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L’essenza più profonda del fare architettonico lega in maniera indissolubile la propria storia ad un edificio così particolare, la chiesa, dove proprio segno e significato assumono valore assoluto, espresso in forma rappresentativa, simbolica, funzionale. Il compito, delicatissimo, che ha dovuto affrontare l’architettura moderna, è stato quello d’interpretare il ruolo civile e, nel contempo, ideologico, dell’edificio religioso oggi, soprattutto nelle aree urbane, dove più rapidi e complessi sono i fenomeni legati all’abbandono ed al rinnovarsi di modelli architettonici, sociali, economici. La risposta è un percorso ininterrotto di ricerca dell’adempimento di una eticità del progetto che soprattutto nel silenzio poetico delle forma trova la capacità di richiamarsi a valori trascendentali, dove il primato dell’interno si delinea nella comprensione del senso della materia, nell’equilibrio tra leggerezza e gravità, nell’intimo dialogo con la luce, materiale immateriale che evoca e disegna.
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L’edifico sacro, dunque, prima chiama a sé l’uomo e gli chiede di riceverne forma e poi, di nuovo, lo convoca e si rende accoglienza: una casa, per Dio e per gli uomini. Così, giacché l’edificio-chiesa corrisponde ad un intimo e profondo bisogno della comunità d’identificare il luogo sacro con il senso del trascendente, all’architettura si presenta il difficile compito di farsi linguaggio ed interpretazione dei valori connessi alla natura stessa del sentimento religioso. Il compito, delicatissimo, che ha dovuto affrontare l’architettura moderna, che si confronta sempre con la realtà del contemporaneo e con i suoi cambiamenti, di cui è talvolta anticipatrice e spesso conseguenza, è stato quello d’interpretare il ruolo civile e, nel contempo, ideologico, dell’edificio religioso oggi, soprattutto nelle aree urbane, dove più rapidi e complessi sono i fenomeni legati all’abbandono ed al rinnovarsi di modelli – architettonici, sociali, economici – e di modalità – di vita, di relazione, ma anche, più tecnicamente, costruttive, tecnologiche. La risposta è un percorso ininterrotto di ricerca dell’adempimento di una eticità del progetto che soprattutto nel silenzio poetico delle forma trova la capacità di richiamarsi a valori trascendentali, dove il primato dell’interno, abbraccio finale di ogni personale esperienza del trascendentale, si delinea nella comprensione del senso della materia, nell’equilibrio tra leggerezza e gravità, nell’intimo dialogo con la luce, materiale immateriale che evoca e disegna.
Milano fin dal primo dopoguerra, anche per la drammatica urgenza determinata dalla desolazione di una città semi distrutta e, pressoché simultaneamente, sotto la spinta di un intenso fenomeno di inurbamento, legato a vere e proprie migrazioni di massa, affronta la necessità di ricostituire il proprio tessuto sociale anche attorno a luoghi di valore collettivo, segni riconoscibili e riferimenti certi dove ridisegnare una nuova identità comune. In questo quadro generale e nel suo successivo sviluppo, pur nella logica delle differenze che ogni grande personalità apporta ad una missione e ad un lavoro comune, una delle tracce di maggiore continuità che ha caratterizzato l’attività pastorale dei Cardinali Arcivescovi succedutesi alla guida della grande Diocesi di Milano dal primo dopoguerra ad oggi – Ildefonso Schuster, Giovanni Battista Montini, Giovanni Colombo, Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi – è l’attenzione, altissima e sensibile, data al valore dell’architettura come riferimento territoriale identificativo e segno tangibile della presenza della comunità. Come ha scritto Cecilia De Carli, si deve al Cardinale Schuster «l’intuizione di agganciare strutturalmente la costruzione dell’edificio-chiesa alla crescita della città, collegandola organicamente, con l’invenzione dell’ “Ufficio Nuovi Templi” nel 1948 all’elaborazione del Piano Regolatore urbano» (De Carli, 1994) (1).
Si tratta di un periodo storico in cui il tema dell’architettura sacra si confronta con quanto ha preso forza, fin dagli anni Venti, soprattutto all’estero ed in particolare in Svizzera, Francia e Germania, con nuove profonde riflessioni sul senso dello spazio dedicato alla religione e sulla forma che esso deve assumere nell’ambito della liturgia cristiana: un dibattito che coinvolge l’essenza stessa dei significati che questa esprime e delle rinnovate modalità con cui si pone in relazione con i fedeli, vivificando il concetto fondamentale di assemblea radunatasi presso la “Casa di Dio e degli uomini”. Un percorso complesso che porterà, negli anni del Concilio Vaticano II, ad una grande riforma da cui discenderà la difficile richiesta rivolta all’architettura di dimostrare ed esemplificare la capacità di sintonizzarsi ed adeguarsi ad una differente idea – più compartecipata ed unificante – di rapporto tra spazio e fede, producendo rinnovati tipi ecclesiali, in una ricerca lunga e delicata che continua ancora nei giorni nostri e che, tra l’altro, rinsalda fin da subito, il sodalizio con le arti. A premessa storica di questo processo si pone il Movimento della Gioventù Cattolica tedesca Quickborn, raccoltosi nel 1920 attorno alle intense figure di Romano Guardini, maestro di pensiero e guida spirituale tra le più alte del secolo e di Rudolf Schwarz, giovane architetto, in grado di rendere il linguaggio dell’architettura moderna strumento di comprensione, attuazione e rinnovamento della liturgia stessa. Gli scritti di quest’ultimo, assieme alle sue realizzazioni, così come quelle di un altro grande progettista Emil Steffann, anticiparono e diedero la forza del sostegno oggettivo alle tesi che vennero affrontate e definite dal Concilio Vaticano II.
«Era senza dubbio inevitabile che la “Costituzione sulla Liturgia” (1963) e l’ “Istruzione romana” che ne precisa le applicazioni (1964) si riflettessero a tutta prima sulla edilizia ecclesiale in maniera pragmatica mediante un semplice riaggiustamento funzionale dei poli della celebrazione. Per la maggior parte i vescovi non s’immaginavano certamente niente di più. Pur ratificando quasi unanimemente la teologia dell’assemblea e il mistero della sua unità, conservavano nella mente (…) un’immagine monumentale e rappresentativa (…) ma la teologia dell’assemblea recava con se dei cambiamenti molto più decisivi. Essa inclinava con tutto il suo peso verso un tipo di celebrazione che fosse tutta al servizio della comunità vivente (…) il primato dell’ospitalità sulla monumentalità e quello della persona sull’oggetto» (2). La Milano del dopoguerra ricca di architetti che il linguaggio moderno dell’architettura hanno cercato ed esplorato, diviene subito luogo di sperimentazione di un progetto del sacro adeguato ai nuovi tempi, trovando nella tradizione del rito ambrosiano molti punti di contatto con le riforme che arriveranno. In particolare, la figura di Gio Ponti unisce al prestigio del progettista affermato e che sa spaziare agevolmente dall’architettura al disegno industriale, dalla progettazione a scala urbana a quella dettagliata degli interni, una dichiarata estrazione cattolico cristiana che egli stesso più volte descrive come musa ispiratrice della sua professione, come dimostrano le pagine scritte sotto al titolo Architettura Religione. «Non ci sono ancora opere d’altra ispirazione che abbiano superato per altezza e potenza, quelle d’ispirazione sacra (…)» (3).
Sintetizzare una così lunga storia, ricca di episodi di grande interesse e di protagonisti dotati tutti di una sensibilità progettuale tale da potersi confrontare con un così arduo tema architettonico e sociale, riuscendo a portare nuovi elementi di arricchimento, non è, evidentemente, agevole; per l’occasione di questo itinerario sono stati scelti alcuni episodi capaci, ognuno, di trasmettere immediatamente la comprensione dei molti temi che si sviluppano nel progetto moderno del sacro, con la certezza che le “diversità” che contraddistinguono ciascun autore sanno parlarci con spontaneità non solo della sua storia personale e della sua visione dell’architettura, ma anche e soprattutto delle molte declinazioni che concorrono a comporre l’idea moderna di chiesa. Luoghi che sono stati nel contempo ambiti di sperimentazione perfino ardita ed estrema – la nudità del linguaggio essenziale di Figini e Pollini – e di consolidate certezze – la luce come materiale “costruttivo” di De Carli – e diventano, oggi, lezioni di architettura al vero e fondamentali riferimento per chiunque voglia proseguire il loro cammino.
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(1) C. De Carli, “1945-1963 il tema architettonico della chiesa negli episcopati di Schuster e Montini, pg. 39”, in C. De Carli (a cura di), Le nuove chiese della Diocesi di Milano 1945-1993, Vita e pensiero, Milano, 1994.
(2) F. Debuyst, “Architettura e liturgia. Aspetti del dibattito internazionale”, pg. 39, in C. De Carli (a cura di), op.cit., Milano, 1994.
(3) G. Ponti, Amate l’architettura, Vitali e Ghianda, Genova, 1957, ristampa Cusl, Milano, 2004, pg. 261 e segg.
A. Faccioli
Comitato per le nuove chiese, Milano 1962
M. Grandi, A. Pracchi
Zanichelli, Bologna 1980
M. Boriani, C. Morandi, A. Rossari
Designers riuniti, Torino 1986
S. Polano, M. Mulazzani
Electa, Milano 1991
C. De Carli (a cura di)
Vita e pensiero, Milano 1994
G. Arosio
Electa, Milano 2000
M. Tommasi
Temi, Trento 2007
G. Gramigna, S. Mazza
Hoepli, Milano 2001