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Il Sole24Ore Headquarter

Anno: 1998 - 2004

Località: Milano, De Angeli - Monte Rosa

Indirizzo: Via Monte Rosa 91

Destinazione d'uso: Edifici per uffici

Progettista: RPBW

L’intervento è molto noto per diverse ragioni: innanzitutto si tratta della prima esperienza progettuale dell’architetto genovese a Milano; in secondo luogo riguarda un gruppo – il Sole24ore – di notevolissima importanza nell’industria editoriale. L’area interessata dalla trasformazione è parte del dismesso stabilimento Siemens-Italtel (prima ancora Isotta-Fraschini): un ampio comparto urbano della periferia storica a nord-ovest. Le caratteristiche dell’area, per dimensione e per inserimento nella città consolidata, candidano il progetto a fare da elemento catalizzatore di un processo di rigenerazione urbana. In riferimento alle ambizioni di relazionarsi con la scala della città, un primo fondamentale gesto è quello di eliminare il quarto corpo dell’edificio preesistente verso sud-ovest e di aprirsi su piazza Zavattari. La scelta è complementare a quella di occupare il grande spazio aperto interno con una collina artificiale (1), un parco che conterrà una parte cospicua delle attività del Gruppo.

 

Il programma funzionale richiesto dalla Committenza, infatti,  è molto complesso: «spazi di lavoro – di gruppo e individuali – e di ampi spazi pubblici: una mensa per 500 persone, una biblioteca, un auditorium e centri di addestramento e di riunione». Questi ultimi si distribuiscono al piano terra, tra la testata su viale Monterosa (accesso principale all’edificio) e lo spazio ipogeo ricavato al di sotto della collina artificiale. I piani superiori sono invece occupati dagli spazi per gli uffici.
Un progetto pertanto leggibile soprattutto in sezione, per questo particolare procedimento di «sottrazione» che ricava gli spazi necessari ad ospitare servizi, usi, persone e anche le auto (parcheggio sotterraneo per 450 vetture).

 

Quanto al trattamento dell’edificio esistente, Renzo Piano dà scacco in cinque mosse: 1. mantenendo parte delle murature originarie a zoccolo dell’edificio, e tinteggiandole con un intonaco “giallo lombardo”; 2. evidenziando gli elementi “anomali” – i corpi di distribuzione verticale e gli elementi d’angolo – con un rivestimento a listarelle di cotto (come nella Banca Popolare di Lodi); 3. rendendo trasparenti i piani superiori e svuotando l’ultimo, giuntando tra loro i diversi corpi attraverso pareti di vetro, lasciando la vista sul giardino interno anche dalla parte più impermeabile dell’edifico, la testata su viale Monte Rosa; 4. modulando la luce con tende parasole avvolgibili di un verde chiaro squillante; 5. custodendo le parti centrali all’aperto con una copertura metallica e parzialmente forata, un diaframma, un «tappeto volante», che lavora in contrappunto con le trasparenze delle grandi vetrate. Superfluo insistere sulla finezza delle soluzioni tecnologiche e l’altissima qualità dei dettagli(2), anche in fase esecutiva, a cui Piano ha abituato pubblico e critici. Come è stato notato, «Piano sa come mantenersi di qualche centimetro al di qua del rischio della riproposizione di una versione riveduta e corretta dell’International style, il vocabolario omogeneizzato dell’architettura del business»(3). La valenza urbana dell’edificio è tanto più evidente nelle ore buie: «con l’oscurità della sera, la vita laboriosa del giornale in scenario urbano, grande acquario luminoso nella città buia»  o un grande «lanterna magica».

 

Laura Montedoro