From 10.04.2024 to 30.04.2024
L’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Milano, insieme alla Fondazione, ricordano l'architetto Italo Rota, nato a Milano nel 1953 e morto il 6 aprile 2024, Milano. Lo ricordiamo con un'affettuosa testimonianza scritta di Franco Raggi.
Laureato al Politecnico di Milano nel 1982, Italo Rota si formò dapprima nello studio con Franco Albini e in seguito con Vittorio Gregotti. Tra le sue prime esperienze rientrò la collaborazione con Pierluigi Nicolin alla realizzazione della rivista Lotus International; alla scala dell'architettura collaborò con Gae Aulenti al grande progetto per la riconversione in museo della stazione Gare d'Orsay di Parigi. Nella capitale francese rimase per dieci anni, per tornare a Milano nel 1995. In Francia progettò allestimenti per mostre, collaborò nuovamente con Gae Aulenti per il Museo d’Arte Moderna al Centre Pompidou; progettò le nuove sale dedicate alla Scuola francese alla Cour Carré del Louvre; ridisegnò lo spazio pubblico del centro di Nantes (1992-1995). Nel 2006 ricevette la Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana per gli Spazi Pubblici, per l'intervento sul lungomare del Foro Italico a Palermo. Nel 2010 venne inaugurato il Museo del Novecento di Milano (vincitore di un concorso, progetto di Italo Rota con Emanuele Auxilia, Fabio Fornasari e Paolo Montanari) all'interno del Palazzo dell'Arengario in piazza Duomo.
Ricordiamo Italo Rota con un'affettuosa testimonianza scritta di Franco Raggi.
Italo Osservatore/Raccoglitore
C’è una foto credo del 1981 dove Italo Rota ed io siamo insieme e vicini. Una foto di gruppo, fatta a Barone Canavese durante i seminari/incontro che Piero Derossi organizzava convivialmente a Barone Canavese in una bellissima villa di famiglia un pò barocca e molto delabrè. Piero riuniva periodicamente architetti amici, e anche benevolmente nemici, per esporre e discutere progetti, idee, avversioni, speranze e visioni. Io e Italo forse eravamo i più giovani, lui più di me, ma già allora il ruolo che Italo si stava ritagliando era quello di un osservatore obliquo e non schierato, attento alle involuzioni della modernità specialmente se non accademiche, che in architettura voleva anche dire sporcarsi le mani con le aporie della contemporaneità meno colta se non incolta, ma anche a seguire le innovazioni tecniche e linguistiche delle tecnologie costruttive e comunicative, che potevano offrire stimoli ad una immaginazione libera.
Posso raccontare Italo solo attraverso i nostri incontri. Questi di Barone ci avevano accomunati, anche se in modo diverso, proprio per questa propensione allo sguardo eccentrico per non dire strabico. La pervasività di culture diverse, grafiche, figurative, sonore e materiali, stavano lì a dirci che l’architettura non poteva esser sorda a queste ebollizioni spontanee e vitali, che il progetto dell’abitare non poteva esser una categoria sociologica, geometrica, astratta, gestita da una élite di demiurghi attenti quasi solo alla coerenza formale e teorica del loro fare.
Italo però rispetto a me aveva una attitudine più certa verso il progetto come strada maestra per esplorare queste vitalità multiformi. Ha sempre voluto esporre il suo pensiero attraverso forme e costruzioni fisiche nelle quali esercitare nella pratica la sua curiosità sperimentale. L’architettura di Italo si prestava con forme inattese a introdurre la qualità del pensiero o meglio del senso. Ciò che non genera senso e riflessione non è progetto utile. Se poi nel produrre queste sue riflessioni formali Italo sconfinava nei scivolosi terreni del kitsch, e del "non-bello tanto meglio", la sua è sempre stata un poetica aperta e non dogmatica che prevedeva l’eccentrico e l’urticante come ingredienti necessari, purché nella procedura di progetto ci fosse sotteso un senso e una proposizione critica. Una decina di anni fa ci trovammo a parlare di alberghi e lui ne aveva fatto uno a Milano con degli interni disneyani e anche barocchi e pure teatrali, ma anche un pò Las Vegas, come scenari per un'utenza internazionale dall’identità incerta e tracotante. Sollevai i dubbi di uno che banalmente pensava che gli alberghi dovessero comunicare discrezione, eleganza, raffinatezza, senso del luogo di appartenenza e misura. La sua risposta sorniona e quasi annoiata fu che in futuro gli interni e gli spazi collettivi sarebbero stati oggetto di cambiamenti continui, in un vorticoso restyling incessante, e che gli utenti avrebbero ricercato solo identità mutanti, che corrispondessero alle ibridazioni culturali selvagge che la contemporaneità già oggi offriva.
Contemporaneamente Italo era un raffinato osservatore-raccoglitore. Lo dimostra il collezionismo compulsivo nei settori più diversi, da quello colto delle pubblicazioni delle avanguardie storiche, ai reperti della astronautica sovietica, ai modelli e alle miniature di persone e cose e paesaggi, come a costruire un universo parallelo fuori scala. Credo che si possa accostare la sua poetica e il suo stile, se ne aveva uno, al concetto di gadget. Il gadget è qualcosa di inutile, di apparentemente inutile che contiene e manifesta i segnali di una estetica anarchica e ammiccante. Il gadget contiene l’allusione a segni, materiali e figure che appartengono al linguaggio comune, ma li trasforma, li banalizza e li concentra in un oggetto affettivamente importante. Gli ambienti, gli oggetti e le architetture di Italo, cercavano di dare ordine e senso in questa involontaria estetica selvatica e affascinante, cercando di ibridarla con l’universo colto nel quale era stato educato. Ipotesi rischiosa, sicuramente eccentrica e per questo interessante.
Franco Raggi, 10 aprile 2024