unica (ed esclusiva) di intervento nel contesto architettonico, in una sorta di rilettura in chiave contemporanea dei motivi antichi o medievali di tralci e girali, in chiave di partitura “segnica”. Mentre nei coevi e precedenti episodi di pavimenti musivi attuati da Lucio Fontana per l’architetto Renato Radici (casa d’abitazione via Locatelli 5 a Milano, 1954; Palazzo delle Esposizioni di Cantù, 1956-57) prevaleva un immaginario di origine “tachiste”, connesso all’espansione cromatica di macchie di colore e di forme non geometriche, in Somaini è il “segno”, e più il “disegno”, a fungere da elemento protagonista. Anche in questo caso si tratta di un segno non geometrico, ma che cerca spazio, lo insegue, lo colma. E non c’è dubbio che Caccia Dominioni intravedesse con compiacimento in questi “segni” somainiani una sorta di libera interpretazione espressiva dei propri “segni”, di una sinuosità straordinaria nella defi nizione delle piante. Ancora, gli episodi musivi si riscontrano in numerosi episodi di Caccia a Milano come nell’edificio per abitazioni, uffici e negozi in Corso Italia 22, (1957-61), il pavimento a mosaico nella galleria e negli ingressi (1958) e ancora nella galleria Hoepli, un altro passage che rammenta quello della galleria Strasburgo, o nell’ingresso dell’edificio per abitazioni di Corso Monforte 9 (1963- 64). Da un elenco di lavori conservato all’archivio Somaini, tuttavia, deduciamo che il numero degli interventi pavimentali, comprendente anche opere in case d’abitazione private (ordinati per cognome del committente e non per il contesto architettonico), si fa via via più consistente. Limitandoci alla città di Milano contiamo Casa Sala-Mondelli (1961); ingresso Casa Caprotti, 1964; Casa Pasquinelli, San Siro; Casa Mari (1969); l’ingresso della Farmaceutici Midy, (1968); Casa Castelli (1968-69); Casa Dal Verme (1968); casa Zucchi (1970); Casa Carpaneto,(1970); casa Somaini (1975) (2).
Un itinerario è costretto a procedere per esempi emblematici, e tra quelli milanesi della seconda metà degli anni Sessanta il pavimento del foyer del Teatro Filodrammatici eseguito tra il 1968 e il ‘69 appare esemplare di quella sopraggiunta vena naturalistica assente negli interventi precedenti di Somaini. Caccia Dominioni riserva allo scultore l’ideazione dei mosaici pavimentali al pianterreno, al primo e secondo piano. L’architetto era sedotto dai risultati a cui era giunta la ricerca dello scultore nell’ambito del disegno per pavimenti, ora di vaga suggestione simbolista e naturalista. Ricorda Luisa Somaini che dalla metà degli anni Sessanta: “lo scultore era interessato a studiare nel disegno la metamorfosi di elementi naturalistici e organici, abbandonava il graffito su tavola e il colore, per affi dare i suoi pensieri esclusivamente all’inchiostro di china, dapprima ricorrendo all’uso della penna e del bambù, poi del pennello, mettendo a punto una tecnica affatto originale (...) consistente nel riprendere con l’acqua le stesure di inchiostro sulla carta in modo da ottenere con una parziale erosione della macchia margini di casualità e risultati di estrema raffi natezza” (3). A differenza dei precedenti interventi musivi si nota una maggiore uniformità dell’insieme una semplifi cazione cromatica che quasi tende alla monocromia, in linea con le nuove propensioni di Caccia e il prevalere delle formule radiali, di elementi più fitti che si inseguono diradandosi in una più chiara tensione dinamica: in particolare il fulcro da cui hanno origine i motivi a gocce è l’ingresso alla sala per tutti i piani delle gallerie, punto d’attrazione per chi entra o deambula negli spazi curvi pensati dall’architetto. Il percorso di Somaini a Milano non può non contemplare anche episodi plastici di rilievo, poiché a partire dalla Scultura da parete (1957) in conglomerato ferrico che l’artista idea per la Casa per vacanze di Ico Parisi nel 1957 nella mostra Colori e forme per la casa d’oggi allestita a Como nel 1957, le ipotesi di integrazione tra le arti si complicano e si innervano di tensioni legate alla cultura “informelle”: non più una scultura di pari grado nei confronti dell’architettura, ma un motivo plastico, quello ideato dall’artista, che attraversa la parete, la fora connotando indubbiamente lo spazio architettonico fi n quasi a “spezzarlo”, anche se ancora metaforicamente. Nelle ipotesi monumentali e ambientali Somaini progetta e immagina sculture “aperte” dove la materia appare plasmata dallo spazio e dal vuoto, pur rimanendo fedele a un’apparenza rude e rupestre: nel 1958 merita il premio per la scultura alla Biennale di San Paolo del Brasile, l’anno successivo ottiene un’importante sala personale alla Biennale veneziana e nel 1961 lo scultore vince il premio della critica alla Biennale di Parigi: è indubbio come in soli tre anni l’affermazione di Somaini a livello internazionale appaia ormai evidente e la sua ricerca plastica di tipo informale rappresenti una cifra originale nel panorama dell’arte contemporanea. Da questo momento Caccia Dominioni coinvolgerà l’artista anche in proposte plastiche, non solo musive, come nella suggestiva ipotesi di una scultura di raccordo tra due edifi ci per Piazza Borromeo - Arese di Cesano Maderno (1962), non realizzata, o nella più nota scultura per la milanese casa Bassetti in via Gesù 13. Tappa imprescindibile nel percorso di Somaini a Milano Grande scultura per una scala, 1962 in piombo “invade” lo spazio angusto pensato da Caccia e si confi gura pertanto come emblema di un vero ribaltamento in atto riguardo al concetto di integrazione, così come si era andato delineando nel panorama milanese della “sintesi delle arti” degli anni Cinquanta, rovesciando di fatto il rapporto con lo spazio architettonico. E in tale frattura, che rivendicava un ruolo non più solo paritario, ma tale da modifi care lo spazio architettonico in direzione “espressiva” , “evocativa” o “partecipata”, non è secondario il magistero di Lucio Fontana. Infi ne, esempio sommo della vocazione ambientale dello scultore che ormai progetta e immagina per la città occasioni plastiche da vivere e non solo da guardare, è il Monumento ai Marinai d’Italia (1967), ancora pensato con Caccia, responsabile della parte architettonica e della sistemazione di tutta l’area dell’ex -verziere. Opera vibrante e di ampia gestualità, il monumento è espressione della ricerca coeva dell’artista, in un periodo di passaggio tra l’eredità informale e nuove istanze di recupero del corpo o di un’immagine naturalistica: qui un’alta onda marina da cui nasce una fi gura umana che libra le sue ali nel cielo. Come scrive Luisa Somaini “nel progetto la scultura era stata collocata al limite estremo (verso corso XXII marzo) dello spillo d’acqua della lunghezza di 150 metri circa, nel punto in cui una passerella avrebbe consentito l’attraversamento del giardino in senso diagonale, privilegiando le persone dirette alla stazione e assicurato una frequentazione quotidiana che avrebbe tolto alla zona immediatamente circoscritta al grande bronzo la separatezza che circonda troppo spesso i monumenti”. Purtroppo la mancata realizzazione delle parti a verde e la parziale sistemazione dell’area oggi non permette quella fruizione partecipata che l’artista e l’architetto avevano previsto originariamente. La presenza di Somaini a Milano è testimoniata pertanto nelle differenti fasi della sua parabola creativa, dalle prime opere postcubiste, ai numerosi mosaici, alla evoluzione in senso naturalistico della seconda metà degli anni Sessanta, esemplificata dal monumento ai Marinai d’Italia: e infine, nell’Ufficio della Presidenza della sede del Credito Commerciale di via Armorari, una traccia positiva e negativa (1980-81) con relativa matrice rappresenta lo scarto degli anni Ottanta nella produzione del maestro, l’importante fase delle “tracce”, del positivo negativo, qui applicato all’architettura d’interni. Secondo tale nuova concezione plastica “l’aspirazione a muovere la staticità e l’inerzia della materia trova quindi un coerente, rivoluzionario sviluppo nel movimento impresso a una scultura matrice “opera progettante altra opera che è amplifi cazione narrativa del nucleo iniziale “ )4).
Nel caso dell’interno di via Armorari una fusione in bronzo della “traccia” pare arrampicarsi sulle pareti, piatta e fl uida dilagare simmetricamente a quella opposta, mentre la matrice è staticamente fi ssa alla base di una delle due tracce, a ricordare un percorso antigravitazionale compiuto dal quell’ ammasso di materia, ora lucidamente bronzea. Indubbio appare il carattere esclusivo dell’interno d’autore concepito da Somaini e sempre rivoluzionaria la sua concezione dello spazio in grado di porre in crisi le tradizionali categorie del vivere domestico, capace di insinuare una “durata” temporale differente, sempre attento a una modellazione che tenga conto delle esigenze della vita degli individui, perennemente volta allo smantellamento delle certezze acquisite.
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(1) Risale al 1954-55 il pavimento a tessere musive marmoree ideato da Lucio Fontana per l’ingresso della casa di abitazione in via Locatelli 5 (architetto Renato Radici) e al 1956-57 il pavimento “dilagante” del Palazzo delle Esposizioni di Cantù (architetto Renato Radici), dove le tessere marmoree traducevano le minime sfumature delle “taches” ad acquerello segnate dall’artista sulla carta degli studi preparatori. Cfr. AaVv, Lucio Fontana e il mosaico di Cantù, Mazzotta ,Milano 2003.
(2) Non esiste ad oggi uno studio o un repertorio aggiornato delle collaborazioni architettoniche dello scultore. Ha gravato fi no ad oggi la scarsa considerazione da parte della critica di questa produzione rispetto all’opera a tutti nota e conclamata in scultura e una certa ritrosia da parte dell’artista a cosiderare a pieno titolo, ad esempio, gli interventi musivi alla pari delle ipotesi plastiche di intervento ambientale, forse perché strettamente connessi a una committenza. Si deve tuttavia riconoscere il merito di Luisa Somaini per il lungo e paziente lavoro di scavo entro l’archivio paterno che ha avuto un primo esito in L. Somaini, L’architetto e lo scultore, tempi e modi di una collaborazione d’eccezione tra Luigi Caccia Dominioni e Francesco Somaini, in F. Irace , P. Marini (a cura di), Luigi Caccia Dominioni. Case e cose da abitare. Stile di Caccia, Marsilio, Venezia 2003 ( Verona, Museo di Castelvecchio,Sala Boggian, 7 dicembre 2002 – 9 marzo 2003), pp 29-36.
(3) Ibidem, p. 32.
(4) L. Somaini, Cronaca di opere e giorni, in E. Crispolti, L. Somaini (a cura di) , Somaini. Le grandi opere, Electa 1997, p. 331.
Léon Degand, Mario Radice
Nani, Como 1956
Umbro Apollonio, Michel Tapiè
Editions du Griffon, Neuchatel 1960
Renato Barilli
Edizioni del Milione, Milano 1964
Enrico Crispolti
Mazzotta, Milano 1972
Enrico Crispolti
in «Terzo Occhio», n. 5, 1979
Renato Barilli
in «Maestri contemporanei», n. 50, 1987
Enrico Crispolti, Luisa Somaini
Electa, Milano 1997